Visualizzazione post con etichetta Visto e recensito per voi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Visto e recensito per voi. Mostra tutti i post

L'Oreste Quando i morti uccidono i vivi al Quirino

 L'Accademia Perduta Romagna Teatri, sperimenta ne "L'Oreste quando i morti uccidono i vivi" nuovi orizzonti comunicativi attraverso il graphic novel theatre, trasformando il palcoscenico nello spazio visionario dove si materializzano i sogni e i personaggi che si affollano nella mente di Oreste, internato nel manicomio dell'Osservanza di Imola da trenta lunghi anni, ma intenzionato a fare un lungo viaggio, destinazione luna passando per la Russia.

Claudio Casadio incanta, commuove, coinvolge e sconvolge il pubblico attraverso un'interpretazione pazzesca nel vero senso della parola e il suo Oreste, attraverso i suoi occhi accesi, sogna di compiere un viaggio lontanissimo per librarsi in volo e sentirsi leggero, scrollandosi di dosso il peso dei patimenti terreni e della sua stessa malattia mentale che nessuna terapia ha mai guarito, nemmeno l'elettrochoc.

Oreste non dorme mai, disegna, parla con i suoi visitatori immaginari, con il medico, con l'amata sorella che ha perso tanti anni fa ma alla quale promise che non avrebbe mai smesso di amarla neanche da morta, perché lei nella sua mente sarà viva per sempre.

Con l'animazione grafica prendono vita Ermes, il suo compagno di stanza, uno schizofrenico convinto di essere un astronauta e  poi  la sorella, l'infermiere e il medico che gli comunica di essere finalmente libero e di poter uscire.

Però nessuno sa dirgli se è possibile riavvolgere il nastro e ricominciare tutto da capo, come lui desidera sapere da tanti anni.

La risposta al suo quesito, non è chiara e soddisfacente oppure lui non riesce a capire quale potrebbe essere la via d'uscita alla sua non vita.

Quello a cui si assiste è un lavoro corale anche se Casadio è solo, in questo atto unico di rara bellezza.

Piene di tenerezza e di stranezze sono le lettere che Oreste scrive alla fidanzata che dice con convinzione di aver conosciuto a un festival dei matti, nel manicomio di Lucca.

Oreste parla, canta, disegna, preparandosi al viaggio più lungo che l'uomo possa fare, quello verso il nulla, l'oblio.

Gli applausi della prima sembrano non finire più e il pubblico ha il cuore a pezzi ed è sollevato quando Casadio balla e s'inchina per condividere il suo successo con un pubblico entusiasta.

Lo spettacolo tratto dal racconto di Francesco Niccolini, con la regia di Giuseppe Marini, le illustrazioni di Andrea Bruno, le scenografie e animazioni di Imaginarium Creative Studio, le musiche originali di Paolo Coletta, il light design di Michele Lavanga, la fonica di Francesco Cavessi, la collaborazione alla drammaturgia di Claudio Casadio, è co-prodotto da Accademia Romagna Perduta Teatri, e Società per Attori in collaborazione con Lucca Comics&Games, ha vinto il Premio Nazionale Franco Enriquez  nella cat. Teatro Classico e Contemporaneo / sez. Miglior Attore.

Sarà in scena fino a domenica  7 maggio e sarebbe un vero peccato non assistere a una simile pièce.


"Toilet" la prima al Teatro Manzoni

 Amo le storie, le biografie dei famosi e non, ma questa ci riguarda tutti ed è Gabriele Pignotta ad averla non solo scritta, ma anche diretta e interpretata sia al cinema che a teatro. Ecco le mie impressioni sulla prima al Teatro Manzoni il 3 maggio scorso e i paragoni che Pignotta ci ha chiesto di fare con il film visto su Sky e disponibile su diverse piattaforme.


La recensione di Tania Croce

Il protagonista dell'entusiasmante atto unico è Flavio Bretagna, brillante imprenditore e uomo impegnato che non viene lasciato libero neanche durante la pausa pipì.

Bersagliato da telefonate a raffica, sbaglia strada e lascia la sua Passat parcheggiata in un'area di sosta per andare in Toilet (possiamo dirlo alla francese oppure leggerlo come è scritto).

Tra i martellamenti continui della signora Marini, l'imminente appuntamento col dottor Protti, l'onnipresente segretaria Marta, il signor Flavio si accorge di essere rimasto chiuso dentro un bagno, una specie di magazzino con tanto di secchi, scopa e immondizia.

Istintivamente chiede aiuto urlando e sperando che qualcuno possa aprirgli la porta antipanico.

Niente, tutto tace ma non la sua fervida mente, attiva, razionale e l'unica cosa che non tace è il suo cellulare.

Il mondo fuori è in movimento mentre lui è fermo, è un rinchiuso costretto a stare isolato, fino a quando non si sa, magari sperando che i carabinieri chiamati dietro suggerimento di Marta, possano rintracciarlo, visto che lì dentro il telefono non ha connessione e funziona solo per ricevere telefonate, ossia il motivo per cui fino a qualche anno fa, usavamo il cellulare.

La prigionia forzata in un luogo angusto, l'ultima cosa che si possa augurare ai claustrofobici e l'assenza di connessione internet e la solitudine, sono forieri di pensieri nuovi e inaspettati, quello più luminoso, un vero e proprio faro nel buio, è l'amore per Marta, che Bretagna potrà vivere quando e se uscirà da quella Toilet.

Il biografo, scrittore e filosofo greco Plutarco avrebbe dedicato a Gabriele Pignotta il suo libro "Sulla loquacità" oppure Euripide il noto tragediografo greco avrebbe detto, dopo aver visto lo spettacolo, che "la sventura è la conseguenza di lingue senza freni..." perché il soliloquio del bravissimo Gabriele è davvero senza freni e alla perfetta dizione, si alternano momenti sconfortanti e qualche sacrosanto sproloquio.

Gabriele per tutto il tempo del lungo atto unico, si arrampica sia fisicamente che mentalmente alle ricerca delle poche certezze che ha, cercando una soluzione persino sui muri di quel fatiscente bagno dove si trova.

Pur essendo solo nell'elegante e amato palcoscenico del Teatro Manzoni, questo non è un one man show ma una dramedy, ossia uno spettacolo che mescola elementi seri e comici perché si ride molto e si riflette.

Di solito le persone partono a fare ritiri spirituali in Oriente o tra i monti e in mezzo alla natura, Flavio Bretagna il suo ritiro spirituale lo compie dentro una Toilet.

Volendo fare paragoni tra il film e lo spettacolo teatrale a cui il film s'ispira, posso dire che la differenza sostanziale è il viaggio in automobile che è possibile vedere nel film e immaginare a teatro, poi alcuni dialoghi con la ex e sui preparativi del compleanno della figlia che nello spettacolo non ci sono.

Mancano anche le voci della Incontrada e di Pannofino nello spettacolo, ma questo non toglie nulla alla sua bellezza.

Per il resto, tranne il contatto telefonico con il programma televisivo La Vita in diretta, lo spettacolo teatrale è simile al film con la netta differenza che Gabriele recita ininterrottamente e magnificamente sul palcoscenico, coinvolgendo il pubblico e facendo crollare la quarta parete anche per le risate suscitate.

