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La gente di Cerami

Due impeccabili attori come Massimo Wertmuller e Anna Ferruzzo e due musicisti come Alessio Mancini al flauto/chitarra Sergio Colicchio alla tastiera/fisarmonica, con la regia di Norma Martelli e la direzione artistica di Nicola Piovani, danno vita al vociare dei personaggi descritti magnificamente da Vincenzo Cerami nella sua raccolta di racconti brevi del 1993 intitolata "La gente".

Storie fulminanti, vicende quotidiane con uomini che mostrano le fragili impalcature su cui si sorregge una precaria normalità. Squarci di vita percorsi da brividi di stranezza, giocosità e dolore in un'Italia che senza clamori continua a digerire i suoi mali. 
Lo scrittore lancia strali fatti di "povere parole"; e nella narrazione dal ritmo sempre serrato, sospesa in un'atmosfera oscillante tra la satira e l'enigma, sottili inquietudini si affacciano e si insinuano disseminando di colpi di scena ogni racconto.

In questo splendido atto unico, cambiano tempi e costume, abitudini, cappelli e stati d'animo Massimo e Anna, incontrandosi, corteggiandosi, ridendo, piangendo, sussurrando, declamando e cantando come solo due grandi interpreti sanno fare e regalando agli spettatori, immagini splendide della Roma petroliniana e di quella del boom economico, e portando in scena belle anime, fragili oppure ridicole ma sempre e comunque straordinarie.

Lo spettacolo che diverte e fa riflettere sulla fragilità di noi umani, sarà in scena dal 7 al 17 marzo, regalando grandi e belle emozioni.

I racconti di  Vincenzo Cerami sono adattati da Aisha Cerami con Massimo Wertmuller e Anna Ferruzzo, musiche di Nicola Piovani eseguite dal vivo da  Alessio Mancini flauto/chitarra Sergio Colicchio tastiera/fisarmonica, regia di Norma Martelli
spazio scenico Sandra Viktoria Müller
costumi Silvia Polidori
disegno luci Danilo Facco
ufficio stampa Daniela Bendoni
organizzazione Rosi Tranfaglia
produzione COMPAGNIA DELLA LUNA
Direzione artistica Nicola Piovani
di Tania Croce

Il principio di Archimede

"Siamo tutti spaventati" è la battuta conclusiva pronunciata da Anna ne Il principio di Archimede (El principi d'Arquimedes - Arola Editors 2012), una summa del testo e del messaggio lanciato dal suo autore Josep Maria Miró, giunto a Roma per presentare allo Spazio Diamante con Pupi e Fresedde - Teatro di Rifredi, il libro Teatro, edito da Cuepress e tradotto dal regista Angelo Savelli in collaborazione con Josep Anton Codina e per assistere allo spettacolo tornato nella Capitale per la seconda volta (la prima nel 2015 al Teatro L'Aura) dopo un viaggio lunghissimo che ha toccato la Spagna, la Russia, La Grecia, l'Inghilterra, il Messico, gli Stati Uniti, il Brasile, la Germania, l'Uruguay, Cipro, la Turchia, la Polonia, l'Argentina, la Romania, l'Ecuador, il Porto Rico e l' Italia a Firenze; Impegnato come drammaturgo e immerso nel mistero che avvolge il nostro animo, Josep Maria Miró sviscera nella sua pièce il dubbio che condiziona le nostre azioni incerte, impaurite e contaminate da una realtà piena di quesiti.
Il teatro degli interrogativi dell'autore catalano originario di Vic (Barcellona), mette insieme le domande che si susseguono nel copione, nel tentativo di comprendere gli altri e noi stessi.
Come nel principio di Archimede dove ogni corpo immerso in un liquido riceve una spinta dal basso verso l'alto pari al peso del volume del liquido spostato, nell'omonima opera teatrale, i quattro personaggi: Jordi, Hector, Anna e David, sono spinti dalle dicerie, dai social, nello specifico da facebook e dalle diverse verità comunicate, dal basso del pettegolezzo verso l'alto della dignità e della reputazione a incolparsi e scolparsi, accusarsi e difendersi dalle accuse del mondo esterno.
Lo spavento domina e conclude l'atto unico in cui Giulio Maria Corso, Monica Bauco, Riccardo Naldini e Samuele Picchi, consumano i propri perché dentro lo spogliatoio di una piscina.
Il dialogo è pieno di battute interrotte di colpo e di punti interrogativi, la scena è animata da déjà-vu e flashback come fosse la fotografia dei nostri pensieri più che delle azioni compiute, dei ricordi che si agitano nella nostra mente, nel tentativo di restare a galla come il corpo immerso in un liquido teorizzato da Archimede.
E' stata un'esperienza forte, assordante come il rumore dei vetri in frantumi che paralizza, inquieta, sconcerta.

