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I segni del cuore - Coda


L’Oscar 2022 come Miglior film se lo è aggiudicato I segni del cuore - Coda, di Sian Heder.
E così il remake del francese “La famiglia Bélier” ha vinto l’Oscar per la Migliore sceneggiatura non originale e per il Miglior attore non protagonista andato a Troy Kotsur, il primo attore sordo a sollevare una statuetta dell’Academy.
Tutto questo successo è meritatissimo perché la storia emana amore, il collante di una famiglia sordo muta eccetto Ruby, la diciassettenne che sostiene i suoi cari, aiutandoli a comunicare con il mondo esterno, a vendere il pescato, a sopravvivere.
La sveglia suona alle 3 del mattino per tutta la famiglia.
 La giovane e coraggiosa ragazza interpretata dalla bravissima Emilia Jones, ha un sogno: desidera cantare.
Trova un insegnante  che la esorta a credere nel suo talento e la aiuta a spiccare il volo.
Ho apprezzato immensamente Eugenio Derbez nei panni dell’insegnante severo, metodico e anche un po’ psicologo. 
È davvero fantastica la scena dell’audizione in cui mentre Ruby canta, la sua famiglia impossibilità a sentire, si gira intorno per osservare il pubblico che canticchia e balla.
La giovane talentosa indossando il vestito rosso regalatole dalla madre, continua a cantare  ma a un certo punto  non c’è l’audio, solo il silenzio assoluto ossia lo stesso percepito dalla famiglia di Ruby, ed è possibile comprendere attraverso questa scelta registica, la dimensione dei Sordo muti.
Straordinaria la figura del padre, interpretata da Troy Kotsur che sa essere tenero e rude al tempo stesso e questo Oscar è una delle cose più belle e giuste di quest’edizione.
Una scoperta piacevolissima questa sera su Sky cinema Oscar.
Da vedere e rivedere per piangere sul finale lacrime belle.

Per tutta la vita


 Il film di Paolo Costella che ho visto questa sera in prima visione su Sky propone una situazione  che molte coppie insoddisfatte vorrebbero vivere sulla propria pelle. Perché vi chiederete? 

Sarebbe incredibile se la curia annullasse tutti i matrimoni celebrati in una parrocchia nei precedenti 9 anni, scoprendo che il prete che li aveva officiati era un truffatore. Il fatto si ripercuote su 4 coppie che colgono l'occasione per fare un bilancio sulla loro vita.

Quello dell’annullamento dei matrimoni è solo l’incipit.

In realtà quelle sposate sono coppie consolidate? Tra loro c’è amore vero e se sì, queste coppie noncuranti dell’accaduto continueranno a stare insieme e si risposeranno per ufficializzare quell’unione che non li ha effettivamente uniti nove anni fa?

Appena ho iniziato a vedere il film l’ho trovato lento però proseguendo a vederlo, come capita quando le prime pagine di un libro mi riportano a storie già lette o poco interessanti, mi ha coinvolto, alcune storie o coppie mi sono piaciute particolarmente e attendevo per vedere le scene che li riguardava; sto parlando di Ambra Angiolini e Fabio Volo, che nel film sono i genitori separati  di Edoardo Brandi un bambino intelligente e addolorato per la loro separazione. Questa storia mi ha conquistato, emozionato e commosso.

  Il film fa riflettere perché nonostante i problemi che affliggono l’umanità soprattutto in questo periodo, ciò che veramente conta è la famiglia e non c’è niente che sia così importante nella vita di un individuo.

L’ansia per una maternità che arriva se accade come spiega a Claudia Pandolfi la straordinaria Ivana Monti, che nel film è l’amorevole mamma malata e saggia di Filippo Nigro e moglie di Renato Scarpa, visto con immenso piacere pensando questa fosse l’ultima sua apparizione, è uno dei temi più toccanti di questo trattato sul matrimonio visto in tutte le sue sfaccettature. 

La donna contesa tra Luca e Paolo, la Claudia Gerini che interpreta la parte dell’amante di uno e della moglie dell’altro che per inciso è il miglior amico, rappresenta un’altro tema importante trattato con delicatezza e intelligenza.

Con la mia personale predilezione per la citata coppia Ambra/Fabio, ho amato anche le musiche di Lele Marchitelli commuovendomi per il pezzo dei Negramaro sul finale che mi ha riportato a La Febbre di Alessandro d’Alatri sempre con Fabio Volo.

È una commedia a tratti drammatica però necessaria e da vedere.

Una donna promettente




Questo è un film sull’amicizia profondissima e incondizionata tra due donne, che vale più della vita stessa.

Lo stupro di Nina, nonostante le amorevoli cure di Cassandra, l’amica inseparabile, conduce la vittima al suicidio.

È  una perdita insopportabile per Cassie e questo la traumatizzerà, portandola non solo a lasciare gli studi ma a vivere per vendicare la sua Nina.

Cassie è una trentenne che vive con i suoi genitori, lavora in un bar di giorno e la notte indossa altri abiti per entrare in contatto con tutte le persone che hanno frequentato la sua amica.

L’ultimo in ordine di tempo che incontrerà sarà proprio il ragazzo che ha stuprato Nina e che per difendersi, ucciderà la coraggiosa Cassie durante il suo addio al celibato.

