Fabio Avaro non è solo sul palcoscenico, con lui c'è una silenziosa e fastidiosa zanzara a movimentare la narrazione delle Storie Bastarde, lo spettacolo che ha debuttato il 7 maggio con successo al Teatro Ghione.
Questo racconto è ispirato all'omonimo libro scritto dal giornalista Davide Desario il cui sottotitolo è Quei ragazzi cresciuti tra Pasolini e la Banda della Magliana, ossia il periodo storico in cui sono collocate le storie narrate.
La protagonista assoluta è la periferia e i ragazzi che tentano di passare il tempo tra partite di pallone e momenti magici consumati allo Stadio Olimpico per seguire la squadra del cuore.
Ho rivissuto gli anni '70, (quelli in cui sono nata) attraverso un gruppo di ragazzini cresciuti a Ostia come Fabio, in mezzo alla malavita locale, quelli che apprendono della scomparsa di Pasolini e che incrociano i bravi ragazzi della Banda della Magliana.
Questi giovani di periferia, crescono segnati e cambiati dal tempo e dalle necessità che li rendono padri di famiglia e uomini che hanno perso un caro amico morto per overdose.
L'atto unico che ho illustrato è veramente toccante, lo definirei un trailer degli anni '70 o un flasback, utile per riflettere e toccare con mano ciò che era la periferia e cosa è diventata.
Fabio Avaro in questa pièce è un personaggio pirandelliano o pasoliniano perché no.
Uno nessuno e centomila o Ragazzi di vita potrebbero essere i prossimi spettacoli da mettere in scena e Fabio Avaro potrebbe essere scelto come protagonista. Un mio suggerimento rivolto al giovane regista Ariele Vincenti.
Intanto vi suggerisco di vedere Storie Bastarde, in scena al Teatro Ghione fino al 12 maggio e poi in giro per l'Italia.
Avendo inaugurato la pagina di sport di Pennadoro, ne approfitto per condividere recensioni dedicate allo sport...
E’ buio pesto e un’atmosfera mistica pervade la piccola sala che accoglie come un cucciolo in una foresta senza alcun riparo, un uomo in tuta grigia e calzini di spugna. L’uomo piegato per terra non è un cucciolo, è Mario (Andrea Scoscina) un atleta in erba, che dopo mille perplessità si desta per iniziare la sua corsa al fianco di Steve (Ferruccio Cinti), se riesce a trovare la forza per allenarsi. Correre come se fosse il modo vincente per raggiungere degli obiettivi, correre per liberarsi dalle paure, per conquistare l’autostima, il mondo, anzi... New York, è quel che Steve spiega a Mario. E per raggiungere un traguardo come la maratona di New York, sarà necessario allenarsi con costanza e dedizione, sputando sangue per ottenere la preparazione adeguata. Mentre corre, Steve cita il primo maratoneta della storia: Filippide, per esortare il suo compagno malaticcio e debole che arranca dietro di lui con il volto teso e sfiduciato nelle sue possibilità. Filippide nel 490 a.C. (data della battaglia che oppose gli Ateniesi ai Persiani, nella piana di Maratona, a poco più di 40 km da Atene) nella storia raccontata da Erodoto, svolgeva la professione di emerodromo, ovvero l'emissario di generali e politici che trasmetteva i messaggi semplicemente... correndo da un punto all'altro della Grecia. Filippide non percorse solo il tratto da Maratona ad Atene per annunciare la vittoria degli Ateniesi sui Persiani, come forse tutti ricordano; infatti, pochi giorni prima aveva fatto, sempre di corsa, il tratto Atene-Sparta e ritorno (500 km) in poco meno di 48 ore, per cercare aiuto presso gli Spartani, prima che la battaglia iniziasse. La leggenda dice anche che Filippide, al termine dell'ultima corsa Maratona-Atene, morì per il grande sforzo fisico. Però aveva corso, era morto per una giusta causa e con questa storia Steve si esalta nei primi dieci minuti di corsa mentre il suo amico, avverte un senso di spossatezza enorme. La parola, il racconto autobiografico di Mario e il cinismo di Steve, portano i due atleti a 30 minuti di allenamento anche se le fitte alla milza di Steve sono lancinanti. Ad un tratto Mario cade e la corsa s’interrompe. Il momento di pausa è fatto per riflettere e per prendere una decisione: andare avanti oppure ritirarsi. Si torna a correre. Il coraggio di Mario vince la sua paura iniziale e spicca il volo, superando l’amico che ha perso terreno. La sfiducia svanisce e nasce un uomo nuovo ormai pronto ad affrontare qualsiasi ostacolo. "Maratona di New York non ti temo", sembra gridare Mario mentre continua a correre. Si spengono le luci ed il buio ora è colmo di speranza e di sogno.
Ritrovo questo file sul pc e lo pubblico su Pennadoro. Fu uno spettacolo meraviglioso. Mi piace ricordarlo... lo adorai al Teatro dell'Orologio. Era il 21 novembre 2010... Il biglietto sbiadito è incorniciato con la locandina che tengo in camera ormai da anni.