di Tania Croce

Le Troiane di Argirò all'Arcobaleno

DAL 1 AL 10 MARZO 2019
Le Troiane di Seneca

Drammaturgia e regia Giuseppe Argirò

con Cinzia Maccagnano, Maurizio Palladino, Maria Cristina Fioretti, Marco Prosperini, Silvia Falabella e Filippo Velardi

Le Troiane costituiscono l’espressione migliore del talento drammatico di Seneca. L’autore latino si emancipa dal modello euripideo, rappresentando con maggiore decisione l’orrore del conflitto sullo sfondo della città distrutta. Protagonisti della tragedia sono i vinti: le donne troiane, testimoni di un eccidio etnico e culturale, simboleggiano la parte più vulnerabile della società, colpita senza pietà dalla guerra, da ogni forma di conflitto. Troia, infatti, potrebbe essere oggi qualsiasi città del Medio Oriente, basti pensare alla bellissima zona dell’antica città romana di Palmira devastata dalle orde barbariche del terrorismo islamico. La scrittura di Seneca ci ricorda che nessuno di noi ha la coscienza pulita e il silenzio complice è il peggiore dei misfatti.

 SABATO ORE 21.00
DOMENICA ORE 17.30
La recensione
Trovo che quella di Giuseppe Argirò, sia una missione di umanesimo attraverso l'adattamento e la regia de Le Troiane di Seneca, che vorrei paragonare ad uno spettacolo teatrale su altri oppressi nella storia: gli Ebrei. Tale dramma è Akropolis, di Wyspianski, diretto da Jerzy Grotowski e inserito nella mia tesi di laurea Il teatro come veicolo d'intercultura. 
Nella Cattedrale di Cracovia, si svolge l’azione, durante la notte della Resurrezione, dove i personaggi degli arazzi e delle sculture rivivono episodi dell’Antico Testamento e dell’antichità, come radici primordiali della tradizione europea. “L’autore ha concepito la sua opera come visione panoramica della cultura mediterranea, la cui trama caratteristica si troverebbe simboleggiata nell’Acropoli polacca.”
In questa visione del “cimitero della tribù” come la definisce Wyspianski, sia il poeta che il regista concordano nell’intento di “raffigurare la somma di una civiltà e verificane i valori, assumendo come pietra di paragone il contenuto dell’esperienza contemporanea.”
“Contemporaneo” per Grotowski, coincide con la seconda metà del ventesimo secolo, e questo rende crudele la visione del regista che proietta la storia nel fumo e nelle esalazioni di Auschwitz, non più nelle effigi immortali dei monumenti del passato. Quindi il “cimitero delle tribù” dove vagava il poeta della Galizia, si trasforma in un “cimitero” nel vero senso del termine, “tale da trasformare le più audaci figurazioni poetiche in realtà.” Il regista mostra l’orrore e la bruttezza della sofferenza, dove “l’umanità viene ridotta a primari riflessi animali: in una promiscuità malsana carnefici e vittime si confondono.”
Fui colpita dalle scene a cui assistevo, in un'altra lingua, dialoghi incomprensibili e pieni di pathos, la lotta di Giacobbe e l’Angelo, il dialogo d’amore di Paride ed Elena, il lavoro estenuante degli internati condotti nei forni crematori, miseramente, senza speranza alcuna di salvarsi. 
La rappresentazione “è concepita come parafrasi poetica di un campo di concentramento” in questo Teatro Laboratorio. In Akropolis, gli attori rappresentano l’esperienza estrema: la morte, mentre gli spettatori si sono fermati nell’ambito della vita corrente. Si ha come l’impressione che i morti siano generati da un sogno dei vivi. 
Nelle Troiane è mostrato l'orrore di ogni guerra. Un mare impetuoso introduce e porta con se sul finale i personaggi della vicenda che si apre con il ricordo straziante di Ecuba. La donna è vestita di nero, avvolta dal fumo di una città ormai distrutta. Molti uomini sono morti e forse la morte li ha salvati da un presente dove ogni esistenza è fragile e minacciata. I sacrifici umani finora compiuti sono stati inutili come quello di Ifigenia da parte di Agamennone eppure Ulisse vuole uccidere il piccolo Astianatte, figlio dell'eroe troiano Ettore, per scongiurare il pericolo che ricostruisca la città.
Pirro è animato dal proposito di uccidere Polissena, figlia del re di Troia, perché ritenuta causa della morte di suo padre Achille.
Vincitori e vinti continuano ad alimentare odio e la guerra prosegue tra le ceneri di una città che fu grandiosa. 
Tra uomini che indossano divise militari come fossero SS nazisti e donne mogli e madri straziate dalla perdita dei propri mariti e figli,  si consuma un atto unico d'immensa bellezza dove alle donne è affidata la responsabilità e il peso di una testimonianza e il racconto della bellezza della vita e la rassegnazione di fronte alla morte.