Ma la storia non finisce perché Cassandra ha lasciato indizi e il ragazzo apparentemente per bene che sta celebrando le sue nozze, non avrà vita facile.

Oscar meritatissimo per la miglior sceneggiatura originale per il regista Emerald Fennell perché è una vicenda pazzesca dove il thriller coinvolge e scuote profondamente anche nel finale.

Carey Mulligan è una Cassandra perfetta.

Mi ha sempre incuriosito quest’attrice che sa mostrare perfettamente l’animo del personaggio interpretato. I suoi occhi in questa pellicola sono straziati più che vendicativi ed è proprio questo il sentimento di una ragazza devastata per la perdita della sua amatissima amica.

Nina riceverà attraverso il sacrificio di Cassie finalmente giustizia? 

Per chi non lo avesse ancora visto, ne consiglio la visione da stasera in prima visione su Sky.

Deep water



 Adrian Lyne, il regista che ricordiamo per Attrazione fatale, Proposta indecente, LolitaFlashdance, 9 settimane e 1/2 dirige un maturo e gelido Ben Affleck e una caliente Ana de Armas nel thriller psicologico/erotico Acque profonde (2022).

La pellicola è l'adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo del 1957 scritto da Patricia Highsmith.

La recensione 

Vic e Melinda si amano, sembrano affiatati e socievoli, hanno una figlia affettuosa e creativa e le loro feste con gli amici sono frequenti ed allegre.

Però  dietro l’apparente armonia della coppia, si cela un’angosciante gelosia da parte del marito per i frequenti flirt della moglie con ragazzi giovani e spesso presenti alle riunioni con gli amici.

I primi piani di Affleck, il suo sguardo gelido e la sua premeditazione, insospettisce qualcuno che vuole andare a fondo e comprendere se esiste una mano amica dietro i delitti che si susseguono e le vittime sono uno dietro l’altro, i ragazzi con cui Vic amoreggia.

Il film è avvincente e fino all’ultima scena, si cerca di capire quale sarà il finale.

Ce lo lascia intuire il regista.

Scopritelo su prime video!

Quattro buone giornate


 Lei è pallida, magra, senza denti.

Molly è drogata da dieci anni, per 14 volte ha tentato di disintossicarsi contando su Deb, sua madre.

Bussa ancora una volta alla porta di sua madre, implorandola e promettendo che questa volta si farà aiutare perché vuole uscirne.

Gli occhi di sua madre sono pieni di lacrime di fronte allo stato della giovane figlia a sua volta madre di due figli, da quello che lei sa finora, ma non la aiuterà più finché lei non sceglierà di smettere.

Molly è Mila Kunis e Deb è Glenn Close.

Il film, tratto da una storia vera, è diretto da Rodrigo Garcìa in prima visione su Sky dal 19 marzo 2022 per fare gli auguri alla stupefacente Glenn e per spegnere insieme 75 luminose candeline, è candidato agli Oscar 2022 per la miglior canzone originale Some how you do di Diane Warren.

È molto suggestiva la scena in cui Deb lava i capelli alla figlia che per giorni ha dormito per strada e quella in cui Molly racconta a una classe di adolescenti la sua esperienza.

“Mi sono degradata per la droga”.

Un’altra splendida pellicola al femminile da vedere per perdersi nelle emozioni di due donne coraggiose interpretate da un’icona del cinema hollywoodiano  come Glenn  Close e da una giovane e talentuosa attrice di origini ucraine come  Mila Kunis.

Consigliato!

E poi c’è Khaterine

 



Katherine Newberry è una leggenda della televisione americana. Unica donna alla conduzione di un talk-show serale, ha smesso da tempo di mettersi in discussione e comanda con dispotismo uno staff di autori, tutti maschi, che non si degna nemmeno di incontrare di persona. Ma i tempi cambiano, gli ascolti calano, Katherine viene accusata di odiare le donne e minacciata di essere sostituita. Improvvisamente costretta a correre ai ripari, ordina al suo staff di rendere lo show nuovamente alla moda e divertente, e assume per caso la "quota rosa" Molly Patel, un giovane inesperta di origini indiane, cresciuta con il sogno di diventare un giorno come lei.

La trama
 
E poi c’è Katherine ci porta nel dietro le quinte dei late show americani. Katherine Newberry è l’unica donna della tv ad avere uno show di questo tipo, una comica inglese che da più di vent’anni accompagna le notti degli americani ma la cui stella è sempre più in declino. Isolata nella sua torre d’avorio, Katherine non è aperta al mondo, alle novità, si crogiola della sua figura autoritaria ed elitaria e costruisce ogni puntata intorno agli stessi sketch scritti da un gruppo di autori annientanti chiamati per numero e non per nome.

La recensione

Emma Thompson strega, ammalia, infastidisce e commuove nel ruolo della cinquantenne sposata, senza figli, in menopausa e avvolta nelle sicurezze di una lunga carriera inossidabile ma lontana da una comunicazione che volente o nolente è cambiata e lontana dal suo stile elegante, colto e ingessato, decisamente out.
E' il caso di dire che Mindy Kaling (Molly) è il deus ex machina, giunta da un fabbrica chimica per portare aria nuova, anche se il compito non sarà affatto semplice, anzi, si trasformerà in una vera e propria sfida.
Meravigliose le figure di Khaterine e Molly, che lasciano sperare ci sia la possibilità di collaborazioni costruttive tra donne, non più rivali ma complici.
Sono affrontate diverse tematiche nel bellissimo film diretto da Nisha Genatra, e anche se probabilmente passerà più di un secolo prima che riusciremo a conquistare la parità dei sessi, se proviamo ad essere più solidali, forse la strada sarà più breve.