E’ un affresco delirante e tenero
quello dipinto sul volto e nei gesti di Flavio Bucci che si veste di straziante
follia per raccontare lo sciagurato destino di Popriscin, il protagonista del
“Diario di un pazzo” di Gogol.
Sarà per colpa del suo impiego mediocre
ossia quello di temperare matite in ufficio, oppure di una vita senza l’amore
di Sophie, la figlia del suo datore di lavoro, se Popriscin oscilla tra
lucidità e delirio, affidando ai fogli di un diario le sue aspirazioni, le
paranoie ed i pensieri più reconditi fino ad annegare nella follia stessa,
invocando la figura materna sul finale.
Senza alcuna speranza o chance di
giungere al cuore dell’amata, oppure ad una posizione sociale dignitosa, Flavio/Popriscin si rivolge allo spettatore, lo guarda dritto negli occhi, fino
a bucare anima e cuore col suo linguaggio autentico, senza filtri, che solo un
pazzo potrebbe usare.
Ma è la sua dichiarazione d’amore al
mondo, quella pronunciata mentre rivolge lo sguardo verso il cielo dove una
luna paziente lo attende per custodire i suoi desideri, una luna troppo
incantevole per accogliere gli uomini, ma solo i sogni contenuti nelle pagine
di un diario, quello di un pazzo che si abbandona alla follia perché in un
mondo in cui le cose sono concepite solo per i poveri di spirito, non c’è più
posto per gli animi nobili ed i sognatori.
Un applauso interminabile e commosso
quello del pubblico della pomeridiana di domenica nella Sala Grande del Teatro
dell’Orologio è stato rivolto a Flavio Bucci che è tornato per incantare i presenti con la sua
performance struggente e magnifica.
Osservare il ménage a tròis da diverse angolazioni è l' originale trovata di Clément Michel, l'autore della commedia Une semaine... pas plus, prodotta nella versione italiana da Attori & Compagny, il cui direttore artistico Mario Antinolfi, è uno dei protagonisti, accanto ad Antonio Conte e Milena Miconi per la regia di Francesco Branchetti.
Le false verità uniscono i tre personaggi tenuti insieme dall'equivoco. Lui (Paul) è il fidanzato grezzo ormai stanco della convivenza con Lei (Sophie), ragazza ingenua e adorabile che ha appena perso il lavoro e si appiglia a una sua frase pronunciata distrattamente sull'impossibilità di convivere pacificamente in tre, attuando la considerazione della ragazza. Così invita forzatamente a casa loro l'Altro, il distinto amico Martin. Ma si fermerà qualche giorno, una settimana al massimo, per elaborare il lutto della madre, che in realtà è viva e vegeta.
Le scene di teatro nel teatro sono efficaci e spassose. Il più francese dei tre è Antonio Conte, impeccabile nei panni di Martin, un gentiluomo galante, maniaco dell' ordine e bravo in cucina, insomma il compagno che ogni donna vorrebbe avere al suo fianco. E' quello che mi ha coinvolto e convinto di più senza alcun dubbio.
Mario Antinolfi incarna l'uomo senza scrupoli e charme eppure divertentissimo e mentre conoscevo e apprezzavo Antonio Conte, è stata una piacevole scoperta e rivelazione la performance di Antinolfi, al quale vanno i miei complimenti.
Milena Miconi è la meno convincente dei tre anche se in alcuni momenti fa scaturire il riso.
E' un trio affiatato quello che porta in scena Una settimana, non di più; funziona questo adattamento italiano con la traduzione di Giulia Serafini e le musiche di Pino Cangialosi e lo spettacolo ha superato le mie aspettative.
Quindi invito a vedere l'ultima replica pomeridiana al Teatro Tor Bella Monaca (che credo sia sold out) dove si conclude questa piacevole parentesi romana di uno spettacolo che ha riscosso successi in tutt'Italia.
Giunge il momento in cui un grande scrittore, giornalista, umorista e artista libero come Stefano Benni, che ci ha regalato pagine straordinarie di letteratura e teatro, desidera omaggiare un autore come Julio Cortazar da cui è stato influenzato. Nasce così Ululuna, che lo vede interprete e in parte autore. Lo spettacolo ha debuttato il 9 aprile 2019 al teatro Anfitrione, grazie al Teatro Stabile di Roma diretto da Maria Beatrice Alonzi che lo presenta e lo produce. Benni sceglie per la regia, il giovanissimo Jacopo Neri.
Sul palco accanto a Stefano Benni nei panni del vecchio Julio poetico, ironico e nostalgico scrittore giunto alla fine della sua esistenza terrena, recita Francesco Guglielmi la parte del giovane e ispirato Julio, con gli attori del Teatro Stabile di Roma Chiara Cappelli, Amandine Delclos, Margherita Maggio, Maria Caterina Catroppa, Francesco Renna, Valeria Pian, Chiara Cappelli, Rachele Patanè, Lorenza Molina, Federica Ciminelli, Lorenzo Giovannetti, Francesca Romana Filippo, come tanti cronopios rumorosi e irrazionali, "la creazione - come scrisse Italo Calvino - più felice e assoluta di Cortazar".