Cosa aggiungere ancora a quanto detto?

Andate a vedere lo spettacolo in scena fino al 14 maggio al Teatro Manzoni di Roma!



L’anteprima de Il mistero dell’assassino misterioso


Trama 

Un castello nella campagna londinese, un misterioso maggiordomo, l’omicidio di un’anziana contessa, un investigatore e gli stravaganti sospettati: ecco gli ingredienti per un perfetto giallo, dai toni brillanti, di chiara matrice anglosassone. Salone principale del castello i sospetti assassini della Contessa Worthington, ma un inatteso accadimento cambierà le dinamiche dell’indagine, minando esponenzialmente la trama del giallo e scatenando gli egoismi e le meschinità degli altri attori disposti a tutto pur di farsi notare da un produttore televisivo presente in platea. L’onnipresente umorismo di situazione e non ultima la cornice del giallo, rendono la commedia elettrizzante ed esilarante fuor di ogni dubbio. Nata da un’idea di Greg e scritta a quattro mani con Lillo, “Il Mistero dell’assassino misterioso” è la prima commedia in cui si fa centrale la narrazione metateatrale – tanto cara alla coppia- che svela, cardinandolo con un pizzico di perfidia, il delicato equilibrio su cui vivono alcune compagnie di teatro, ma su cui si fondano anche la maggior parte dei rapporti umani: gelosie, meschinità, invidie, rancori e falsità.

La recensione 

Vidi questo spettacolo all’Ambra Jovinelli la prima volta.
“Il mistero dell’assassino misterioso” è una  commedia inglese per l’ambientazione, i nomi dei personaggi e le atmosfere esterofile e già questo mi colpì molto anche se ciò che mi piacque davvero furono le scene di teatro nel teatro, un espediente  con il quale la finzione scenica rimanda direttamente al mondo del teatro, affronta questioni relative alla qualità dell’arte drammatica, oppure, più semplicemente, offre l’azione di personaggi consapevoli della finzione che essi stessi stanno agendo, come frequentemente avviene nella drammaturgia contemporanea per rompere la quarta parete tra gli attori e il pubblico.
Questa sera come nella speciale serata all’Ambra Jovinelli, mi sono entusiasmata durante le prove di una commedia noir dove un investigatore è alla ricerca del misterioso assassino. Il dietro le quinte, i dissidi tra gli attori e il regista, coinvolgono il pubblico rendendolo partecipe di ciò che avviene a sipario chiuso e la ricostruzione dell’assassinio insieme a Lillo&Greg due veri e propri maestri della risata, è entusiasmante! 

Nello svelamento dell’artificio illusorio dell’evento teatrale giocano un ruolo rilevante anche Marco Fiorini, Giulia Ottonello e Vania della Bidia i quali inscenano una breve rappresentazione all’interno del dramma per catturare l’attenzione del pubblico.
Lo spettacolo in anteprima questa sera, sarà in scena al teatro Olimpico dal 19 aprile al 14 maggio 2023.

Non potete perderlo!!!


Epidicus con Marco Simeoli al Teatro Arcobaleno



 Trama

Epidico, il servo che dà il nome alla commedia, deve intervenire due volte per assicurare al proprio padroncino le ragazze di cui è innamorato. La prima volta Stratippocle si innamora di una suonatrice di cetra, ambita anche da un soldato. Epidico fa quindi credere a Perifane, padre di Stratippocle, che la ragazza sia in realtà sua figlia, avuta in giovane età. Il senex, quindi, la affranca.

Stratippocle parte poi per la guerra, e si innamora di una seconda ragazza, Telestide. Per affrancarla contrae un debito con un usuraio, e torna quindi ad Atene. Epidico elabora quindi un secondo piano per trovare il denaro con cui ripagare l'usuraio: dice a Perifane che il figlio si è innamorato di una cortigiana, gli suggerisce di comprarla per battere sul tempo il figlio e di rivenderla a un soldato interessato alla ragazza. Epidico noleggia quindi una nuova suonatrice per recitare la parte della cortigiana.

Gli imbrogli sono però scoperti. Giunge ad Atene il soldato che non riconosce nella suonatrice noleggiata la donna che gli interessa. Arriva poi anche Filippa, antica amante di Perifane, che non riconosce nella prima suonatrice di cetra acquistata da Perifane la figlia avuta dalla loro antica relazione. La figlia è però riconosciuta proprio nella seconda amante di Stratippocle, Telestide.


La recensione

La commedia "Epidico" in scena al Teatro Arcobaleno dal 14 al 23 aprile 2023 ed apprezzata questo pomeriggio, ci riporta alla vicenda tipo plautina: un servus callidus è colui che serve per aiutare gli amori del padroncino Stratippocle, facendo uso della sua astuzia  e tramando inganni ai danni del vecchio padrone.

Siamo nell'Atene del II sec. d. C. e l'abile e straordinario Marco Simeoli, Epidico appunto, illustra la storia al pubblico in sala  con la speranza di essere stato sufficientemente chiaro e in un baleno ci si ritrova tra adolescenti innamorati senza speranza, figli legittimi e illegittimi, amanti, usurai, vecchi, padri, eroi vanaglorosi e tombole napoletane, già napoletane.

Il linguaggio plautino è adattato a quello attuale e l'uso del dialetto napoletano è assai efficace per divertire lo spettatore stordito per la velocità delle scene e dei colpi di scena che si susseguono senza sosta in questo splendido atto unico tradotto da Filippo Amoroso e diretto da Cinzia Maccagnano con le bellissime musiche di Germano Mazzocchetti, le maschere di Luna Marongiu e i costumi di Monica Mancini.

Oltre al citato Maestro Marco Simeoli, che incanta al pari di un guitto della commedia dell’arte, c'è al suo fianco un nutrito gruppo di attori da applaudire a partire da Cesare Biondolillo, Luna Marongiu, Salvatore Riggi, Mariano Viggiano, Ginevra Di Marco e per finire Gaia Bevilacqua tutti abilissimi nei travestimenti, nelle danze che si alternano alla recitazione dando prova di una tecnica e di talento sorprendente anche per l'uso delle maschere in scena.

Non mi resta che invitare gli amanti del repertorio classico a seguire questo spettacolo in scena al teatro Arcobaleno fino al 23 aprile




I due Papi la prima al Sala Umberto


"I due Papi" (The Two Popes) è un film del 2019 diretto da Fernando Meirelles e sceneggiato da Anthony McCarten, basato sull'opera teatrale dello stesso McCarten del 2017 The Pope.


Interpretato da Jonathan Pryce e Anthony Hopkins rispettivamente nei ruoli di papa Francesco e papa Benedetto XVI, il film racconta del rapporto tra i due ecclesiastici appena prima delle dimissioni di quest'ultimo dalla carica di pontefice e della conseguente elezione di Francesco a Papa nel 2013.



La recensione

Ieri sera al Sala Umberto di Roma c'è stato il debutto di un'opera teatrale attesissima come "I due Papi" tratto dal meraviglioso film Netflix del 2019 diretto da Meirelles e sceneggiato da McCarten, autore dell'opera teatrale The Pope, sullo speciale incontro e sull'amicizia tra papa Benedetto XVI e Bergoglio che diventerà Papa Francesco.