L'imperdibile film sarà ancora per poco su Raiplay, un vero peccato ma è disponibile su Netflix.

La persona peggiore del mondo


Dopo il successo a Cannes, con la vittoria di Renate Reinsve come miglior attrice, e due candidature agli Oscar® 2022 (miglior film internazionale e migliore sceneggiatura originale) arriva  in prima tv domenica 13 marzo alle 21.15 su Sky Cinema Due, in streaming su NOW e disponibile on demand, "La persona peggiore del mondo, intensa pellicola del regista scandinavo Joachim Trier (tra i suoi successi Thelma Segreti di famiglia). Diviso in capitoli, il film di Trier racconta la storia di Julie, giovane millennial, donna libera, imprevedibile e contraddittoria, alle prese con i problemi della sua generazione. "La persona peggiore del mondo" è uno dei cinque titoli in concorso quest’anno agli Oscar® che nel mese di marzo arriveranno in prima tv sui canali Sky Cinema, in attesa della cerimonia di premiazione della 94ª edizione degli Academy Awards®, che dalle 00.15 della notte tra domenica 27 e lunedì 28 marzo sarà in diretta su Sky e in streaming su NOW.

La recensione 

Il prologo, i dodici capitoli e l’epilogo, sono una scansione ideale della storia magistralmente interpretata da Renate Reinsve, la bella trentenne attratta da tutto, dalla vita in generale e dalle emozioni che la scandiscono.

Prima studia medicina, poi psicologia, infine fotografia.

Ha un rapporto più che conflittuale, davvero impossibile con un padre assente che è presente nella sua nuova famiglia e lontano dalla figlia che avrebbe bisogno, ogni tanto di una parola di conforto.

Tra i bellissimi fiordi norvegesi, i flashback e la narrazione originalissima di Trier, la Julie immatura e fidanzata con un famoso fumettista con il quale non invecchierà come aveva previsto e che lascia provocandogli immane dolore e forse la malattia che gli sarà fatale, diventa una donna consapevole e autonoma.

È un film che appare leggero e che e invece intenso, emozionante e commovente.

Mi è piaciuto moltissimo e credo che sia utile vederlo per cogliere i vari messaggi contenuti nei suoi 12 capitoli.

Più che visto, va letto. 

Lo consiglio veramente! 


Il Santone #lepiùbellefrasidiOscio


  •  Mentre Osho è stato un filosofo indiano, Oscio è originario di Centocelle, il quartiere romano divenuto famoso dopo che Enzo Baroni, un antennista sposato con Teresa e padre di Novella sparisce per tornare indossando un mundu e il suo abito, la capigliatura e il suo atteggiamento mistico, finiranno per ispirare la gente comune che in lui e nelle sue frasi semplici, troverà un senso esistenziale e un credo.
  • Il bar gestito dall’irresistibile Fabrizio Giannini dove Enzo/Oscio va a prendersi la birretta delle sei, diventerà un luogo fondamentale dove si susseguiranno dirette televisive ed eventi da quando una invasata scopritrice di talenti (Rossella Brescia) farà del tutto per diffondere in rete e in tv le gesta di questo fantomatico Santone della periferia romana.
  • Il personaggio che Federico Palmaroli ha creato rivive nei panni di Neri Marcorè che stupisce e diverte nelle dieci puntate della serie che ho seguito con vero entusiasmo dal 25 febbraio su Raiplay.
  • Oltre a Neri, mi è piaciuta molto anche Carlotta Natoli ammirata al fianco di Marcorè in Tutti pazzi per amore. Simpatica anche la parte del bel salumiere (Alessandro Riceci) che s’innamora perdutamente di Teresa, fedelissima al marito, nonostante tutte le sue continue trasformazioni. 
  • Che regia precisa e originale quella di Laura Muscardin, complice e materna verso il suo Santone che si è perso e ritrovato, per smarrirsi di nuovo anche se sul finale è chiaro che lo show deve proseguire, come il tempo e il fluire della vita.
  • Ho sempre amato la filosofia indiana che pare non avere nulla di simile a quella romana, però anche i romani hanno bisogno di un filosofo che sappia condurli ovunque anche perché come lui dice all’inizio del suo viaggio “Ciò che non ti uccide te rompe li cojoni”.
  • Come dargli torto?

Il peccato - il furore di Michelangelo



Alberto Testone in questo meraviglioso lavoro diretto da Andrej Koncalovskij, è Michelangelo Buonarroti, lo scultore ispirato e geniale, il Maestro, l’uomo inseguito e messo alle strette dai suoi mecenati, due famiglie rivali, i Medici e i Della Rovere, verso le quali mostra gratitudine e riconoscenza.

Il marchese Malaspina, interpretato dall’impeccabile Orso Maria Guerrini, accoglie e ospita Michelangelo che dovrà scegliere un pezzo gigantesco di quel marmo di Carrara che ama immensamente.

Oltre agli intensi dialoghi tra il marchese e lo scultore, mi hanno colpito le scene nelle cave di Carrara dove lavoravano senza sosta e con dedizione uomini abili e instancabili.