Come disse Pablo Neruda "Chiunque non legga Cortazar è condannato" e lo spettacolo inizia con il Preambolo alle istruzioni per caricare l'orologio, capitolo tratto dalle Storie di cronopios e di famas, scritto dall'autore omaggiato.
Rivolgendosi al lettore/spettatore, Benni presta la sua voce alle fantasticherie e alle riflessioni sulla vita e la morte, all'ispirazione e alla necessità di raccontare e raccontarsi in compagnia di questi piccoli esseri, creature antropomorfe che sfuggono a qualsiasi definizione, vivendo nell'immaginazione di colui che li ha creati: lo scrittore.
In una pièce di pura poesia e visioni, l'ora più bella è quella passata a immergersi nelle pagine fantasiose e autentiche di colui che è fuggito dalle prigioni imposte dagli uomini delle etichette e delle preferenze.
C'è una cosa che dona l'eternità: il sogno d'inventare storie possibili e vive anche dove sarà un'altra la vita rispetto a quella di cui siamo a conoscenza.
In teatro le visioni si fanno reali e tutta questa meraviglia sarà in scena fino al 14 aprile al teatro Anfitrione.
Le donne sono le protagoniste del concerto di Grazia Di Michele che si è svolto questo pomeriggio alle 17.00 al Teatro Golden e non alle 21.00 come ha erroneamente scritto il quotidiano più letto della Capitale.
La cantautrice romana e insegnante, è ideatrice e direttrice artistica della rassegna musicale A tu per tu con... un modo originale e intimo di portare la musica a teatro dove torna con "Sante, bambole, puttane", lo spettacolo scritto con sua sorella Joanna Di Michele e con la scrittrice e regista Pietra Selva.
Il pubblico è stato numeroso e coinvolto dalle intense storie di donne narrate e cantate da Grazia in questo stupendo spettacolo di Teatro-canzone dove non poteva mancare l'attrice Maria Rosaria Omaggio che l'ha accompagnata nel tour internazionale "Chiamala vita".
Sono donne non famose quelle cantate da Grazia: Lora, Raya, Anja... tutte sante, bambole o puttane, donne di un mondo ostile e crudele nei loro confronti.
Anche Mariella Nava ha duettato con Grazia.
Ha riproposto questo pomeriggio anche il pezzo sanremese Io non so mai chi sono cantato in compagnia di Platinette, ma i cori sono partiti con Le ragazze di Gaugin. La cantautrice accompagnata da Andy Bartolucci (batteria), Fabiano Lelli (chitarra), Marco Siniscalco (Contrabbasso) e Paolo Juric (Pianoforte), tornerà domani sera alle 21.00 per emozionare e coccolare il suo amatissimo pubblico.
A tu per tu con ... Mariella Nava è il sesto rendez-vous musicale al Teatro Golden intitolato "Epoca" come la raccolta di inediti con cui festeggia i trent'anni di carriera.
Secondo le nuove scoperte - afferma la cantautrice - il tempo sembrerebbe non esistere riportandoci a quell’equazione il cui calcolo finale per la sua misura porta a zero...".
Più che un concerto quello del 5 aprile, è stato un incontro di anime attraverso la narrazione e le canzoni interpretate con il talentuoso Mimmo Cavallo, oppure la lettura di Stefano De Sando (attore e doppiatore, è la voce di Robert De Niro dal 2001) di una poesia che la Nava ha scritto.
Giovani musicisti, voci dal passato come quella di Mango, hanno accompagnato Mariella Nava che ha ricordato artisti con cui ha collaborato come Andrea Bocelli per il quale ha scritto "Per amore" e molto bella è stata l'interpretazione di "Spalle al muro", portata al successo da Renato Zero. Una suggestiva coreografia con i cappelli è stata ispirata da "Ogni artista ha un cappello", brano contenuto nell'album "Epoca".
Con Mariella al pianoforte, hanno suonato Sasà Calabrese (contrabbasso), Roberto Guarino (chitarre), Salvatore Cauteruccio (fisarmonica), Tato Illiano (batteria) e Opening Act è stata Eleonora Betti.
L'appuntamento con Mariella Nava sarà sabato 6 aprile con nuovi artisti e canzoni amate dal suo pubblico.
di Tania Croce
TEATRO GOLDEN
Via Taranto, 36 - Roma
Ingresso a biglietto unico: € 30,00
Infoline: 06.70493826 Per prenotazioni: tel e whatsapp 06.70493826 - e mail info@teatrogolden.it I biglietti possono essere acquistati presso il botteghino del teatro Golden aperto tutti i giorni dalle 11.00 alle 19.00 e su ticketone www.teatrogolden.it
Prosegue la rassegna musicale A tu per tu con... Maredentro, il doppio concerto di Tony Bungaro il 3 e 4 aprile 2019.