Nello spettacolo come nel film sono sottolineati due aspetti molto importanti come il valore della confessione e quello del perdono tra i due illustri uomini di chiesa, provati l'uno da un incarico importante a cui vuole sottrarsi, l'altro dal peso che da lì a poco dovrà sostenere.


Sono a confronto due uomini maturi e consapevoli, due fedeli, due anime che confidano l'un l'altra alcuni errori commessi.



Distanti ideologicamente prima del loro incontro, dopo le reciproche confessioni, sentono di essere affini.

Il cambiamento è il leit-motiv dello spettacolo, che come un'inaspettata forza, una luce che viene da lontano, forse da quel Dio a cui sia Ratzinger che Bergoglio sono cosi devoti, li pervade, facendoli incontrare nel senso più alto e profondo del termine.

Due Maestri come Giorgio Colangeli e Mariano Rigillo, nel loro dialogo intimo e commovente, sanno esprimere come Anthony Hopkins e Jonathan Pryce quel messaggio di umanità che li rende cosi forti e fragili e li avvicina fortemente a tutti i fedeli disseminati nel mondo e a loro stessi.


Suggestive le scene di Alessandro Chiti nei giardini di Castel Gandolfo e all'interno della Cappella Sistina dove Bergoglio sogna di passare tutti i giorni se fosse papa, anche se è giunto a Roma dopo la chiamata di papa Benedetto XVI con l'intenzione di chiedere le sue dimissioni.



"I due Papi" diretto da Giancarlo Nicoletti con la traduzione di Edoardo Erba, una co-produzione Goldenart production, Viola produzioni, Altra scena, I due della città del sole su licenza di Muse of fire production ltd in collaborazione con Festival teatrale di Borgio Verezzi con il sostegno del ministero della cultura e regione Campania, vanta nel cast la presenza di Anna Teresa Rossini e Ira Fronten, mentre Alessandro Giova interpreta il ruolo di Roberto che era di Libero De Rienzo nel film.

Lo spettacolo sarà in scena dall'11 al 30 aprile 2023 al Sala Umberto di Roma.

Beppe Grillo è tornato




Beppe Grillo è tornato!

Finalmente.

Appena ha fatto ingresso sul palcoscenico disadorno del Brancaccio, ha brillato come un faro, una fucina di idee, di visioni e di proiezioni di un futuro non troppo distante.

Un comico amatissimo dal grande pubblico, anche attore e vincitore di un David di Donatello come miglior attore emergente, con la sua testa piena di concetti e progetti, è alla ricerca di verità, di alternative, di novità, desideroso di scuotere le coscienze, un mare in tempesta.
Grillo è un cattolico e si ritrova in una società smarrita e alla ricerca di credenze ed eventi a cui appigliarsi come la madonna che piange lacrime di sangue e crede sia giunto il momento di creare una chiesa dell'Altrove, accanto a tutte le altre chiese e religioni esistenti e appoggiate dall' 8x1000 in un mondo dove il posto occupato da Dio, è stato sostituto dall'Io senza D.

Lui stesso si domanda se può un comico essere a capo di un movimento, però facendo un salto nella storia più recente, si rende conto che dietro le più grandi invenzioni dalla stampa alla penicillina e all'anestesia, ci sono stati pazzi come Gutenberg (1450), Fleming (1881) o ritenuti tali, personaggi di cui le scoperte che hanno cambiato il mondo, sono state riconosciute dopo almeno 60 anni.

Effettivamente ci vuole un po' di follia per difendere le proprie idee e valori come l'onestà e il rispetto per il genere umano, per i più deboli e per chi ne ha bisogno.


Grillo ha viaggiato, visto, conosciuto, incontrato diversi capi di stato emblematici come l'ex presidente dell'Uruguay José Mujica, che non avendo potuto incontrare in altro luogo, ha avuto il piacere d'intervistare in un salone da parrucchiera.
 Benevolo è stato anche il suo rapporto con Draghi e ama ricordare Conte che ieri sera era in platea a salutare il pubblico alla fine dello spettacolo, scattando foto con chi lo ama.

Nello spettacolo organizzato da Vincenzo Berti e Gianluca Bonanno per Ventidieci e la produzione di Marangoni Spettacolo, Beppe Grillo ammette possibili offuscamenti mentali dovuti alle sue settanta primavere e anche più. Però così non è perché i suoi ragionamenti sono lucidissimi, le battute argute, lo spirito vivo e il suo magnetismo immutato.
In questa società dominata dal meta verso, l'unica certezza è quella delle idee.
Le sue hanno preannunciato disastri e dato vita a un movimento prezioso per chi ha saputo coglierne la vera essenza.

Beppe Grillo ha rispettato anche il pubblico presente, con prezzi accessibilissimi anzi i più bassi di tutti in questa stagione del Brancaccio e chi lo ha seguito non è stato per gli accrediti stampa ma perché come me, voleva esserci ed applaudirlo.

Dalla tv dove lo apprezzai al teatro, dove lo ammiro per la prima volta, Grillo ha confermato la sua grandezza.

Beppe Grillo è Altrove e Oltre.

Coffeeshop tra flashanti visioni, fughe e ritorni

Nell'intervista che l'autore, regista e interprete dello spettacolo Andrea De Rosa mi ha rilasciato, "Il luogo è un Coffeeshop di Amsterdam, dove si incontrano una ragazza di trent'anni che fa la prostituta nelle "red lights" e un avvocato italiano in fuga dalla moglie, in cerca di un po' di "stordimento" dato dalla marijuana. Dopo avergli insegnato a girare i primi spinelli, lo convince a provare dei "tartufi magici" (ovvero "funghetti allucinogeni). L'effetto di quei tartufi, sono io: un uomo con la faccia bianca che si presenta come "Il Jolly" e che cerca di essere un po' la voce della sua coscienza, sbattendogli in faccia la realtà. Per poi fare lo stesso con la ragazza. Ma chi è veramente questo Jolly?!".

Catturata dall'atmosfera seducente e psichedelica di un vero Coffee shop di Amsterdam, tra il fumo dello spinello che l'avvocato tenta di preparare con l'aiuto di una ragazza incontrata per caso e qualche confessione che lo stesso rivolge teneramente alla giovane e desolata italiana emigrata, essendo più facile parlare con uno sconosciuto che con chi ci sta accanto, percepisco quell'idea di fuga che lo spettacolo evoca e mi sento parte integrante di quel luogo così sinistro eppure confortante, prima ancora che faccia effetto il funghetto allucinogeno che da lì a poco, assumerà il nostro italiano all'estero, lontano dalla quotidianità e da un matrimonio che gli pare giunto al capolinea.

Il deus ex machina appare per salvare o per salvarsi. È un Jolly senza campanelli e cappello, ha un volto bianco ed è in abiti casual, con un'espressione folle e lucidissima, dotato di una voce suadente che s'imprime nella mente dell'avvocato ormai sopraffatto dall'apparizione.

Tra le visionarie possibilità e soluzioni che il Jolly propone, la salvezza sembra giungere finalmente e il nostro avvocato saprà ritrovare la retta via.

Anche la giovane italiana emigrata in Olanda assume il funghetto allucinogeno ed è alla ricerca della verità che più la aggradi.