di Tania Croce

Se questo è un uomo per non dimenticare

C'era un pubblico giovanissimo silenzioso e attonito ieri sera al reading di Daniele Salvo che a 70 anni di distanza, rievoca le parole di "Se questo è un uomo" di Primo Levi, dov'è raccontata una delle pagine più atroci della storia di tutti i tempi, quella dei lager nazisti dove vennero gettati violentemente uomini, donne e bambini, di cui non si seppe più nulla, di alcuni solo foto strazianti di visi e di corpi accatastati senza vestiti, capelli, dignità.
In un campo di 'annientamento', su 650 ebrei italiani ne sopravvivono 20, di cui uno, un chimico chiamato Primo Levi, decide di raccontare, una volta liberato, l'orrore vissuto nei tre anni di lavoro forzato e spietato, al gelo in un tempo senza calore umano, senza pietà, senza sogni, senza affetti, senza futuro.
Nel suo memoriale, un diario lucido e suggestivo degli anni nel campo di distruzione degli ebrei, Levi scrisse pagine agghiaccianti eppure utili per far sapere ciò che accadde in quel periodo e le parole scritte e impresse dolorosamente nel suo libro, scorrono nello spettacolo omaggio di Daniele Salvo, il quale, affiancato da Martino Duane, Patrizio Cigliano e Simone Ciampi, tra musiche assordanti, i rumori delle bombe e le immagini strazianti di quei luoghi e di quei corpi, occhi, volti, s'immerge e annega tra le voci dei narratori come un'eco di quest'umanità massacrata e dimenticata.

E' stato come sprofondare nel dolore e nelle ferite di un'umanità che la storia non ha saputo rimarginare.
Questo viaggio evocativo e assordante, sarà al Ghione fino al 10 marzo. 

di Tania Croce

Shakespeare Re di Napoli

La dominazione spagnola del '600 è lo scenario di Shakespeare Re di Napoli di Ruggero Cappuccio, il fortunato testo in napoletano antico che, come in una favola, racconta laddove la comprensione giunge, l'entusiasmo carnevalesco di Zoroastro (Ciro Damiano), l'amico alchimista di Desiderio (Claudio Di Palma) dotato di una solarità e un ottimismo fuori dal comune.
Si narra di un viaggio in Inghilterra, di un certo Wuacca (W. H), ossia Willie Huges, di un forziere contenente versi sbiaditi e seducenti.
Siamo nella Napoli dominata dagli spagnoli in un altro copione che vorrei prendere in esame, dove il capopopolo Masaniello (interpretato da Domenico Modugno) osò sfidare i Viceré approfittando di un giorno di festa come scrisse Eduardo nel suo dramma storico Tommaso d'Amalfi (Cantata dei giorni dispari, Einaudi, 1966), per ribellarsi alle gabelle (tasse) imposte al popolo. Nel 1994 Cappuccio narra le prodezze di Zoroastro per introdursi nel castello del Viceré travestito da donna, perché a carnevale il travestimento è d'uopo.
Mentre quella di Masaniello fu una rivoluzione durata dieci giorni, per ricostruire la quale Eduardo attinse a testi francesi del '600 come L'Histoire de la rèvolution du Royaume de Naples dans les années 1647/1648 di M. De Lussan edita a Parigi e ad altri testi storici, che ho citato perché A. Barsotti scrisse nell'introduzione di quest'opera che nella stesura di questo copione "Riaffiora senza dubbio, dalla memoria scenica dell'autore la lezione appresa da Shakespeare: per l'uso del teatro nel teatro e per l'innesto del comico nel tragico", quello di Zoroastro e di Desiderio è un incontro poetico e indissolubile attraverso due linguaggi così diversi e musicali come il napoletano e l'inglese.
L'innesto del comico nel tragico è presente anche in questo atto unico di rara bellezza che compie venticinque anni accompagnato dagli applausi e dai successi meritatissimi anche fuori dall'Italia.
L'Inghilterra pestilenziale, la Napoli dominata dagli spagnoli s'incontrano ma quella è la vita reale, mentre il mondo visionario e fantastico dei due protagonisti, li conduce altrove.
La cornice senza tela è il quadro conclusivo in cui è inserita la magnifica fiaba teatrale dell'autore, la visione dell'altrove all'ennesima potenza.