Per la prima volta il teatro “open space” della Capitale ospita una rassegna sulla canzone d’autore nella quale entriamo a contatto con i grandi nomi della musica italiana del settore anticipati da alcuni dei giovani talenti più promettenti.
Il magico connubio, nella diversificazione tra suoni e parole, voluto da Andrea Maia direttore del Teatro Golden, è affidato alla direzione artistica della cantautrice, trainer e talent scout musicale Grazia Di Michele.
Questa sera un mare d'amore ha pervaso il pubblico coinvolto nei pezzi ed estasiato dalle note e i testi poetici delle canzoni contenute nell'ultimo album del cantautore brindisino, come il recente successo alla 68a Edizione del Festival di Sanremo Imparare ad amarsi, interpretato all'Ariston insieme a Ornella Vanoni e Pacifico. Il mare immenso, cantato da Giusy Ferreri nel 2011, nell'interpretazione di Bungaro ascoltata questa sera, da sensuale e aggressiva, diventa struggente e lacerante, Guardastelle è un'altra poesia che gli valse il premio Volare per la Miglior canzone nel 2004. Deliziosa Lu viddicu di lu mundu, versione dialettale de L'ombelico del mondo di Jovanotti e Perfetti sconosciuti, il pezzo cantato da Fiorella Mannoia e colonna sonora dell'omonimo film diretto da Paolo Genovese nel 2016.
Il tour Maredentro giunto a Roma, è un vero e proprio viaggio musicale di rara bellezza e un occasione per ascoltare dal vivo i brani di questo nuovo progetto discografico di Bungaro, uscito il 9 febbraio e dove propone la versione di alcuni pezzi scritti per altri cantanti e interpretati interamente dal suo autore.
Lo spettacolo racconta alcuni momenti significativi della sua vita e della sua carriera, attraverso emozioni autentiche, ironia e l'incanto dei suoi straordinari versi.
Il 4 aprile ci sarà il secondo appuntamento con la musica del raffinato cantautore, un vero e proprio inno d'amore e meraviglia da non perdere.
di Tania Croce
Bungaro
Maredentro
Bungaro - chitarra e voce Antonio De Luise - contrabbasso Marco Pacassoni - vibrafono, percussioni, batteria Antonio Fresa - pianoforte
Opening Act: Ida Scarlato
Per prenotazioni: tel e whatsapp 06.70493826 - e mail info@teatrogolden.it
I biglietti possono essere acquistati presso il botteghino del teatro Golden aperto tutti i giorni dalle 11.00 alle 19.00 e su ticketone www.teatrogolden.it
Ufficio stampa A TU PER TU CON...: Elisabetta Castiglioni +39 328 4112014 – info@elisabettacastiglioni.it
5 aprile ore 21 6 aprile ore 21 MARIELLA NAVA EPOCA Sasà Calabrese contrabbasso, Roberto Guarino chitarre, Salvatore Cauteruccio fisarmonica, Tato Illiano batteria Opening Act Eleonora Betti
7 aprile ore 17 8 aprile ore 21 GRAZIA DI MICHELE SANTE BAMBOLE E PUTTANE Fabiano Lelli chitarra, Andy Bartolucci batteria, Marco Siniscalco basso, Paolo Luric pianoforte Opening Act Giulia Pratelli
10 aprile ore 21 11 aprile ore 21 ALBERTO FORTIS ROMA I LOVE YOU Concerto per voce e piano Opening Act Federico D’Annunzio
12 aprile - Ore 21 13 aprile - Ore 21 ROSSANA CASALE JAZZ (TRENT'ANNI DA BRIVIDI) ACUSTICA Emiliano Begni pianoforte, Ermanno Dodaro contrabbasso, Francesco Consaga sax Soprano e flauto traverso, Gino Cardamone chitarra jazz Opening Act Valeria Crescenzi
14 aprile - Ore 17 MAX MAGLIONE NOI DUO con Giulia Maglione Giorgio Amendolara tastiere, Francesco Calogiuri batteria, Ferruccio Corsi sax Stefano Scoarughi basso, Stefano Zaccagnini chitarra
La recensione Eugenio Allegri è Novecento e il suo pianoforte, la sua musica meravigliosa e salvifica, è la sua apparente follia, è l'oceano nel quale sceglie di consumare la sua esistenza, è la sua storia, il suo alter ego.
Il vociare di una parte dell'umanità imbarcata sul Virginian, i volti e i pensieri di coloro che lavorano e che sognano una pausa dalla routine della terra ferma e ballano per non morire, risuonano nel monologo da pelle d'oca che in poco più di un'ora condensa il senso di un'esistenza il cui inizio e la fine è la tastiera di un pianoforte e lo spazio limitato eppure infinito di un transatlantico.
A bordo di questo Titanic, ammollo nell'oceano, si assiste a uno spettacolo che tocca corde profonde dell'animo umano e le scuote e i battiti del cuore accelerano come le note musicali fuoriuscite dai tasti di un pianoforte che in una notte burrascosa inizia a danzare senza sosta.