Il Jolly è quel grillo parlante che pinocchio sfuggiva, forse, o forse la seducente maschera bianca indossata magnificamente da Andrea De Rosa, cela il volto di un artista con il dilemma amletico dell'essere o non essere, all'alba del debutto di uno spettacolo al quale non potrà mancare.

Per ogni persona in platea oggi c'è stato il Jolly che danzava sulle note dei Manichini di Renato Zero e il Teatro Lo Spazio, si è trasformato in un luogo magico dove tutti i sogni diventano realtà grazie all'irresistibile  Andrea,  al bravissimo Luis Molteni che ho sempre apprezzato al cinema e per la prima volta lo ammiro in teatro ed a Flavia Martino. 

In teatro come in un film il Jolly di "Coffeeshop".


"Daphne" una danza sublime ad Appia nel Mito con Aurelio Gatti

                                              DAPHNE dalle Metamorfosi di OVIDIO

regia e coreografia AURELIO GATTI

con Lucia Cinquegrana, Luca Piomponi, Lucrezia Serafini

produzione MDA PRODUZIONI DANZA coproduzione Circuito Danza Lazio in collaborazione con Teatri di Pietra

CHIESA DI S. NICOLA

Via Appia Antica 161

MER 29 GIUGNO 2022 – ORE 20.30

Il 29 giugno c'è stato il magnifico appuntamento con la danza di Aurelio Gatti, che ha proposto una sua versione del mito di DAPHNE. 

Il mito di Apollo e Dafne è la storia di un amore mai realizzato., ma anche di un paradosso: Proprio il dio protettore delle arti mediche non riesce a trovare un farmaco per la ferita infertagli da Eros; proprio il nume che conosce presente, passato e futuro, lascia che la sua mente onniveggente sia offuscata dalla tenace passione per la bellissima Dafne, figlia del fiume Peneo e di Gea.

La recensione di Tania Croce di "Daphne"

Il coreografo e regista Aurelio Gatti, prima che iniziasse lo spettacolo di danza sul mito di Apollo e Daphne, ha ricordato il mistero dell'eros descritto da Ovidio nelle Metamorfosi, ponendosi dei quesiti e ha spiegato il lavoro del suo adattamento del mito stesso.

«Daphne è una ninfa che rifiuta il corteggiamento di Apollo - ricorda Gatti - secondo una certa letteratura è dimostrazione di primato dell'autonomia femminile nei confronti di una società maschile, però noi ci siamo posti un problema: "com'è possibile che Apollo che è una di quelle divinità positive, apollineo viene definito il momento positivo di un'epoca, com'è possibile che Apollo capace di essere il rappresentante delle arti e non solo, viene rifiutato dalla ninfa?" naturalmente - prosegue Aurelio - Ovidio nelle sue Metamorfosi, ci fa una storia più complessa e ci racconta che Eros adirato con Apollo, decise di pungere con delle frecce di piombo, la ninfa, e con delle frecce d'oro Apollo, per creare nell'ultimo l'amore spasmodico, nella prima, il rifiuto. Detto questo, la poesia e non solo la poesia, narra di un qualche cosa di sottilissimo, in effetti Apollo è una figura giovanile, mentre la ninfa è poco più che sedicenne. Di fronte hanno un altare straordinario, che è l'incontro, a cui uno tende con bramosia, l'altra disattende con timore. Quel momento crea una magia che Ovidio racconta con parole straordinarie l'invocazione nella corsa di Apollo verso la ninfa, dice esattamente: "Frena la tua corsa o ninfa, affinché rami e arbusti non segnino le tue carni". Vi pare possibile - si chiede Gatti - immaginare un'invocazione così attenta, così precisa per un uomo che vuole esercitare una virilità e basta? Tutto questo ci ha portato a immaginare quindi un Apollo ma per disegnare le ninfe ne avevamo bisogno di due, abbiamo immaginato una Daphne bianca e una Daphne nera, una Daphne portata a conoscere in quanto giovane e attratta da un qualche cosa che avviene straordinario e che non conosce e una Daphne nera che invece induce il personaggio al timore ad essere guardinga. L'epilogo è conosciuto, dopo questa corsa, Daphne stremata arriva in cima alla collina e chiede al padre di trasformarla in altro, il padre asseconda questa preghiera e Apollo arriva quasi a toccarla che già quelle non sono più carni ma l'arbusto di alloro, da quel momento l'alloro diventa la pianta dedicata ad Apollo. Quando si cingono i poeti si cingono d'alloro, anche i vincitori e gli imperatori. L'alloro diventa la pianta sacra di Apollo. Tutto questo noi cerchiamo di raccontarlo solo per danze. In scena un Apollo, due Daphne e complice questo luogo che come recita la mission di questo Festival, fa in maniera che il mito possa ogni volta risiedere laddove c'è una comunità attenta ad ascoltarlo».

Sulle note di musiche bellissime tra cui "Charms" di Abel Korzeniowski, "Cry" di Michael Ortega, "Gortoz a Ran" di Denez Prigent, Lucia Cinquegrana e Lucrezia Serafini unite a formare un corpo unico, procedono e si chinano di fronte ad Apollo che è interpretato da Luca Piomponi, a distanza dalla duplice Daphne, a cui seguiranno volteggi e giochi di veli e abiti leggeri che fluttuano, fino a rappresentare danzando, l'emblematico incontro fra il maschile e il femminile e la successiva fuga della Daphne nera. 

Nella seducente danza di abbracci e di fughe, la Daphne bianca si lascia corteggiare e si abbandona tra le braccia innamorate di Apollo, mentre quella nera è animata da inquietudine e fugge alla ricerca di un'identità che la liberi dal peso di un amore verso il quale non ha alcun interesse e predisposizione.

Così l'amore come nel poema epico mitologico di Ovidio, dell'8 secolo d.C. ritenuto una vera e propria enciclopedia della mitologia classica, si trasforma e i rami d'alloro di una corona che Apollo porterà con se e che lo rappresenteranno, conterrà quell'amore.

L'amore non muore, si trasforma e nello splendido e suggestivo adattamento del mito di Aurelio Gatti che cura la regia e la coreografia di "Daphne" è espresso magnificamente il mistero dell'eros e la sua forza di trasformare l'animo umano per sempre.


Le immagini dello spettacolo

Edipo... Seh! con Andrea Tidona alla Chiesa di S. Nicola per "Appia nel Mito"


Il tragico e il comico convivono nella straordinaria pièce Edipo... Seh! con Andrea Tidona diretto da Carla Cassola, ammirata ieri sera nello scenario mozzafiato della Chiesa di S. Nicola sull'Appia Antica 161.


La recensione di Tania Croce di "Edipo... Seh!"

Rivivono grazie al talento e alle doti sia canore che imitatorie di uno dei grandi attori del nostro cinema e teatro come Andrea Tidona, alcuni degli artisti amatissimi che ormai non ci sono più, diretti da un regista come Giorgio Strehler che mi piace pensare sia finito nell'Ade, ossia in quel regno dei morti che attraverso la loro arte si sono consegnati all'eternità.

Si assiste a una danza di anime, di voci, ed è un viaggio non solo nel mito greco e nella tragedia di Sofocle di maggiore impatto e forza drammatica come l'Edipo re ma anche nella recitazione e nell'Italia dei dialetti a cui i diversi attori impegnati nei panni di Giocasta come Tina Pica o di Edipo come Vittorio Gassman, appartenevano.