di Tania Croce


                                      La tesi di laurea di cui ho citato alcuni passaggi

La commedia di Gaetanaccio

Era il 1978 quando Gigi Proietti con Luisa De Santis, Daria Nicolodi e gli allievi del Laboratorio di Esercitazioni Sceniche, per il Brancaccio ha prodotto e messo in scena il primo grande spettacolo per il quale scrive assieme a Piero Pintucci (autore degli arrangiamenti), le bellissime canzoni; i testi sono di Gigi Magni. È il 2019 e torna a teatro dopo più di quarant'anni, la storia di Gaetano Santangelo detto Gaetanaccio, un burattinaio ribelle che sopravvive nella Roma papalina di fine '800 tra le piazze e il carcere e sognando una vita migliore nel suo teatrino delle marionette con l'amata Nina. Questa volta è Giorgio Tirabassi a indossare gli abiti lisi del burattinaio romano che passa il tempo a lottare contro i morsi della fame e a sognare senza scendere mai a compromessi, cantando sotto la finestra della sua Nina, la seducente popolana, l'attrice e cantante Carlotta Proietti, la quale incanta attraverso la sua voce soave e la mimica paterna. Traversa i due tempi la figura della morte, interpretata dalla splendida Elisabetta De Vito, la quale indossa anch'essa un costume meraviglioso realizzato da Santuzza Calì.
Un personaggio emblematico è quello interpretato da Carlo Ragone, Fiorillo, giunto nella casa di Gaetano come una condanna o una benedizione. Ragone ha le movenze di una marionetta, è uno zanni abilissimo ossia un personaggio del teatro comico dell'antica Roma, divenuto in seguito maschera della commedia dell'arte. E' somigliante agli amati burattini di Gaetanaccio, per cui quando finge di essere colpito a morte dal burattinaio, s'irrigidisce come uno dei suoi burattini di legno, ingannando il sognatore e ingenuo uomo del popolo.
E così l'inventore di Rugantino, rivive sulle tavole del teatro Eliseo, con il volto e la voce di Tirabassi, il quale regala al pubblico della prima e ai tanti vip presenti, primo fra tutti Gigi Proietti, Pippo Baudo, Paola Gassman, Ugo Pagliai, Lina Sastri, Gennaro Cannavacciuolo, Francesco Pannofino ed Emanuela Rossi una bella commedia diretta abilmente da Giancarlo Fares.

di Tania Croce




Produzione Teatro Eliseo
Personaggi e interpreti: 
Giorgio Tirabassi          Gaetanaccio
Carlotta Proietti           Nina
Carlo Ragone               Fiorillo
Elisabetta De Vito        Morte
Daniele Parisi               Governatore / Prologo
Marco Blanchi              Porporato
Enrico Ottaviano         Meo Patacca / Papa
Pietro Rebora               Carceriere / Gentiluomo / Guitto
Matteo Milani              Scaramuccia / Graduato / Guardia Svizzera
Martin Loberto            Gendarme / Guitto / Gentiluomo
Viviana Simone            Guitto / Passante

Musicisti in scena
Massimo Fedeli piano e fisarmonica
Diego Bettazzi clarinettista - flautista
Stefano Ratchev violoncellista
Claudio Scimia violinista - chitarrista
Alessandro Vece violinista – mandolinista - pianista

Costumi e burattini Santuzza Calì
Scene Fabiana Di Marco
Light designer Umile Vainieri
Sound designer Manuel Terralavoro
Vocal Coach Maestro Massimo Fedeli


Coreografie Ilaria Amaldi
Durata: 2 ore compreso intervallo


TEATRO ELISEO
Da martedì 19 febbraio a domenica 10 marzo 2019

Orario spettacoli:
martedì, giovedì, venerdì e sabato ore 20.00
mercoledì e domenica ore 17.00
Sabato 23 febbraio doppio spettacolo ore 16.00 e ore 20.00

Biglietteria tel. 06.83510216
Giorni e orari: lun. 13 – 19, da martedì a sab 10.00 – 19.00, dom 10 - 16
Via Nazionale 183 – 00184 Roma
Biglietteria on-line www.teatroeliseo.com e www.vivaticket.it
Call center Vivaticket: 892234
Prezzi da 15 € a 35 € 