Il regista ricostruisce il Rinascimento con i suoi usi e costumi e tutti i personaggi che ruotano intorno alla figura di Michelangelo, dalla famiglia, a Sansovino e Raffaello, hanno avuto tutti un peso nell’evoluzione dell’artista e dell’uomo.

Sono molto belli i dialoghi tra i personaggi che incontriamo nel film, le richieste dei diversi mecenati che sembrano imposizioni ma sono quasi delle suppliche rivolte all’immenso scultore capace di opere perfette.

Testone sa tradurre in maniera straordinaria tutta la fragilità e la grandiosità di uno dei più grandi artisti del Rinascimento, e in questo film è possibile ascoltare la voce interiore, l’ispirazione e la disperazione di un uomo. 

Una regia accurata, un cast armonioso per un film che è possibile ammirare su Raiplay.

 Un viaggio artistico, storico e umano da vedere assolutamente.




Delicieux: L’amore è servito


Questa sera ho visto un film delizioso, diretto da Eric Besnard dove la storia della Rivoluzione Francese in procinto di scoppiare, s’intreccia con quella di uno chef ambizioso e licenziato e di una marchesa vedova e desiderosa di avere un posto nel mondo. 

Gregory Gadebois è Pierre lo straordinario chef che accoglie nella sua casa in campagna Louise, la bellissima Isabelle Carré, che mente sulla sua reale identità e resta tutta la notte sotto la pioggia, addormentandosi nel fienile prima di essere ricevuta dal padrone di casa.

Il menu sofisticato di Pierre Manceron imposto dal duca di Chamfort, per il quale lavorava prima di essere licenziato, si trasforma grazie a Louise che propone piatti gustosi e alla portata di tutti coloro che si fermeranno a mangiare.

Quello che Pierre e Louise realizzeranno, è il primo ristorante della storia.

Siamo nel 1789.

Il clima rivoluzionario agita gli animi dei parigini ma Pierre in campagna allontanerà la tensione impegnato ai fornelli dove realizzerà un’altra grande rivoluzione.

È una bella prima visione su Sky.



Tre sorelle


 Ci sono tutte le sfaccettature dell’amore in questo film diretto da Enrico Vanzina dove il romanzo come genere letterario non solo è nobilitato ma ispira belle riflessioni al saggio e carismatico papà (Luca Ward) di tre sorelle nate da madri diverse e che lo amano alla follia nell’illusione di trovare l’uomo della loro vita. Marina (Serena Autieri) crede di averlo trovato da vent’anni, è un medico affermato, ha anche dei figli con lui ma un giorno d’estate scopre che ha una predilezione per gli uomini. Poi c’è Sabrina (Giulia Bevilacqua) sposata con un avvocato (Augusto Fornari) che non le dà le attenzioni che vorrebbe e infine Caterina (Chiara Francini) forse la più disperata delle tre, una costumista single e alla ricerca del grande amore. La vacanza al Circeo sarà illuminante per le tre sorelle che saranno sedotte da un famoso scrittore, interpretato dal bravo Fabio Troiano che si divertirà a illuderle fino all’arrivo di sua moglie.

C’è una quarta donna, la massaggiatrice di Marina, Lorena (Rocío Munoz Morales) che sarà invitata a trascorrere delle giornate di vacanza nella casa al mare della signora Marina.

È una storia spassosa, in cui emerge la fragilità e la forza delle donne che insieme possono essere più forti e solidali.

Una parte interessante è interpretata da Massimiliano  Rosolino, marinaio affascinante e seduttore che alla fine s’innamorerà di una donna bellissima.

Le musiche sono di Umberto Smaila, Silvio Amato ed Enrico Vanzina.

Il film seduce per il clima vacanziero e le scene girate nella suggestiva isola della maga Circe, il Circeo.

Ammirai sul palco del Sistina nella commedia musicale Rinaldo in campo, la Autieri con Troiano e mi è piaciuto ritrovarli insieme in questo film 

È stata una piacevole scoperta, da questa sera su Amazon.



Qui rido io



 Mario Martone nel film su Eduardo Scarpetta che approda questa sera su Sky, tratteggia egregiamente la figura del commediografo, capocomico, attore e capostipite della formidabile dinastia degli Scarpetta - De Filippo che porteranno il teatro italiano nel mondo.

Le scene di Miseria e nobiltà danno inizio al racconto di una vita luminosa dedicata al teatro e alla famiglia numerosa, dove sono tutti fratelli e sorelle, ma i figli riconosciuti da Scarpetta saranno solo tre, con una particolare predilezione per Maria e ostilità verso Vincenzo, interpretato magnificamente  da Eduardo Scarpetta, il pronipote del commediografo che ha conquistato grazie alla sua impeccabile prova d’attore, un David di Donatello come Miglior Attore Non Protagonista.

La Napoli ottocentesca accolse con entusiasmo la comicità e la macchietta scarpettiana, riempiendo i teatri di risate e di applausi fino a quando una parodia d’annunziana de Il figlio di Iorio, portò in tribunale Eduardo Scarpetta  che vincerà la causa ma di lì a poco si ritirerà definitivamente dalle scene, affidando la compagnia al figlio Vincenzo.