Dal fraseggio declamato e solenne di Gassman che avverte il peso del suo destino, a quello scansonato e popolare di Aldo Fabrizi nei panni del Nunzio, Tidona evoca senza essere caricaturale, gli attori che hanno ispirato il suo percorso artistico, mostrandone i pregi e i difetti a partire dal tic agli occhi di Vittorio Gassman, fino all'immenso Maestro Eduardo che chiude la tragedia, cercando come solo lui sapeva fare di spiegarla al pubblico attraverso le sue famose didascalie, prima di congedarsi.

Non voglio dimenticare Ugo Tognazzi nei panni di Creonte, un politico, un filosofo accomodante e furbo, investito da un potere che gli consente di essere conciliante con tutti, allontanando le incertezze e le paure che dominano l'animo umano.

 Che sia stato solo un sogno nel quale l'attore ci ha condotto, il pubblico lo scopre sul finale ed avendo creato un legame così empatico con i presenti, è stato difficile dopo gli applausi meritatissimi, uscire dal teatro, se non fosse per i meravigliosi sampietrini trovati sul sentiero lungo la Via Appia Antica che conduce in un luogo luminoso come la I Edizione di Appia nel Mito, la rassegna di rara bellezza nata dall'idea di Alessandro Machìa e Fabrizio Federici della Compagnia teatrale Zerkalo, con il contributo della Regione Lazio.

Il quarto appuntamento sarà il 29 giugno alle 20:30 con Daphne dalle Metamorfosi di Ovidio, regia e coreografia di Aurelio Gatti, con Lucia Cinquegrana, Luca Piomponi, Lucrezia Serafini, produzione MDA PRODUZIONI DANZA in collaborazione con Teatri di Pietra.

Alcune immagini dello spettacolo  

Viola Graziosi e il mito da Aiace a Clitemnestra



Il mito (dal greco μῦϑος, mỳthos) è una narrazione investita di sacralità relativa alle origini del mondo o alle modalità con cui il mondo stesso e le creature viventi hanno raggiunto la forma presente in un certo contesto socio-culturale o in un popolo specifico. Di solito tale narrazione riguarda dei ed eroi come protagonisti delle origini del mondo in un contesto soprannaturale.

Vorrei parlare di Viola Graziosi e della rappresentazione del mito attraverso una serie di spettacoli che lo attualizzano, creando un trait - d'union tra il passato e il presente, restituendo la visione di un tempo senza tempo che è quello leggendario e letterario.

L'Aiace di Ghiannis Ritsos regia di Graziano Piazza al Fontanone Estate 2015 Roma e Dionisiache di Segesta

L' anima di un eroe immortale, malinconico, disarmato, appare in una notte mite come la quiete meritata accanto alla gloria e a piedi nudi indossa gli abiti leggeri di una donna che vive nell'assenza del marito suicida, Aiace, dando voce al mito sognante e presente.
Nel suo sguardo sono proiettati i colori del tempo burrascoso e felice della guerra e dell'amore, ma i conflitti ora sono solo interiori e le ore da vivere sono quelle della memoria dove il tempo si ferma per sempre. Poi torna come un'eco, l'amabile uomo ormai perso nei ricordi del cuore.


Viola Graziosi è l'anima e l'uomo, l'eroe umano e leggero che nulla sarebbe senza l'amore della sua donna. Un'interprete delicata e intensa nel suo primo monologo, sussurrato in punta di piedi e gridato con coraggio e immensa grazia.


La suggestione di Ghiannis Ritsos, il poeta greco devoto a Sofocle, è resa magnificamente da un regista attento e intenso come Graziano Piazza che attingendo al vasto serbatoio dei classici, nella traduzione di Nicola Crocetti, tenta uno stravolgimento linguistico dove il dramma di Aiace si tinge di rosa per rafforzare il concetto dell'immortalità dell'epico eroe omerico.


Orfeo ed Euridice da "Lei dunque capirà" di Claudio Magris e di Christoph Willibald Gluck ai Giardini della Filarmonica di Roma e alle Dionisiache 2016



Il buio della solitudine e della desolazione nella casa dove una donna è rinchiusa a seguito di una brutta infezione, è illuminato dal racconto di un amore femminile, quello di Euridice per Orfeo, uomo distratto, disordinato, affabulatore, narcisista e incapace di provare un sentimento pulito e nobile, prima della presunta trasformazione messa in atto dalla sua amata.
Si susseguono nelle parole pronunciate da Viola Graziosi, delicata e intensa interprete dei sentimenti umani, le immagini di una coppia, in una vita passata insieme tra momenti esaltanti e deprimenti, in un vortice di pura passione nelle corse al mare, il loro amato mare. Accanto alle suggestioni di Euridice, il canto del mezzosoprano Sara Biacchi, esprime quel che alle parole spesso non è concesso: il mistero e la pena impronunciabili, il dolore amoroso dell'animo umano.
Viola Graziosi, diretta dall'impeccabile attore e regista Graziano Piazza, ha sussurrato questa storia meravigliosa e lo ha fatto con la maestria e la delicatezza proprie di un'attrice preparata e intensa e appena le luci si sono accese, lei è avanzata voltando le spalle al pubblico, come a esprimere il suo disorientamento per le riflessioni sulla forza luminosa e creativa della vita e quelle incerte del nulla infinito.
Attraverso un omaggio al passato e al presente della letteratura europea, nel magico scenario dei Giardini della Filarmonica Romana a Via Flaminia 118, un vero è proprio boschetto al centro della Capitale, dove respirare a pieni polmoni la bellezza dei Solisti del Teatro, Viola Graziosi, Sara Biacchi e Graziano Piazza, hanno saputo regalare al pubblico nella data unica del 1 agosto, un gioiello di rara bellezza incastonato nell'Estate Romana 2016.

 
 (Chiesa di San Nicola Via Appia Antica Roma)


Clitemnestra di Luciano Violante regia di Giuseppe Di pasquale
Ia Edizione di Appia nel Mito 2022


Estremamente vicino all'attualizzazione del mito del greco Ritsos, l''autore colloca la dimensione temporale laddove la narrazione diventa canto disperato, grido di vendetta eppure lirica di grande impatto quando il fraseggio è affidato a Viola Graziosi, una delle voci più belle del nostro panorama artistico e letterario che irrompe nella chiesa di San Nicola come una clochard e si dirige sul palcoscenico suggestivo con il peso di una condanna a morte e sul patibolo delle sue colpe costretta a vagare per aver commesso un omicidio e per aver gettato sangue sul sangue dei suoi cari figli e del primo marito barbaramente ucciso da quell'Agamennone che dovrà fare i conti con una vedova e moglie esasperata.
Farsi giustizia per una madre privata dei suoi figli e per una donna smarrita, è l'unica soluzione possibile per la regina di Micene spodestata dal suo regno e senza corona, con il solo macigno dei suoi pensieri sul capo e di un destino avverso.
Nell'immaginario tribunale, Viola lascia che il pubblico la giudichi e la assolva dalle sue colpe e la lasci naufragare nel mare del suo dispiacere, forse purificata e perdonata.
Non più assassina e adultera ma mendicante di comprensione e amore.
Un'anima spartana magnificamente rappresentata da Viola Graziosi, che avvicina il mito alla contemporaneità, lasciando inalterato tuttavia il fascino e la suggestione della mitologia greca.