UFFICIO STAMPA TEATRO ELISEO
Maria Letizia Maffei

Antonella Mucciaccio




Marco Falaguasta e Lady burocrazia al Golden

In scena al teatro Golden dal 5 al 24 febbraio 2019, troviamo Lady burocrazia e il cittadino medio: Sara e Marco. Sarà possibile trasformare in futuro, attraverso il linguaggio evoluto delle nuove generazioni questo rapporto conflittuale in una convivenza onesta? E' il quesito emerso dallo spettacolo "Cotto e stracotto" con Marco Falaguasta e Sara Sartini, diretto da Tiziana Foschi e scritto con Alessandro Mancini. Ieri  pomeriggio ho riso e riflettuto parecchio con Marco, un ragazzo della mia generazione alle prese coi problemi di ieri e il nuovo linguaggio del web, aggregante per i figli e ancora lontano dalle nostre amate abitudini, Abituato anzi rassegnato a tutto, Marco si racconta, correndo come un runner allenato tra le disastrose file negli uffici della Capitale, per ottenere i permessi necessari per aprire una bella pizzeria, oppure per contestare la multa ricevuta dalla madre, per eccesso di velocità, il momento sicuramente più divertente e ironico dello spettacolo.
Forse la soluzione per i cittadini romani è affittare un cassonetto, dotandoli di una bottiglietta di #iodopovidone, un disinfettante antibatterico più efficace dell'acqua ossigenata, che pare nel tempo diventi acqua marcia e anziché disinfettare, infetta.
Scopritelo al Teatro Golden.
  
di Tania Croce


Le memorie di un sognatore al Ghione

Le notti bianche è un racconto sentimentale dove l'eroe solitario come l'anima bella schilleriana che vive nel regno dell'ideale e dell'utopia estetica astratta, è un sognatore romantico afflitto dalla squallida realtà, il quale si rifugia nella dimensione onirica e nelle illusioni in cui il tempo è sospeso. In una notte bianca, passeggiando solitario l'eroe del racconto incontra sul lungofiume una ragazza che risveglia in lui il sentimento dell'amore, simbolo della temuta vita reale attraverso il quale fugge dal regno dei sogni per aprirsi finalmente alla vita. Ma la rivelazione della ragazza, innamorata di un altro, di cui attende il ritorno a Pietroburgo, lo farà sprofondare nelle illusioni e nella sofferenza causata dal dolore reale.
Sognavo di vedere l'adattamento teatrale di uno dei racconti che ho amato di più, scritto dalla giovane penna di Dostoevskij e ieri sera al teatro Ghione ho ammirato Giorgio Marchesi nei panni dell'eroe solitario sognatore e Camilla Diana in quelli di Nasten'ka, la giovane condannata a vivere legata alla nonna cieca eppure desiderosa di amore vero.
Il regista Francesco Giuffrè ha saputo ricreare la Pietroburgo descritta dall'autore russo e la dimensione utopistica del sognatore attraverso i giochi di luci di Luca Palmieri, le suggestive musiche classiche, i costumi in scena come a suggerire presenze fisiche, l'ultima quella dell'amato di Nasten'ka con il quale scomparirà dalla scena lasciando solo il povero e innamorato sognatore.
Tra giochi di pioggia e un ombrello che s'illumina e dal quale cadono le gocce da cui l'eroe si ripara, luci fioche nelle quattro notti in cui i due sconosciuti s'incontrano, si consuma la meravigliosa storia che racchiude un'ideologia etica di protesta.
A proposito degli attori posso dire che Giorgio Marchesi è stato impeccabile nei panni del sognatore e ho trovato in Camilla Diana la stessa grazia, bellezza ed eleganza dell'altro spettacolo nel quale l'ho ammirata dove era lo spirito dei Natali passati nel Racconto di Natale diretto da Riccardo Diana e in scena a Villa Torlonia (Racconto di Natale omaggio a Charles Dickens).