L'emozione incontenibile cede il posto all'ammirazione per la sublime performance di Allegri/Novecento e il pubblico si alza per applaudirlo e la commozione è corale e meravigliosa per questo spettacolo che chiude in bellezza la stagione 2018/2019 del teatro Eliseo.
di Tania Croce
Un pò di storia:
È uno dei monologhi più famosi degli ultimi due decenni e quella attuale è la sua “Stagione dei 25 anni”. Dopo il debutto al Festival di Asti nel 1994, sono ormai oltre 500 le repliche e più di 200 mila gli spettatori che hanno assistito a questo spettacolo divenuto un “cult” della scena italiana e riallestito oggi dal Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale con la collaborazione produttiva di Art Quarium.
Novecento c’est moi. Novecento sono io, dice Eugenio Allegri che da un quarto di secolo, diretto da Gabriele Vacis, racconta la storia di Danny Boodman T. D. Lemon, alias Novecento, il pianista creato dalla penna di Alessandro Baricco, scrittore tra i più tradotti al mondo, autore di questo testo per il teatro che ha superato il milione di copie vendute ed è diventato un film interpretato da Tim Roth per la regia di Giuseppe Tornatore La leggenda del pianista sull’oceano.
Allegri ridà nuovamente vita al suo personaggio più emozionante, il musicista jazz che dal Virginian, il grande transatlantico dal quale non scende mai, riesce a cogliere l’anima del mondo. Un alter ego incontrato per la prima volta nell’estate del 1993 quando - ricorda l’attore - Nel cortile di casa Vacis, nei giorni tra la fine di agosto e gli inizi di settembre, mentre il barbecue “scotta” pezzi di mucca ancora padrona delle proprie facoltà mentali, un autore e un attore palleggiano abilmente con un regista al palleggio meno avvezzo al punto che quando arriva tra i suoi piedi, la “pelota” schizza con rimbalzo fulmineo verso luoghi inaccessibili anche per la mente… ma a quel punto sono pause calcistiche congeniali a rifiatare e a porre la questione principe: “Allora, cosa dite? ‘Sto pianista scende dalla nave, sì o no?”. Il regista e l’attore si guardano perplessi come dire: “È lui che è pagato per scrivere…”. La giornata poi scorre aiutata da sorsi di buon vino e verso sera prima di salutarci: “Tieni Baricco, ti lascio questo quaderno di appunti su un testo teatrale che non ho mai scritto e questa dedica allo spettacolo Novecento e mille che ho fatto con De Berardinis nell’86; ci sono dentro un po’ di cose che penso dell’arte e del teatro.
Adieu! Bon travail”. Quattro mesi dopo, il 27 gennaio 1994, arrivano di ritorno da Parigi le prime folgoranti pagine di Novecento, monologo teatrale… è fatta… si va.
Collaudata dal tempo e dalle repliche, la vicenda leggendaria del grande pianista jazz che vive in simbiosi con il piroscafo sul quale è cresciuto, incapace di staccarsene, è diventata un classico. Eugenio Allegri si cala nel ruolo con la disinvoltura di chi lo possiede pienamente: Quando mi ritrovai tra le mani la storia fui sopraffatto dall’emozione.
Avevo le lacrime agli occhi. Dopo tutto questo tempo Novecento mi è entrato talmente dentro - confessa - che non mi richiede più alcuno sforzo. Lo recito quasi più per me, devo ammettere, che per il pubblico.
Eugenio Allegri, diplomato alla Scuola Galante Garrone di Bologna, allievo di Jaques Lecoq, recita nel 1981 nell'Opera dello Sghignazzo, diretto da Dario Fo e prodotto dal Teatro Stabile di Torino. Lavora con TAG Teatro, diventando uno dei maggiori interpreti della Commedia dell’Arte. Nel 1991 inizia la collaborazione con il Laboratorio Teatro Settimo di Torino: prende parte ad alcuni degli spettacoli più importanti della formazione, oltre al format Totem di Alessandro Baricco, Gabriele Vacis, Roberto Tarasco (Rai2, 1998). Novecento, monologo teatrale tra i maggiori successi teatrali degli ultimi vent’anni debutta al Festival di Asti16 nel 1994, scritto appositamente per lui daBaricco, e diretto da Vacis. Nel 1998 fonda la Società Cooperativa ArtQuarium. Lavora con alcuni dei maggiori registi italiani: Leo De Berardinins, Memè Perlini, Gigi Dall’Aglio, Giorgio Gallione, Elio De Capitani e Ferdinando Bruni. Nella stagione 2016/2017 è stato uno dei principali interpreti de Il nome della rosa di Umberto Eco, versione teatrale di Stefano Massini, con la regia di Leo Muscato, prodotto dal Teatro Stabile di Torino e in tournée per la stagione 2017/2018.
Gabriele Vacis, architetto, è tra i fondatori del Laboratorio Teatro Settimo. Con Teatro Settimo ha scritto e curato la regia di numerosi e pluripremiati spettacoli teatrali.