Storie di coltelli e di coraggio ad AR.MA teatro

 Ad AR.MA teatro riapre il Sipario7 sulle storie della Roma rinascimentale, come se la cultura e la conoscenza fossero un'arma contro il tempo che passa e cancella il ricordo di quello che siamo stati: coraggiosi, orgogliosi, poeti dialettali, romani, italiani.

Un reading romanesco molto originale è quello ideato da Francesco Bazzurri che attinge alla tradizione per mostrare come gli uomini del passato, le storie delle loro vite, la sfiducia verso il governo e i papi, siano così simili a noi e che caratterizza la prima parte dello spettacolo La Repubblica de le bestie dove tre statue parlanti: Marforio, Madama Lucrezia e Pasquino raccontano i fatti che furono, tra sonetti e le battute di autori romaneschi amatissimi, uno dei quali, Carlo Alberto Salustri, in arte Trilussa, fu nominato senatore a vita nel 1950, l'anno in cui ci lasciò, ma non la sua eredità immortale.

Ieri sera mentre ascoltavo gli attori diretti da Bazzurri, mi sembrava di sfogliare Il Rugantino del poeta dialettale Giggi Zanazzo dove all'età di 16 anni Trilussa chiese la pubblicazione di un suo componimento d'ispirazione belliana L'invenzione della stampa.

La seconda parte dello spettacolo Fora er cortello di grande impatto emotivo e scenografico sullo sfondo di un'osteria con il vino in bella mostra, tra passatelle e puncicate verbali e fisiche si conclude con un duello vero e proprio, tra i canti disperati dell'eccezionale Mirko Basile e della superba Ilaria Mazza.

E' stato un bel modo per omaggiare la tradizione ottocentesca romana, un lavoro coraggioso di giovani che guardano al passato come fonte d'ispirazione e specchio dei tempi.

Oggi si replica, accorrete numerosi!

Dove? 

A Via Ruggero di Lauria, 22 - Roma.

Il Teatro Roma riparte con Diamoci del tu

 Dopo aver ritirato gli accrediti, aver ricevuto la misurazione della temperatura all'ingresso del teatro, mi sono seduta nella poltrona rossa dopo più di un anno di assenza, tra distanze e mascherine, per applaudire Pietro Longhi e Gaia De Laurentiis nello spettacolo Diamoci del tu di Norm Foster, diretto da Enrico Maria Lamanna.

La commedia brillante dell'autore canadese, è proprio adatta a questi tempi, mi è sembrata la personificazione del teatro stesso che torna a darci del tu, rivolgendosi al suo pubblico per aiutarlo a superare questo momento attraverso le emozioni che solo il palcoscenico emana.

Il direttore e attore Pietro Longhi, ha rivolto parole piene d'entusiasmo al pubblico presente, ripartendo da dove si era fermato a ottobre, dopo la prima settimana di replica, per i motivi noti a tutti.

David e Lucy, questa sera, hanno raccontato una storia bellissima, quella di uno scrittore di successo di libri di spionaggio, pluripremiato e quello della sua collaboratrice domestica devota e sola.

Accade tutto in una notte ed è una notte piena di confessioni e verità taciute.

 Ma il tempo cambia le cose e le persone e spesso la solitudine può far nascere sentimenti straordinari come l'amore.

Non è mai troppo tardi per emozionarsi e questa commedia lo dimostra.

Pietro/David, ha dato voce a un uomo solitario e malato, che non ha mai ricevuto l'amore di una donna nonostante le unioni matrimoniali vissute e lo scopre per caso in una notte come tante che potrebbe cambiare la sua vita.

Gaia/Lucy intensa, commovente e appassionata, ha trascorso 28 anni nella lussuosa abitazione dell'uomo di cui s'innamora perdutamente ma ha celato il suo sentimento fino a questa notte.

Mi sono piaciuti come l'altra coppia di attori ammirati al Parioli nel 2016, sto parlando di Enzo De Caro e Anna Galiena che hanno rappresentato la commedia di Foster, emozionandomi moltissimo.

Bellissima la scenografia, le luci e l'atmosfera sognante ed elegantissima.

E' stato davvero bello tornare in teatro e quando si è chiuso il sipario ed ho applaudito, mi sono commossa moltissimo, perché  ho ripensato a quest' anno difficilissimo e interminabile.

Il teatro ha il potere di trasformare i sogni in realtà e oggi è accaduto questo.

 

La favola dolceamara di Cesira

 Cesira è una cantastorie napoletana, ha occhi scuri e profondi come il mare e un cuore pieno di sogni e amare verità che desidera svelare a un passante, forse è un giornalista di Raitre quello in cui s'imbatte e che potrebbe farla diventare famosa. E' una donna chiusa da generazioni dietro a un bancarello d'acqua e limonate, sposata con un uomo che sente le voci eppure è profondamente sola. 

Gennaro Cannavacciulo indossa dopo trent'anni con disinvoltura e maestria i panni del personaggio femminile nato dalla penna di Manlio Santanelli che nasconde i suoi mustacchi dietro una mascherina, come fosse un velo e una volta scoperto il viso, ha inizio una danza piena di comicità e tragedia e di umanità.

L'atto unico è musicale, il canto introduce il personaggio che prende per mano il pubblico empatico e divertito. 

Cesira, raccontando se stessa, svela la sua Napoli colonizzata dai normanni, gli svevi, gli angioini, gli spagnoli e i borboni e soffocata dalla borsa nera della Guerra Mondiale, dove sua mamma le diede il gravoso incarico di custodire le patate e portarle a casa a qualsiasi costo.

Quando Cesira lascia la scena resta un vuoto enorme dietro di se eppure ha riempito i cuori dello spettatore d'amore e malinconia perché il male di vivere che lei racconta, ci appartiene.

Cesira è ognuno di noi, con o senza baffi.

Dotato di una voce soave, Cannavacciulo ha dato vita a un testo meraviglioso, dove si alternano svariati registri linguistici, persino imitazioni e una donna ne contiene cento, mille.

Cesira è indubbiamente un personaggio pirandelliano che scompare per imprimersi nella mente di chi ha avuto la fortuna di conoscerla, che non è in cerca d'autore, ma di verità e calore.

La regia di Savelli è essenziale e funzionale.

Oltre Gennaro c'è un attore silente come Fabio Mascagni, che non parla, beve soltanto.

Vedere il video dello spettacolo con gli applausi e i sorrisi del pubblico, mi ha fatto sentire in teatro.

Il Teatro di Rifredi riparte con il cuore, come sempre, con uno spettacolo straordinario come questo.