È una storia meravigliosa che mostra il bello e il gelo del teatro, quello che Eduardo, qualche anno più tardi, spiegherà nelle sue amate commedie e per la quale è stato scelto un cast incantevole a partire da Toni Servillo nei panni di Scarpetta a quelli di tutti gli altri attori, in particolare modo Lino Musella che interpreta la parte di Benedetto Croce, l’avvocato difensore del povero commediografo ingiustamente calunniato.

Affascinante e struggente è Cristiana Dell’Anna nei panni della sofferta mamma dei tre fratelli De Filippo.

Fantastiche le scene a Villa Santarella che Scarpetta acquistò con gli incassi della commedia Qui rido io dove accolse tutti gli scrittori napoletani da Salvatore Di Giacomo a Libero Bovio per mostrare la sua disponibilità e mettere fine all’inutile battaglia per il teatro d’arte.

Commuove il finale.

 Qui rido io è un grande omaggio alla storia del teatro, da vedere e rivedere. 

Covid - 19 la panchina degli incontri inaspettati


Tra negazionisti, complottisti e poveri cristi spaventati e impotenti, si è consumata la prima fase dell’emergenza Covid-19 che il regista Stefano Calvagna racconta nell’omonimo film, da una prospettiva particolare: la panchina Campo Farnia-Pellaro, una fermata dell’autobus di Roma Appia Quarto Miglio. 

Su quella panchina Niccolò, un ragazzo curioso e sensibile, conosce Covid-19 (David Capoccetti) anche se le sembianze sono quelle di un bel giovane biondo quasi angelico ma dallo sguardo perfido e sfuggente.

Si tratta proprio del virus in persona quello incontrato da Niccolò, il quale cerca di capire come ognuno di noi, chi sia, da dove venga e quando se ne andrà.

“Io ce so’ sempre stato… faccio parte dell’ambiente” afferma COVID.

Sulla panchina Nic si confronta con Claudio, un uomo sulla cinquantina disoccupato e preoccupato per la sua fine e per quella dell’umanità.

Sono intensi i dialoghi scritti da Calvagna, una fotografia nitida e autentica dei mesi che abbiamo vissuto, quelli del lockdown con scuole chiuse, cinema e teatri deserti.

Estremamente bella la scena del teatro nel quale vive Oreste (Emanuele Cerman), declamando e aggrappandosi ai suoi sogni e alla passione che lo sostiene e anima nel tempo immobile imposto da colui che è stato messo sul piedistallo da un’umanità disorientata e smarrita.

Niccolò si confronta con le generazioni dalle quali può essere guidato ed erudito.

Molto importante è la figura del nonno, malato e vedovo, affranto e affettuoso, interpretato da Maurizio Mattioli.

Belle le corse dei cavalli a Capannelle, una parentesi di pace e svago per Niccolò e per l’ amico Claudio che ha appena trovato un lavoretto per tirare a campare ma andrà incontro al suo destino con coraggio e dignità.

Il finale amaro è interpretato da Stefano Calvagna, attore oltre che regista.

Delizioso Niccolò Calvagna, seduto sulla panchina a parlare come fosse un piccolo Forrest Gump però più intelligente e consapevole e apprezzabile Claudio Vanni, l’amico adulto e sconsolato che offre il suo tempo e la sua preziosa compagnia al giovane studente.

Un bell’esempio di cinema al tempo del COVID con tutte le sue varianti.

Ne consiglio la visione su Amazon Prime.





The Tender Bar. Il bar delle grandi speranze

 Per fortuna ci sono i libri che ispirano i film e questo grazie al fatto che l'editoria tende verso l'autobiografia e George Clooney si è lasciato sedurre dalla storia dello scrittore statunitense J. R. Moeheringer vincitore del premio Pulitzer con The Tender Bar.

Con delicatezza e garbo il regista ripercorre le vicende autobiografiche narrate nel libro di Moeheringer il quale mostra la sua adolescenza alla costante ricerca di una figura maschile di riferimento, avendo un padre anaffettivo e assente.

Tutto ha inizio nel 1973, anno in cui la mamma (Lily Rabe) con il piccolo Jr (Daniel Ranieri), si trasferiscono dai nonni.

Il nonno apparentemente burbero e irresponsabile, il magnifico Christopher Lloyd, accompagna in qualche modo la crescita del nipote ma chi diventa un riferimento assoluto per il piccolo è lo zio Charlie, interpretato da un impeccabile Ben Affleck, il quale esorta suo nipote a rispettare le donne con la frase "non picchiare mai una donna in nessuna circostanza, neanche se ti pugnala con le forbici" e lo segue e guida fino a quando gli lascia le chiavi della sua Cadillac per andare a conquistarsi il suo posto nel mondo.

Nel bar dove il giovane Jr (Tye Sheridan) torna, colui che è ormai uno studente universitario, trova gli stimoli letterari ma non potrebbe essere altrimenti visto che il bar si chiama The Dickens Bar come l'immenso romanziere inglese.

Il fatto che le autobiografie "stanno andando molto" frase che torna spesso nel film, è un chiaro riferimento sia al libro che è stato d'ispirazione per questo film che a Open, la celebre biografia di Andre Agassi curata dallo stesso Moeheringer.

C’è anche una storia d’amore per il giovane scrittore, infatti ama e viene lasciato ripetutamente dalla borghese Sidney, la bellissima Briana Middleton fino a quando lei sposa un altro. 