Ha diretto Zio Vanja, per la riapertura del Teatro Carignano di Torino (2009). È autore e protagonista con Alessandro Baricco di Totem (1998). Nel 2006 ha curato la regia della Cerimonia d’apertura degli Olimpic Winter Games. Dal 1993 al 2004 ha diretto il corso attori e il corso di regia alla Scuola d'arte drammatica Paolo Grassi di Milano; ha insegnato alla Scuola Holden dal 1994 al 2016. È tra gli ideatori di Torino Spiritualità.
Nel 2007 ha fondato il Teatro Regionale Alessandrino, di cui è direttore artistico fino al 2011. Nel 2012 ha diretto il Progetto Bellezza per il Ministero della Gioventù, la Regione Piemonte e il Teatro Stabile di Torino. Dal 2013 al 2017 è stato direttore artistico della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia. Nel 2017 ha fondato l’Istituto di Pratiche Teatrali per la Cura della Persona. Dal 2018 codirige con Valerio Binasco la Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino.
Ho avuto la fortuna e il piacere di vedere per la prima volta nella mia vita, la messa in scena de Il Piccolo Principe, attraverso la Compagnia Salvatore Della Villa, che ha saputo regalare a me e al pubblico del Tor Bella Monaca, emozioni autentiche e magiche, fedelissimo al testo eppure abilissimo nel tradurre le visioni del racconto con la sua regia evocativa e sognante e un cast di rara bravura formato dal biondo e bellissimo Filippo De Carlo, dall'incantevole Matteo Padula e dalle straordinarie Rossana Peraccio, Elena Spinelli e Mariapaola Sistilli. Il candore infantile di fronte alla scoperta del mondo, è il leit-motiv de Il Piccolo Principe, per cui l'autore, il pilota francese Saint-Exupéry e narratore del racconto autobiografico amatissimo in tutto il mondo, arrossiva davvero in età adulta, come fanno i bambini.
E' stato anche per me un amore a prima vista quello con le parole di chi non ha dimenticato la sua parte infantile, la quale convive con quella adulta. A Exupéry capitò davvero un incidente nel deserto del Sahara nel 1935 e fu ritrovato e salvato miracolosamente dagli indigeni quando era ormai pressoché morto di sete.
Il narratore (Salvatore Della Villa) guida lo spettatore nel viaggio alla scoperta del mondo compiuto dal Piccolo Principe, il quale cade sulla terra dal suo piccolo pianeta, l'asteoride B612, approfittando di una migrazione di uccelli selvatici.
L'incontro tra l'aviatore assetato e la piccola e deliziosa creatura, avviene come per gioco, con la richiesta di un disegno: una pecora.
L'asteroide da cui proviene questa personcina, è piccolissimo, avvistato una sola volta da un astronomo turco, è infestato dai baobab, però in quel piccolo pianeta, custodisce un fiore prezioso.
Quella del Piccolo Principe è una vita malinconica scandita dalla visione dei tramonti.
La tristezza e la monotonia di fronte ai tramonti cede il posto all'idea luminosa di viaggiare per istruirsi.
Così inizia a visitare diversi asteroidi, abitati il primo da un re despota che pur vivendo solo, ha la presunzione di regnare su tutto, poi s'imbatte in un vanitoso che spiega al piccolo principe cosa voglia dire 'ammirare'. Poi è la volta dell'ubriacone il quale beve per dimenticare ma senza ricordare cosa sta cercando di dimenticare e poi un uomo d'affari che crede di possedere le stelle. Il quinto pianeta è abitato da un uomo che svolge un mestiere terribile: spegnere e accendere in continuazione l'unico lampione esistente nel suo asteroide.
Nel sesto pianeta conosce un esploratore che lo invita a visitare la Terra.
Il settimo pianeta in cui Il Piccolo Principe giunge è immenso e i suoi incontri sono emblematici, prima con un serpente poi con la volpe che gli spiega il verbo 'addomesticare' ossia 'creare dei legami' e gli confida che "l'essenziale è invisibile agli occhi" e che il suo fiore chiamato rosa, è uguale a quelle trovate sulla Terra ma lei è l'unica di cui si è preso cura con amore.
Questo universo meraviglioso prende forma tra gli attori ginnici e talentuosi che trasformano la magia descritta da Antoine de Saint-Exupery in realtà.
Una lezione di teatro e scienze, psicologia, pedagogia e religione è in scena al Sala Umberto.
Come studenti maturi e consapevoli, entriamo nella scuola delle scimmie, tra professori illuminati e condannati, presidi severe, genitori atei e cattolici, allieve innamorate e zii eloquenti e smarriti.