                                        (foto di Stefano Cantini)


Un uomo in fallimento di David Lescot, secondo capitolo di Resistenze Teatrali

Una donna coraggiosa, un uomo in fallimento e un mandatario liquidatore, all'occorrenza psicologo e grillo parlante (la coscienza), riempiono gli spazi angusti di una separazione, che è a tutti gli effetti un vero e proprio fallimento civile. Viola Graziosi, nella parte della donna coraggiosa e rispettosa delle leggi, prende la solenne decisione di lasciare Graziano Piazza, il compagno visionario e nullafacente nella finzione e il regista di questa stupefacente lettura. L'amore non basta a tenere insieme la coppia. Così inizia la straziante riconsegna degli oggetti appartenuti ai due, libri compresi. In questa fase delicata e cruciale, giunge in loro aiuto, un'abile liquidatrice come Elisabetta Pozzi, che venderà una a una le cose appartenenti all'uomo senza un lavoro e senza un soldo, eccetto l'indispensabile per vivere come il confortevole letto, il frigorifero e un piatto. Ai dialoghi si alternano i monologhi dei tre personaggi che oscillano tra un'apparente quiete e una sorda disperazione. I problemi del vivere quotidiano, ingigantiti dalle umanissime paure e dalla solitudine, diventano microscopici sul finale, in cui Piazza rimpiccolisce, rendendo le problematiche finora affrontate e irrisolte, cose di poco conto. Non conoscevo questo interessante testo francese di Lescot e ho apprezzato la regia essenziale e psicologica di Graziano, attore e regista stimatissimo fin dai tempi di Schifo. Oltre alla regia, ho trovato estremamente convincente il personaggio che interpreta, il prototipo dell'uomo comune che non ha nulla da perdere non possedendo altro che un libro esistenziale e salfivico. Molto bello il monologo delirante in cui avviene l'incontro/scontro tra Piazza e un frigorifero che langue e ha ben poco da offrirgli. Viola Graziosi rappresenta in questo riuscitissimo esperimento teatrale, il coraggio che ogni donna dovrebbe avere nei confronti di un uomo finito che sceglie di abbandonare, nonostante un momentaneo ripensamento, anziché passare una vita a due fallimentare. Mi è piaciuto molto il suo rigore e i tempi perfetti del suo addio. Davvero magnifica Viola. Infine Elisabetta Pozzi che ho avuto il piacere di rivedere in scena questo pomeriggio nei panni di un mandatario/grillo parlante, ha saputo rappresentare assai bene il devastante peso delle pratiche burocratiche che dovrebbero garantire un senso di ordine ma che in realtà spiazzano. Dietro il suo fare pignolo e la lettura di un inventario di oggetti di cui disfarsi, si cela l'universo interiore di una donna sensibile e comprensiva. La lettura è corale e coinvolgente. Rivedrò lo spettacolo sul canale youtube del Centro Teatrale Bresciano. Invito a vederlo perché il teatro è aperto, è un momento di confronto e di crescita e consente attraverso il web di conoscere dei grandissimi attori come Graziano Piazza, Viola Graziosi ed Elisabetta Pozzi.
Lo spettacolo sul canale youtube del CTB

La barbona e il pappagallo con Elisabetta Pozzi

Sono entrata sul canale youtube del Centro Teatrale Bresciano per assistere a una lettura entusiasmante come La barbona e il pappagallo, dal testo del drammaturgo, attore e regista Vittorio Franceschi. Questa lettura interpretata da una straordinaria attrice come Elisabetta Pozzi, inaugura la versione a porte chiuse della fortunata rassegna di drammaturgia contemporanea Teatro Aperto giunto alla IV edizione, ideata e curata dalla signora Pozzi. La recensione La protagonista di questa poetica lettura scenica è una barbona che vive da anni senza fissa dimora, senza lavoro, senz'amore. Anche lei un tempo "si è innamorata di un essere umano", lo racconta a Pippo, il suo unico confidente e amico pappagallo che partecipa all'azione e al racconto con un cadenzato gracchiare mentre la vagabonda donna senza età, ripercorre gli anni più belli e più strazianti della sua vita. Lei parla a se stessa, ai passanti, al mondo, chiedendosi "come si è svegliata l'umanità stamattina". Come fossero i reperti che sistemava negli anni migliori del suo lavoro in un museo archeologico, gli individui osservati sembrano appartenere a un passato remoto come la figura muliebre di età pompeiana con le tette rifatte. In questa pièce ci sono diversi linguaggi, anche il pappagallese per rendere possibile il dialogo con il suo vecchio amico. Il più vivo e doloroso tra i ricordi, è quello di suo figlio, soprannominato 'crisantemo', una sorta di Piccolo Principe, un essere sensibile e indifeso, sognatore e amante dell'astronomia, insomma, un figlio diverso da tutti gli altri. L'amore è visto dalla barbona come una sottrazione. E la sottrazione per il figlio nato per sbaglio, inizia quando al planetario incontra la ragazza che segnerà per sempre il suo destino. L'incontro con questa Ninfa che per un po' ha nutrito la sua felicità, lo corrode e saranno devastanti per il giovane, gli effetti di questo amore. Elisabetta fluttua tra le parole e il tempo, raccontando un dolore senza fine o soluzione, come l'esistenza che si è ritrovata a vivere. E la sua performance meravigliosa, emozionante, arriva al pubblico in un teatro vuoto eppure aperto ai teatranti, ai lavoratori dello spettacolo, agli artigiani, ossia a coloro che, come ricorda nel suo discorso introduttivo l'autore Franceschi, esprimono la propria arte "con il sacrificio, il metodo e la disciplina che dura una vita". E' stata un'esperienza catartica, dopo tanto tempo e senza le luci dei cellulari accesi in sala e di quel pubblico disattento e scortese che troppo spesso ha reso lo spettacolo a cui stavo assitendo, dispersivo. Non avrei mai creduto che un dispositivo mobile, mi restituisse ciò che appresi ai tempi dell'università, attraverso le lezioni di Ferruccio Marotti alla Sapienza e che avevo smarrito. Ho ritrovato in questo spettacolo la purezza e il candore dell'attore che dona se stesso, in ogni singola parte e senza riserve. Il calore umano emanato dalla barbona, nonostante il gelo della sua esistenza, mi ha fatto pensare al gelo del teatro eduardiano, alla tensione, alla concentrazione assoluta dell'attore in scena, al suo donarsi all'arte. Ho trovato Elisabetta Pozzi davvero sublime e non vedo l'ora di assistere al prossimo spettacolo che seguirò sul canale youtube del Centro Teatrale Bresciano.

Jannuzzo magnifico cantastorie nel suo Recital

Recital è il titolo dello spettacolo di Jannuzzo in scena al Teatro 7 dal 25 febbraio al 15 marzo 2020.
Gianfranco Jannuzzo è un cantastorie irresistibile nel suo Recital, che alterna aneddoti a liriche, raccontandosi. Partendo dal suo amore per la recitazione e il teatro e la sua voglia di rappresentare il mondo attraverso le varie tipologie umane più o meno ridicole, porta in scena i suoi cavalli di battaglia, spiegando al pubblico la sua Sicilia così come l'ha vissuta e conosciuta. Il doveroso e affettuoso ricordo della sua amata famiglia rivive attraverso il pianoforte che contiene ricordi incancellabili e per renderli noti lui quel pianoforte lo suona nel corso dello spettacolo.