Questo è un film sulla consapevolezza che nessuna persona è destinata al fallimento e che è possibile trovare un maestro di vita e qualcuno capace di prendersi cura degli altri anche dietro a un bancone del bar.

E' una produzione Amazon Studios.

Ne consiglio la visione!

La befana vien di notte


 La storia della befana mi seduce da sempre, lei così anziana e agile sulla sua scopa che la conduce la notte del 6 gennaio nelle camerette dei bambini che attendono il regalo richiesto nella letterina scritta con tanta fiducia ed entusiasmo alla vecchia signora col cappello appuntito, i capelli grigi, le unghie lunghe, lei che è  una specie di nonna collettiva, che vive con la consapevolezza di far felice una volta l’anno, tutti i bambini del mondo.

Mossa da questo amore, ho trovato su prime video un film che non avevo ancora visto e di cui ho concluso la visione con le lacrime agli occhi.

La befana vien di notte per la regia di Michele Soavi e con Nicola Guaglianone come sceneggiatore è la storia della vecchia signora più amata di tutti e meno agiata rispetto a Babbo Natale che può scorrazzare sulla slitta trainata da splendide renne e col vestito rosso e caldo, non liso come quello della befana di notte e maestra di giorno, la maestra Paola.

Lei non è nata al Polo Nord ma a Palestrina nel 1481 e vive da 537 anni a Val di Lana sulle Dolomiti.

La sinossi

Al centro del film c’è la storia di Paola, maestra di scuola elementaregiovane e bella di giorno che, di notte, si trasforma nella celebre Befana. Proprio a ridosso del 6 gennaio, però, la ragazza viene rapita da Mr. Johnny, un leggendario produttore di giocattoli: l’uomo vuole vendicarsi della Befana che, quando era piccolo, ha involontariamente rovinato la sua infanzia. In soccorso di Paola corrono sei alunni: a bordo delle loro biciclette, i piccoli si apprestano a vivere un’avventura che cambierà per sempre le loro vite.

Un’avventura che si svolge in un luogo pieno di magia, al di là del film. Un luogo avventuroso, di quelli che ti fanno innamorare. Che ti rapiscono per la sua bellezza, che ti conquistano fin dal primo sguardo. “La befana vien di notte” infatti, piace per la sceneggiatura divertente ma piace, ancor di più, per i paesaggi in cui si muovono i protagonisti.

I suoi alunni, sei bambini meravigliosi, sono disposti ad affrontare qualsiasi difficoltà pur di salvare la loro maestra imprigionata nella fabbrica di giocattoli di Mr Johnny. Finiscono nella casa di un uomo che finge di salvarli dai lupo, offre loro da mangiare e un rifugio per la notte ma durante la notte getta le loro biciclette dentro la pressa idraulica dove finiranno anche loro.

Tra entusiasmanti ed estenuanti corse a ostacoli, i bambini trovano la loro amata maestra la quale promette al suo ex allievo divenuto un uomo malvagio di consegnare tutte le lettere dei bambini nascoste in alta montagna in un luogo pericolosissimo.

Sembra che il male abbia vinto sul bene ma alla fine il bene vince e il compito della befana proseguirà per sempre.

Splendida Paola Cortellesi nei panni della befana di notte. 

È una storia meravigliosa che non finirà mai d’incantarmi e che potrete vedere su Amazon exclusive ancora per qualche giorno.


L’uomo dal fiore in bocca con Gabriele Lavia




 Il dialogo in un atto tra l’uomo dal fiore in bocca e il pacifico avventore derivato dalla novella Caffè notturno (1918), sembra scritto per essere recitato come un’ode alla vita che se ne va e la poeticità del soliloquio ha reso L’uomo dal fiore in bocca un capolavoro del teatro Pirandelliano che nel film diretto e interpretato da Gabriele Lavia nei panni dell’uomo dal fiore e da Michele Demaria in quelli dell’avventore pacifico, si consuma all’interno di una stazione in una notte di confessioni, rivelazioni e stupore.

Quelle che sembrano delle tremende sciagure per l’uomo semplice e buono incontrato dall’uomo dal fiore, che vorrebbe ammazzarsi per aver perso il treno e disperato per gli imprevisti quotidiani che elenca al suo saggio confidente in cerca di vita a cui aggrapparsi perché la sua sta fuggendo, danno la misura della contemporaneità della scrittura Pirandelliana accomodata da Lavia, il quale conserva alcuni momenti dei dialogo, recitandone di nuovi e bellissimi.

Danzare sui binari l’uno fradicio e scalzo e l’altro con cappello in testa e in cerca di attaccarsi alla vita degli altri, è un momento bellissimo del film dove Michele Demaria nei panni bagnati di un uomo pacifico, è meraviglioso. 

Lavia con lo sguardo di chi ha scritta in faccia la sua fine il più tardi possibile, prova a spiegare all’interlocutore sconosciuto che “l’uomo non è mai così grande grande grande come quando si sente piccolo piccolo piccolo e un uomo non è mai così piccolo piccolo piccolo come quando si sente grande grande grande e allora vede grandi le cose piccole”.

La scena descritta da Pirandello dei pacchetti confezionati dai giovani di negozio di bottega è sognante.