Bruno Fornasari, l'autore e regista dello spettacolo sull'evoluzionismo e il creazionismo, ispirandosi a tre fatti realmente accaduti, ha scritto una pièce entusiasmante, che induce a pensare a ciò in cui crediamo o abbiamo creduto, influenzati dall'educazione ricevuta in famiglia, dagli studi compiuti e dal credo religioso. I fatti sono : 1) Il "Processo della scimmia" nel luglio del 1925 a Dayton in Tennesse (USA), dove il professor John Scopes violò il Butler Act, una legge che vietava l'insegnamento della della teoria di Darwin nelle scuole di stato, 2) La Gazzetta Ufficiale si preparava a pubblicare le indicazioni nella scuola secondaria di primo grado ( febbraio 2004) di far sparire l'insegnamento dell'Evoluzione di Darwin, 3) Giuliano Ibrahim Delnevo, genovese di 23 anni, è il primo foreign fighter italiano a essere ucciso in Siria nel 2013.
Lo spettacolo presentato dal Teatro Filodrammatici di Milano, dove Bruno Fornasari è autore, regista, attore e co-direttore artistico, vanta un cast di prim'ordine, a partire da Giancarlo Previati, padovano e legato a Grotowski, Barba, Corsetti, dotato di grande presenza scenica, ironia e talento, Sara Bertelà, pluripremiata attrice e regista diplomata giovanissima allo Stabile di Genova, ha lavorato con tutti i grandi da Besson, ad Albertazzi, Binasco, Lavia, Comencini, Tarasco, Dini, a Tommaso Amadio, attore, regista e co-direttore del Teatro Filodrammatici di Milano, lo straordinario professore e poi Emanuele Arrigazzi, eccezionale nei panni di Menken, diplomato all'Accademia dei Filodrammatici come la giovane Camilla Pistorello, classe 1987, campionessa italiana juniores di pattinaggio sul ghiaccio, Silvia Lorenzo, la quale si forma su realtà d'impostazione grotowskiana in Italia e all'estero e infine Luigi Aquilino, che è John Thomas Scopes, diplomato dopo gli studi musicali all'Accademia dei Filodrammatici di Milano.
L'interrogativo sull'urgenza e la necessità di un diluvio universale, tra uomini e scimmie che ballano e che fanno parte integrante della pièce, conclude la lezione alla Scuola delle scimmie, uno spettacolo colto, originale, sorprendente, interessante e di cui ho apprezzato la regia, l'idea e gli attori. Lo consiglio!
Nell'adattamento di Argirò, è sottolineato il freddo delle terre di Tracia, precisamente ci troviamo sul lido Chersoneso trace, nel campo dei Greci reduci da Troia. E' l'alba e al posto delle prigioniere troiane che compongono il Coro, alloggiate accanto ad Agamennone, c'è una sola Corifea rappresentata con intensità da Maria Cristina Fioretti, che un po' racconta e un po' partecipa all'azione, affiancata dall'Ancella coraggiosa ed eloquente, interpretata abilmente da Elisabetta Arosio.
La Corifea e l'Ancella sostengono Francesca Benedetti nei panni di Ecuba, la vecchia regina spodestata dal suo trono e ridotta anch'essa in schiavitù, privata d'ogni bene e dell'amore dei figli, soprattutto di Polidoro, custodito per volere di Priamo, suo padre, dall'amico Polimèstore (Gianluigi Fogacci) che lo uccide a sua insaputa. Il dolore di Ecuba è sordo, come l'oblio nel quale sprofonda alla notizia che la bellissima figlia Polìssena, è reclamata da Achille per essere scannata sul suo tumulo. Così Ulisse viene a prendere l'ennesima vittima sacrificale e a nulla valgono le parole della madre.
Ma Polìssena sceglie di sacrificarsi anziché continuare a vivere da schiava e senza dignità. "Vivere che significa? Ero figlia del re dei Frigi, quando venni al mondo; liete speranze di nozze regali mi nutrirono... la vita senza onore è una tortura". E così Polìssena procede scalza verso il suo destino, con una veste bianca candida e pura come la sua verginità e gli applausi di consenso e commozione provengono da un pubblico colpito dalla bellezza e dalla bravura di Viola Graziosi che svanisce con eleganza e grazia.
Entra Taltibio, mandato da Agamennone ad annunciare a Ecuba l'ordine degli Atridi e dell'armata greca, di seppellire sua figlia. C'è struggimento nelle parole e nei gesti di Graziano Piazza e il suo modo di rappresentare il messaggero Taltibio, schiavo e disperato, costituisce uno dei momenti più alti della prima di ieri al Teatro Arcobaleno.
Nonostante la bravura del cast, non trovo azzeccata la scelta di alcune calzature e abiti indossati dagli attori a partire dalle scarpe da ginnastica di Ecuba, gli anfibi militari dell'Ancella, la bombetta, il bastone e i guanti bianchi di Agamennone (Sergio Basile) e il tait di Ulisse (Maurizio Palladino). Sono inopportuni anche i fiori portati e poi strappati dalle mani dell'Ancella e della Corifea da parte di Polimèstore. Pur nell'intenzione del regista di ribaltare i piani e i politici in borghesi e burocrati come nel caso di Ulisse in tait, o di Agamennone in bombetta, guanti e bastone, tale da collocarlo a fine '800 e Polimèstore un cialtrone assetato di denaro, la scelta degli abiti a mio modesto parere non sortisce l'effetto desiderato, sminuendo l'azione e le parole pronunciate dagli eroi euripidei. La novità assoluta del teatro euripideo è comunque rappresentata dal realismo con il quale il drammaturgo tratteggia le dinamiche psicologiche dei suoi personaggi. L'eroe descritto nelle sue tragedie non è più il risoluto protagonista dei drammi di Eschilo e di Sofocle, ma sovente una persona problematica ed insicura, non priva di conflitti interiori, le cui motivazioni inconsce vengono portate alla luce ed analizzate.