di Tania Croce

Mauri e Sturno raccontano Dostoevskij all'Eliseo

Per la terza volta la Compagnia Mauri Sturno si misura con Dostoevskij, mettendo in scena "I fratelli Karamazov", l'ultimo e fortunato romanzo dello scrittore russo che contiene un monito all'umanità intera ferita e smarrita, la quale deve cercare la propria felicità nel dolore.
Il malore che il 5 febbraio 2019 ha colpito Glauco Mauri, ha interrotto la prima all'Eliseo senza intaccare la sua voglia di mostrare sulle tavole del palcoscenico il talento che dal 1954 lo impone come uno dei grandi maestri del teatro italiano.
Venerdì 8 febbraio si è aperto il sipario sulla Compagnia che ha vestito i panni dei personaggi nati dalla penna di Fëdor Dostoevskij, i quali ruotano intorno al più grande mistero dell'uomo: l'esistenza di Dio e le conseguenze di una vita dissoluta e senz' amore.
Glauco Mauri e il regista Matteo Tarasco hanno scelto i capitoli più emblematici del romanzo, la cui summa è sicuramente rappresentata dal monologo di Roberto Sturno che è Ivàn, uno dei tre figli di Fëdor Karamazov e conduce il pubblico nel suo viaggio iniziatico attraverso Il racconto del Grande Inquisitore.
Fëdor, è un padre immerso nella menzogna e nel marciume fino al collo, vagando senza fede e pietà nel mare dell'insensatezza umana.
Il monaco Zosima (Paolo Lorimer) che apre il primo atto, invita gli uomini ad amarsi  con tutti i loro difetti ed a ricongiungersi attraverso il perdono e la fratellanza, ma il buio vince sulla luce.
Il padre avido, artefice e colpevole della sciagura che metterà fine al suo desiderio sordido e libidinoso, nel secondo tempo appare bonario e amabile grazie all'innata bontà di Mauri, uomo sorridente e solare che quasi trasforma il malvagio Fëdor in un delizioso padre da coccolare, anziché condannare.
La pièce prodotta dalla Compagnia Mauri Sturno e dalla Fondazione Teatro della Toscana, tratta un tema complesso ma i due tempi scorrono veloci e tra emozioni e gli applausi di un pubblico coinvolto e commosso.
Lo spettacolo sarà in scena al teatro Eliseo fino al 17 febbraio per proseguire la tournée in giro per l'Italia.

di Tania Croce



Il comunicato stampa



Glauco Mauri e Roberto Sturno
in
I fratelli Karamazov
di Fëdor Dostoevskij

con (in ordine di entrata)

 Paolo Lorimer, Pavel Zelinskiy, Glauco Mauri, Roberto Sturno,
Laurence Mazzoni, Luca Terracciano, Giulia Galiani, Alice Giroldini

scene Francesco Ghisu
costumi Chiara Aversano
musiche Giovanni Zappalorto
luci Alberto Biondi

Regia Matteo Tarasco

Produzione Compagnia Glauco Mauri Roberto Sturno – Fondazione Teatro della Toscana


Dostoevskij non giudica mai: racconta la vita anche nei suoi aspetti più negativi con sempre una grande pietà
per quell’essere meraviglioso e a volte orrendo che è l’essere umano

Per ben due volte la nostra compagnia ha raccontato Dostoevskij. Due assoluti capolavori: ‘L’idiota’ e ‘Delitto e castigo’. Dostoevskij, Shakespeare e Beckett sono stati i tre grandi autori che mi hanno aiutato a tentare di capire la vita: la immensa tavolozza dei colori dell’animo umano di Shakespeare, la tragedia del vivere che diventa farsa e la farsa del vivere che diventa tragedia di Beckett e Dostoevskij che mi ha fatto capire la magnifica responsabilità che ha l’uomo di comprendere l’uomo.
Dostoevskij non giudica mai: racconta la vita anche nei suoi aspetti più negativi con sempre una grande pietà per quell’essere meraviglioso e a volte orrendo che è l’essere umano.
La famiglia Karamazov devastata da litigi, violenze, incomprensioni, da un odio che può giungere al delitto, oggi come oggi appare, purtroppo, un esempio di questa nostra società così incline all’incapacità di comprendersi e di aiutarsi. Anche il sentimento dell’amore spesso viene distorto in un desiderio insensato di violenza.
Così sono i Karamazov - Così siamo noi?
Ma Dostoevskij è un grande poeta dell’animo umano e anche da una terribile storia riesce a donarci bellezza e poesia. 
Glauco Mauri

La Compagnia Glauco Mauri-Roberto Sturno in collaborazione con il Teatro della Toscana-Teatro Nazionale mette in scena I Fratelli Karamazov, l’ultimo grandioso romanzo scritto da Fëdor Dostoevskij. Di questo allestimento, versione teatrale di Glauco Mauri e Matteo Tarasco, frutto di un grande lavoro di smontaggio e rimontaggio dei capitoli fondamentali del romanzo, la regia è di Matteo Tarasco.
Glauco Mauri, che da giovanissimo (22 anni) ottenne un grande successo personale nel ruolo del fratellastro-servo Smerdjakov diretto da Andrè Barsacq, accanto a Memo Benassi, Lilla Brignone, Gianni Santuccio, Enrico Maria Salerno, è oggi il dissoluto e senza scrupoli Fëdor Pavlovič Karamazov. Roberto Sturno dà voce e corpo a Ivàn Karamazov, il più intellettuale e tormentato dei fratelli. Accanto a loro: Paolo Lorimer, Laurence Mazzoni, Pavel Zelinskiy, Luca Terracciano, Giulia Galiani, Alice Giroldini.
Le scene sono di Francesco Ghisu, i costumi di Chiara Aversano, le musiche di Giovanni Zappalorto, le luci di Alberto Biondi.