Il treno che giunge e che lascia per la seconda volta l’avventore alla stazione, è fonte di ulteriore amarezza per l’uomo piccolo piccolo piccolo che si dispera per niente.

Si finisce per amare l’uomo dal fiore in bocca e per pregare per lui, contando il maggior numero di fili d’erba, una cortesia chiesta al suo nuovo amico prima di congedarsi, con la speranza che equivarranno ai giorni che gli resteranno da vivere.

Un film meraviglioso che merita di essere ammirato su Raiplay.

Lasciarsi un giorno a Roma




Amore, letteratura, amicizia su Sky Original con il film di e con Edoardo Leo Lasciarsi un giorno a Roma.

La città eterna è lo scenario ideale per spiegare come sia difficile mettere fine a una storia durata dieci anni.

Edoardo è Tommaso, o Tom come ama chiamarlo la sua Zoe, la giovane e bellissima spagnola interpretata da Marta Nieto, che amai nel film madre di Sorogoyen.

Tom scrive romanzi e sente la sua donna sempre più lontana anche se la vorrebbe Sempre e per sempre accanto, come canta De Gregori nella splendida canzone che possiamo ascoltare in una scena del film.

Probabilmente anche lui si sta allontanando e si nasconde dietro quel Marquez della chat con il quale Zoe si confida, ignara di tutto.

Anche un’altra coppia sta in crisi, quella formata dalla sindaca di Roma e interpretata dalla Gerini e di suo marito, Stefano Fresi.

Appena è iniziato il film ho pensato subito il regista si fosse ispirato ad Allen per l’analisi introspettiva oppure che avesse tratto ispirazione dalla letteratura.

Il film ha una forza dirompente e mostra una verità difficile da ammettere: la paura d’impegnarsi oggi frastornati dal lavoro e da una società che fagocita sogni e sentimenti e dove non si ha il tempo per capire davvero cosa si vuole fare nella vita.

Non si capisce mai fino in fondo se dopo tanti anni di convivenza ci si debba lasciare oppure se vale la pena restare insieme.

Ho amato moltissimo la Nieto che nel film di Rodrigo Sorogoyen, sa esprimere intensamente il dolore di una madre, l’elaborazione di un lutto per l’assurda perdita del suo piccolo.È un film pieno di sguardi persi nel dolore più profondo. È una storia che coinvolge e che resta dentro anche dopo la visione del film e per questo  ho scelto di vedere questo film di Edoardo Leo che ha fatto un’ottima scelta con lei.

Ho apprezzato molto le scene girate sul Tevere, sia quelle sul barcone che le passeggiate in bici sul fiume di Roma un tempo ‘biondo’ ora non più.

Questa lungometraggio, il quarto di Edoardo Leo, è dal primo gennaio 2022 su Sky Original e ne consiglio la visione.








I fratelli De Filippo su Raiuno

Che cos’è il teatro?

Ce lo spiegano i fratelli De Filippo attraverso il loro percorso artistico lastricato di difficoltà eppure così luminoso da consegnarsi all’eternità, come accade solo ai Grandi.

Ho sempre pensato che essere stati i ‘figli’ di serie B del Maestro Scarpetta, dev’essere stato devastante sia dal punto di vista morale ed emotivo che pratico.

La fame nei primi del ‘900 era una cosa difficile da sopportare per tre bambini che accanto al nome portavano il cognome materno e costretti a chiamare zio quel padre drammaturgo ricco e famoso osannato a Napoli.

Ebbene, questo lasso di tempo, un trentennio circa, a partire dalla giovane età di Eduardo, di Peppino e Titina fino al successo dell’atto unico Natale in casa Cupiello al Cine Teatro Kursaal nel 1931 che poi diventerà la commedia in tre atti che noi tutti abbiamo amato, è quello raccontato nel film diretto da Sergio Rubini e in prima visione su Rai uno ieri sera e su Raiplay per chi se lo fosse perso.



Il film è corale, ogni singolo attore contribuisce a renderlo autentico ed emozionante dall’Eduardo Scarpetta talentuoso e vitale rappresentato da un eccezionale Giancarlo Giannini per l’occasione senza i soliti baffi, che la straordinaria e amorevole mamma dei De Filippo, Luisa, nipote di Rosa, moglie di Scarpetta, la bellissima Susy Del Giudice.

Mauro Autore ha interpretato il ruolo più difficile, quello di Eduardo ed è stato all’altezza nel suo primo film. 

Mi è piaciuto molto anche Domenico Pinelli nei panni di Peppino che si scontrerà per tutto il tempo della loro lunga collaborazione con il fratello maggiore, evidentemente più ispirato, geniale e talentuoso.

Rappresentare la gigantesca Titina, sorella amatissima da Eduardo e immensa fonte d’ispirazione per le opere più belle come Filumena Marturano, è stato un compito altrettanto arduo per Anna Ferraioli Ravel.

Lo sguardo rivolto alla mamma Luisa De Filippo da parte dei tre figli ormai famosi dopo il debutto della celeberrima commedia il 25 dicembre, è indubbiamente il finale più bello e commovente per una storia raccontata con delicatezza e passione.

Le musiche sono del Maestro Nicola Piovani.

Rivolgo un grazie sincero a Sergio Rubini per la splendida idea e per la realizzazione di un progetto ambizioso e destinato al successo.