Lo spettacolo che necessita di un rodaggio, è un omaggio alla tragedia greca nel tentativo da parte del regista di mostrare l'indifferenza degli dei e la mano dell'uomo celata dietro ogni azione malvagia.
di Tania Croce
Nella traduzione di Filippo Maria Pontani di Tutte le tragedie di Euripide, leggo che Le Nuvole di Aristofane (rappresentate nel 423) richiamano alcuni versi dell'Ecuba che risale al 425-24 a. C.
I protagonisti sembrano essere Bruno e Marta, la giovane coppia di sposi che decide di acquistare un appartamento in un complesso residenziale nuovo con piscina. In realtà il protagonista è il mistero che chiude la pièce attraverso il grido di dolore di Marta.
L'illusione di essere marito e moglie, conduce Alessandro Palladino e Chiara Baffi a fare delle scelte importanti: matrimonio, vita insieme, un figlio. Vivono nell'attesa di fare amicizia con dei vicini ma sono i soli ad abitare in quel complesso di nuova costruzione. Bruno nuota nella piscina che pare esista solo per loro, ma l'ascensore è rotto da un mese e non arriva nessuno per aggiustarlo.
L'isolamento in cui i due si ritrovano a vivere, li mette di fronte alla realtà, all'essenza delle cose. Possono bastare delle scelte apparentemente felici per essere davvero felici?
Così l'amore si trasforma.
Forse il Nerium Oleander, ha avvelenato la vita della coppia e l' appartamento in cui si svolge la scena, si trasforma in una prigione.
E' la seconda opera che leggo e vedo a teatro di Josep Maria Mirò, diretto questa volta da Mario Gelardi, con la Produzione Nuovo Teatro Sanità e che giunge a Roma dopo Firenze, Napoli, Caserta.
E' un lavoro introspettivo acuto dove il non detto, conta più delle parole.
Mi ha colpito particolarmente la scelta registica di raccontare i 12 mesi dell'anno, in base allo stato d'animo degli interpreti, giocando sullo spazio che da luminoso diventa angusto e il buio prende il posto della luce rappresentata dalle due belle lampade laterali. Il divano è il microcosmo intorno al quale ruotano gli attori ma non basterà a tenerli insieme.
Josep Maria Mirò racconta i nostri tempi. Lo spettacolo tradotto in italiano da Angelo Savelli, è da vedere!
di Tania Croce
SPAZIO
DIAMANTE / 21-24 MARZO
da giovedì a sabato ore 21, domenica
ore 17
Via Prenestina 230B tel:+390627858101 -
info@spaziodiamante.it
Oltre la vita trappola, che ci costringe a incontrare moltissime maschere e pochi volti, si spinge l'ultimo capolavoro incompiuto di Pirandello, che ci è apparso ieri tra luci colorate, attori straordinari vestiti da fantocci e Scalognati, illuminati da un mago che induce all'incanto delle parole e dei sogni dove prima c'era la fredda ragione, ossia colei che ci tiene a galla nel mare dell'esistenza.
Tra le rovine di un teatro antico ormai distrutto e tendaggi lunghissimi, sullo sfondo di una luna piena che veglia sulla follia degli uomini, il mago Cotrone accoglie nella sua villa, la Compagnia della Contessa, ossia un gruppo d'attori guidati da Ilse, i quali smarriti, cercano il luogo adatto dove poter rappresentare La favola del figlio cambiato, la penultima opera teatrale di Luigi Pirandello.
Cotrone invita la rossa e bellissima Ilse (Federica Di Martino), una donna affranta e disperata, a recitare nell'incanto della villa, questa novella oppure tra i giganti della montagna, potenti signori occupati in opere grandiose.
La magia, la speranza e soprattutto la paura dell'imminente fine, conclude il secondo tempo.
La vita e la morte s'incontrano tra mezzi teatrali e visioni, verità e finzione, in questo dramma testamento dell'autore di Girgenti, che conclude la trilogia pirandelliana di Gabriele Lavia, un attore e regista immenso ed eccezionale, che ha mostrato in questa pièce il talento prodigioso dei bambini, capaci d' inventare storie a cui credono, una magia che l'umanità ha smarrito.
di Tania Croce
I giganti della montagna
di Luigi Pirandello
con
Federica Di Martino, Clemente Pernarella, Giovanna Guida, MauroMandolini, Lorenzo Terenzi, Gianni De Lellis, Federico Le Pera, Luca Massaro: la Compagnia della Contessa