Dostoevskij per i suoi romanzi traeva spunto dalle cronache e dai casi giudiziari del suo tempo, ma anche dalle traumatiche esperienze personali, la morte violenta del padre, la propria condanna a morte, poi commutata ai lavori forzati in Siberia, il suo stesso tormento religioso: “Il tema principale de I Fratelli Karamazov è lo stesso di cui ho sofferto consciamente o inconsciamente per tutta la vita: l’esistenza di Dio”.
La storia de I Fratelli Karamazov ruota attorno ai complessi rapporti della famiglia Karamazov, sotto l’apparenza da canovaccio di un romanzo giallo cela il dramma spirituale che scaturisce dal conflitto tra la fede e un mondo senza Dio.
L’ultimo romanzo di Fëdor Dostoevskij – scrive Matteo Tarasco nelle sue note – ha la grandezza e la forza di un inferno dantesco, è una comédie humaine alla russa, dove bestie umane si agitano sulla scena del mondo, dove il denaro, il fango e il sangue scorrono insieme. Una storia assoluta, spietata, estrema, senza margini di riscatto”.
Le vicende della famiglia Karamazov, i loro feroci conflitti nel cui contesto matura l’assassinio di Fëdor, il capofamiglia, e il conseguente processo nei confronti di Dmitrij, il figlio primogenito accusato del parricidio, appassionarono i lettori del “Messaggero Russo”, il giornale dove, da gennaio 1879 alla fine del 1880 (pochi mesi prima della morte dello scrittore), il romanzo fu pubblicato a puntate. L’ansiosa attesa dei numerosi lettori dell’uscita sulla rivista dei nuovi capitoli del romanzo, per conoscere lo sviluppo dei complotti, intrighi e amori libertini che ruotano attorno alla famiglia Karamazov, si può paragonare all’attesa e al successo delle serie televisive più amate dei nostri giorni.
Ultimo lavoro di Dostoevskij I Fratelli Karamazov è senza dubbio il romanzo più complesso della narrativa dostoevskiana, uno straordinario viaggio nei massimi problemi etici. Il capitolo Il racconto del Grande Inquisitore è uno dei vertici della letteratura universale.
Fortunate in tutto il mondo le trasposizioni teatrali, cinematografiche e televisive. In Italia non si è mai spenta l’eco del successo dello sceneggiato I fratelli Karamazov diretto da Sandro Bolchi trasmesso dalla Rai nel 1969.

Note di regia

I fratelli Karamazov è un romanzo cupo e disperato, che oscilla pericolosamente nell’incerto territorio in cui danzano avvinghiati Eros Thanatos; è una storia assoluta, spietata, estrema, senza margini di riscatto, senza limiti, un duello tra uomini completamente sopraffatti dai nervi e avvinghiati in un ineludibile legame economico.
Con il rigore di un giudice istruttore, lo scrupolo di uno scienziato e l’insistenza di un investigatore, Fëdor Dostoevskij ci conduce in un viaggio negli abissi oscuri dell’animo umano, descrivendo un mondo che perde i suoi referenti culturali e svilisce i valori etici più profondi, un mondo ove l’interesse personale diviene la mozione primaria d’ogni atto, ove trionfa il soddisfacimento sfrenato del desiderio.
L’ultimo romanzo di Fëdor Dostoevskij ha la grandezza e la forza di un inferno dantesco, è una comédie humaine alla russa, dove bestie umane si agitano sulla scena del mondo, dove il denaro, il fango e il sangue scorrono insieme.
Dostoevskij sembra scagliare un monito all’umanità ferita e spaesata: “conoscerai un grande dolore e nel tuo dolore sarai felice. Cerca la felicità nel tuo dolore”.
Oggi la lingua non è più del cuore, come diceva Paracelso, ma della mente. La parola sembra soccombere nelle paralizzanti spire dell’ossessione comunicativa, stritolata da un’angoscia semantica.
Proprio per questo ci sembra necessario rileggere e mettere in scena il capolavoro di Dostoevskij che ci restituisce il coraggio di essere nuovamente eloquenti e profondamente umani.
Matteo Tarasco


Durata: 2 ore e 30 intervallo compreso

Personaggi e interpreti
Fëdor Pavlovič Karamazov Glauco Mauri
Ivàn Karamazov Roberto Sturno
Starec Zosima Paolo Lorimer
Dmitrij Karamazov Laurence Mazzoni
Alekséj Karamazov Pavel Zelinskiy
Smerdjakov Luca Terracciano
Katerina Ivanova Giulia Galiani
Grušen’ka Alice Giroldini