 La Sicilia non è solo la sua Terra ma è un ponte tra le culture e le popolazioni che vengono accolte e ospitate. 
Lo stupore nei suoi occhi e nelle sue parole è seguito da un canto dolce e amaro, che come un mare nostalgico lo culla perché è insito nei suoi gesti intimi o manifesti, persino nella sua ironia.
L'umorismo conferisce leggerezza alla sua visione della Sicilia e dell'Italia intera che ama attraverso i dialetti di cui si fa portavoce.
Jannuzzo è il suo Recital.
Andatelo ad ammirare al Teatro 7 anche in un periodo come questo perché l'epidemia della risata vi contagerà sicuramente e sarà bello essere curati dal teatro, un antidoto efficace e indolore.

di Tania Croce 

Boom di risate con Max Paiella

Può uno spettacolo coniugare musica, contenuti e divertimento dalla prima all'ultima battuta? Max Paiella ci è riuscito, nonostante il momento delicato che stiamo vivendo, condizionati da un panico smisurato per la temuta epidemia che ha terrorizzato la gente allontanandola da tutto, anche dal teatro. Senza il pubblico uno spettacolo non può andare in scena ed è questo il motivo per cui Paiella al termine di una prima straordinaria come quella di ieri sera al teatro Golden, ci ha ringraziato con il cuore.
Accanto a un polistrumentista eccezionale come Flavio Cangialosi, Max con la chitarra in mano come fosse il prolungamento del suo corpo, in simbiosi con le note musicali, ha raccontato la musica in modo inedito e sorprendente mentre il video di un viaggio per le vie di Roma scorreva alle sue spalle. Nelle ideali tappe di questo viaggio, Max ha ricordato pezzi amatissimi che il pubblico ha cantato, mostrando come alcuni accordi, possono andare bene per qualsiasi canzone, giocando a cantare con tutti noi.
Un gioco intervallato da riflessioni ironiche e lucide sull'uomo, sui suoi pregi e i difetti. Un vero e proprio Boom il suo spettacolo che valica i confini italiani, giungendo in Inghilterra, in Svezia e in America, per tornare qua a cantare come se non ci fosse un domani.
Tra cover, imitazioni esilaranti e dialetti abilmente sciorinati, arrangiamenti armoniosi e bellissimi, la sirena illuminata all'inizio si è spenta, anche se il pubblico avrebbe voluto continuare a cantare. Max Paiella è un intrattenitore preparato e abilissimo, è un comico, cantante, imitatore, vignettista e musicista italiano.
Collabora con Radio 2 nella trasmissione Il ruggito del coniglio, durante la quale, all'interno della rubrica Il Momento Musicale manda in scena svariati e pittoreschi personaggi. È il cantante della band Blues Willies insieme a Claudio Gregori (il Greg della coppia Lillo & Greg).
Sarà in scena al Teatro Golden fino al 15 marzo 2020 per la mia gioia. Andate a vederlo!

di Tania Croce

                                   Alcune scene dello spettacolo del 25 febbraio 2020

Casa di frontiera quando il nord e il sud fanno ridere

Gennaro Strummolo e la sorella Addolorata, sono due napoletani trapiantanti al nord, i quali non essendo riusciti a rimpatriare dopo la secessione, sono confinati come gli indiani nelle riserve, nei Centri Raccolta e Identità Culturale e costretti a vivere in una casa al confine col territorio padano. La messa in scena è curata dal suo autore Gianfelice Imparato ricordando la regia della prima edizione affidata a Gigi Proietti. L'addetta alle riserve, Olga, la seducente Claudia G. Moretti è un'assistente sociale biondissima e severa che tenta di educare i due meridionali 'lombardizzati' e impartisce loro lezioni per sradicarli dalle proprie origini.
Una successione di battute ed equivoci, mostra quanto sia veritiero e utile il monito di Paul Valery: "arricchiamoci delle nostre reciproche differenze".
Francesco Procopio è perfetto nel ruolo che interpreta, imprigionato in una casa,  con indosso un abito, un linguaggio e una vita che non gli appartiene fino alla consolante visione del suo bel presepe illuminato.
Splendida Alessandra D'Ambrosio, la sorella che non riesce a perdere la cadenza dialettale e che ama senza speranza Ciro (Giovanni Allocca), una specie di deus ex machina che giunge per distruggere o forse per ricostruire un valore dimenticato come l'appartenenza a una tradizione incorruttibile e indispensabile come quella napoletana.
Lo spettacolo ha un profondo risvolto multiculturale e la sua valenza risiede nell'attualità e nell'autenticità delle tematiche trattate.
Un applauso al cast e all' autore di una pièce estremamente coinvolgente e divertente, che sarà in scena fino al 1 marzo 2020 al Teatro Ghione.

di Tania Croce 

Dire sì a Paolelli e alle sue scene da un matrimonio al Teatro Roma

Scene di puro divertimento si susseguono nella commedia in tre atti di Mario Alessandro Paolelli Il matrimonio nella buona e nella cattiva sorte che ha debuttato il 20 febbraio al Teatro Roma con la Compagnia Un Teatro da Favola.
Il matrimonio visto dalla parte degli invitati, è una prospettiva curiosa e interessante che consente al pubblico di rispecchiarsi nei protagonisti della pièce corale ed ironica ma non troppo. Si riflette sui luoghi comuni, sull'importanza data al pettegolezzo superfluo e devastante.
La sconfinata umanità dei personaggi travolge e diverte fino all'ultima battuta.
Lo spettacolo è unico nel suo genere e in alcuni momenti cinematografico come quello in cui si riavvolge il nastro e tutto torna al punto di partenza.
Il conte impersonato magnificamente da Paolelli seduce col suo grammelot partenopeo e le sue costanti riflessioni che s'imprimono come aforismi utili da memorizzare e ripetere al momento giusto.
La logorroica e snervante pettegola, l'irresistibile Sara Miele, è colei che tutti vorrebbero invitare a un ricevimento di nozze perché senza di lei sarebbe tutto noioso e scontato.
Impeccabile Francesca Romana Biscardi, depositaria taciturna ed esaurita delle confessioni di tutti gli invitati, non ultimo il piagnucoloso eppure divertente Pietro Clementi, nella parte del marito abbandonato da cinque mesi e con il cell a vista nell'attesa della telefonata oppure del fatidico sms che ridarà gioia al suo cuore in pena.
Applausi alla contessa, la bravissima Valentina Marziali che sulla scena è la moglie e compagna rassegnata del conte, un uomo appassionato più dei cavalli che di tutto il resto e allo sposo (Daniele Boris Trombetti), agitatissimo forse immotivatamente per le presunte corna della moglie appena sposata, il quale rompe la quarta parete per scendere tra il pubblico e salutare gli amici.
Bravi anche Alessandro Frittella e Claudio Contini, l'uno imbranato e balbuziente al momento di dichiararsi a una donna, l'altro impenitente gigolò nonostante l'anello al dito.
In un ricevimento di nozze non possono affatto mancare le giovani non più giovanissime e graziose single che del matrimonio non vogliono sentir parlare, le belle e simpatiche Grase Ambrose e Livia Lucina Ferretti.
Tutte le tipologie di invitato alle nozze sono portate sul palcoscenico da Mario Alessandro Paolelli nella pièce per tutti in scena fino al 1 marzo 2020 al Teatro Roma. Lo spettacolo è meraviglioso, consigliatissimo!

di Tania Croce

PennadorodiTania CroceDesign byIole