La bella e la bestia live action


  Jean Marie - Leprince de Beaumont, l’autrice della sognante fiaba La bella e la bestia, nel ‘700 descrisse  un mondo dove trionfa il bene sul male e soprattutto dove i buoni, caparbi e coraggiosi, meritano il premio più ambito: l’amore e la felicità dopo il dolore e le privazioni.

A ciò è legato il successo della storia che ha ispirato diversi registi nel tempo. Il film mi ha incantato nella versione animata della Disney del 1991 che vidi una volta tornata dalla Francia dove uscì prima che nel nostro Paese e io attesi con ansia di vederlo.

Questa sera ho ammirato la versione in live action diretto da Bill Condon nel 2017 con Emma Watson nei panni dell’affascinante Bella e Dan Stevens in quelli del principe trasformato in Bestia.

Conosco la storia eppure mi sono emozionata ad ogni scena, le più spettacolari sono state quelle in cui la servitù trasformata in Lumière (Ewan McGregor), Mrs Bric (Emma Thomson) solo per citarne due, danzano e cantano per socializzare e per dimostrare la loro gratitudine verso l’unica ragazza entrata nel castello e che potrebbe sciogliere l’incantesimo che ha trasformato  tutti in oggetti animati.




I petali della rosa smetteranno di cadere e il sole primaverile prenderà il posto della neve nel gelido inverno che avvolge la bestia imprigionata nel suo castello stregato.

Ho ammirato moltissimo Kevin Kline nei panni di Maurice, il padre di Bella che ha perso sua moglie per colpa della peste e che costruisce carillon per campare.

Padre e figlia vivono in un paesino della Francia e conducono un’esistenza misera ma serena fino a quando il destino li metterà di fronte a un’altra prova difficile da superare, dopo la prematura scomparsa della moglie di Maurice e madre di Bella.

 Anche in questo film è possibile ascoltare e canticchiare la bellissima canzone di Gino Paoli e Amanda Sandrelli.

C'è una bestia che
S'addormenterà
Ogni volta che
Bella come sei le sorriderai
Quel che non si può
Neanche immaginar
È una realtà
Che succede già
E spaventa un po'
Ti sorprenderà
Come il sole ad est
Quando sale su
E spalanca il blu
Nell'immensità
Ti sorprenderà
Come il sole ad est
Quando sale su
E spalanca il blu
Nell'immensità
Stessa melodia
Un'altra armonia
Semplice magia
Che ti cambierà
Ti riscalderà
Quando sembra che
Non succeda più
Ti riporta via
Come la marea
La felicità
Ti riporta via
Come la marea
La felicità
Ti riporta via
La felicità

Di sogni simili si ha veramente bisogno. 

Il cattivo poeta


 Italia, 1936. Giovanni Comini è appena stato promosso alla carica di Federale e viene trasferito a Roma per una missione delicata: vegliare sullo scrittore Gabriele D'Annunzio e fare in modo che non dia nessun tipo di problema. D'Annunzio, poeta riconosciuto a livello nazionale, è sempre più inquieto e Benito Mussolini teme che possa minare l'alleanza con la Germania nazista.

È intriso di storia e malinconia il film scritto e diretto da Gianluca Jodice che guida con sapienza e stile, un cast d’immensa bravura a partire da Sergio Castellitto nei panni del Vate, a Francesco Patanè in quelli di Giovanni Comini a Paolo Graziosi, suo padre.

Sono ricostruiti gli ultimi tre anni della vita di Gabriele D’Annunzio, uomo capace di amare e stregare le sue donne, d’incantare il suo interlocutore con intense riflessioni sulla vita, sulla politica e sul linguaggio che a suo dire “rende estraneo ciò che è intimo e così è per la politica, è un tradimento degli ideali, di una passione autentica”.

È estremamente poetica e al tempo stesso malinconica la scena  in cui il Vate confessa a Giovanni il peso e la piacevolezza della sua vita da recluso nel Vittoriale. 

L’amicizia con il duce è ormai un vago ricordo perché “il sangue comincia a sgorgare dal corpo dell’Italia”.

Il Vate ha 74 anni, è malato eppure ama ed è accudito dalle sue donne, la fedele musa e amante, la pianista di successo Luisa Baccarà (Elena Bucci), la quale ricorda e rimpiange l’amato passato felice trascorso con Gabriele ormai vacillante, ossessionato dalla visione dei topi che infestano la casa e amareggiato per le sorti dell’Italia e Amelie.

Il tempo del film è scandito dalle ultime stagioni vissute dal Vate, che vince il terrore dello specchio mattutino, essendo ormai vecchio e solo pur essendo circondato da una massa di uomini squallidi e approfittatori.

Morto Guglielmo Marconi, Mussolini lo nomina successore dell’Accademia d’Italia, ma questo non lusinga e inorgoglisce D’Annunzio. 

Il Vate che per Achille Starace “è come un dente guasto. O lo si ricopre d’oro o lo si estirpa” si congeda dal mondo che sta cambiando perché sta entrando in guerra.

“I maestri insegnano sempre delle cose che non si possono imparare” dice Amelie (Clotilde Courau) rivolgendosi a Giovanni e questo film contiene un’immagine di D’Annunzio estremamente bella e coinvolgente.

Il cattivo poeta è in prima visione su Sky e ne consiglio la visione.


PennadorodiTania CroceDesign byIole