Tournée
Debutto nazionale Firenze Teatro della Pergola 29 gennaio 2019

TEATRO ELISEO
Da martedì 5 a domenica 17 febbraio 2019

Orario spettacoli:
martedì, giovedì, venerdì e sabato ore 20.00
mercoledì e domenica ore 17.00


Biglietteria tel. 06.83510216
Giorni e orari: lun. 13 – 19, da martedì a sab 10.00 – 19.00, dom 10 - 16
Via Nazionale 183 – 00184 Roma
Biglietteria on-line www.teatroeliseo.com e www.vivaticket.it
Call center Vivaticket: 892234

Prezzo da 15 € a 35 €  



UFFICIO STAMPA TEATRO ELISEO
Maria Letizia Maffei

Antonella Mucciaccio
347 4862164 a.mucciaccio@teatroeliseo.com



L’IDEA DI UCCIDERTI

La recensione 
Fabio Sartor e Caterina Murino, sono i protagonisti della storia scritta da Giancarlo Marinelli, in scena al teatro Ghione dal 22 al 27 gennaio 2019.
Il confine tra fantasia e realtà è labile quando in ballo ci sono le passioni al centro dei cosiddetti femminicidi, termine usato dalla cronaca nera per descrivere la fragilità delle donne, definite semplicemente 'femmine'.
Ebbene Marinelli si dissocia da tutto ciò e racconta l'amore di un uomo disperato (Fabio Sartor), servendosi del grigiore che sottende le pagine di cronaca.
L'amore è come un contagio e una cura al tempo stesso e non è possibile delineare i contorni di un amore e prevedere quali possano essere le sue conseguenze.
La Murino nei duplici panni dell'agente di polizia e della donna amata, conduce un'indagine sul presunto omicidio compiuto da un marito e padre impossessato dal delirio amoroso.

Sembra di essere in un film di Hitchcock coi riflettori puntati su ognuno dei narratori. L'idea si tramuta in realtà e gli spettatori sono contagiati e non sarà dato a nessuno di conoscere la verità di cui l'unico depositario è l'incriminato marito.
Ottima prova per Fabio Sartor accolto dal calore di un pubblico entusiasta alla prima dello spettacolo che torna con successo al Ghione.
Incantevole Caterina Murino, misteriosa e bellissima la quale si è commossa al termine dello spettacolo dove ho apprezzato anche Antonio Rampino, Mauro Racanati, Francesca Annunziata e Paila Pavese.

di Tania Croce

Le note di regia di Giancarlo Marinelli
Mi sono ispirato a una storia vera. Vera non nella tragedia qui scritta. Ma nei presupposti che avrebbero potuto condurre a quella tragedia. Nella realtà nessuno ha ucciso nessuno. Almeno non fisicamente. E però, fuori da ogni ipocrisia, lo devo ammettere: ascoltando chi me l’ha raccontata, per un attimo, mi è balenato lo spettro. Che è il titolo di questo lavoro. L’idea di uccidere. Sono un uomo “femminista” dalla nascita: adoro le donne; mi sveglio la mattina per incontrare una donna; scrivo e dirigo pensando sempre alle donne. Non ho mai alzato un dito contro una donna. E mai lo farò. Eppure, immedesimandomi nel protagonista di questa storia, quello spettro è affiorato. Capiterà anche al pubblico che assisterà allo spettacolo. E mi odierà, e si odierà per questo. In verità, non intendevo scrivere un testo sul “femminicidio” al contrario, o, peggio, sul “maschicidio”. Volevo raccontare una storia sull’amore come arma di distruzione di massa. Sull’amore come trappola mortale. Sull’amore che dovrebbe essere la negazione di ogni luogo comune. E che invece diventa il più comunemente letale dei luoghi comuni.Volevo mettere in scena una storia capace di spaventare il pubblico come quando si legge in un giornale di una possibile epidemia, di un virus che potrebbe colpire tutti: “E se capitasse anche a me?”. La risposta non c’è. Non può esserci. Che il Teatro non si occupa mai del vaccino. Ma solo del contagio”.(Giancarlo Marinelli)

Orario spettacoli ore 21,00
Domenica ore 17,00
biglietti a partire da 23 euro
Teatro Ghione,via delle Fornaci,37,Roma
Info:06 6372294
Relazioni con la stampa Teatro Ghione: Maurizio Quattrini:
Cell. 338/8485333 - e-mail: maurizioquattrini@yahoo.it

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