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Gli spettacoli più belli del 2019

Il 2019 è stato un anno intenso, complesso, pieno di ostacoli e di teatro, che ha allietato le nostre ore.
E' difficile dare un voto agli spettacoli visti e amati ma vorrei elencare quelli che ho amato di più e perché.

1) Il miglior spettacolo omaggio all'omonimo film di Pupi Avati, è sicuramente REGALO DI NATALE con Giovanni Esposito, Filippo Dini, Valerio Santoro, Gigio Alberti e Gennaro Di Biase per la regia di Marcello Cotugno, visto al Quirino. 
Mi è piaciuto perché...
"Oltre all'impeccabile regia di Cotugno e alla maestria del cast, è degno di nota il lavoro magnifico sulle luci affidato a Pasquale Mari, le scenografie suggestive di Ferrigno e l'adattamento di Pierattini che ha proiettato una storia degli anni '80 ai giorni nostri, frenetici e telematici, dove forse valori come l'amicizia, hanno un peso inferiore nella nostra vita rispetto all'imperante individualismo.
Un ottimo lavoro teatrale da vedere ed applaudire".
La recensione:



2) Il musical più emozionante è sicuramente A CHRISTMAS CAROL dall'opera sul Natale forse più bella che sia stata mai scritta da Dickens, con uno Scrooge Ciufoli di rara bravura e Fabrizio Angelini nei panni di Mr. Fezziwig, danzando con un cast straordinario. Visto al Quirino.
Mi è piaciuto perché...
"In questo musical il viaggio è corale e spirituale, verso un distacco dalle cose materiali che rendono gli uomini meschini e orribili. Siamo tutti un po' Scrooge e il teatro rende possibile questa catarsi, ossia una purificazione che ci illumina, indicandoci la giusta strada da percorrere per diventare uomini migliori".


3) Tra gli omaggi alla letteratura straniera più toccanti del 2019 c'è senza alcun dubbio LE NOTTI BIANCHE di Dostoevskij con la regia di Francesco Giuffrè visto al Ghione.
Mi è piaciuto perché...
"Il regista Francesco Giuffrè ha saputo ricreare la Pietroburgo descritta dall'autore russo e la dimensione utopistica del sognatore attraverso i giochi di luci di Luca Palmieri, le suggestive musiche classiche, i costumi in scena come a suggerire presenze fisiche, l'ultima quella dell'amato di Nasten'ka con il quale scomparirà dalla scena lasciando solo il povero e innamorato sognatore.
Tra giochi di pioggia e un ombrello che s'illumina e dal quale cadono le gocce da cui l'eroe si ripara, luci fioche nelle quattro notti in cui i due sconosciuti s'incontrano, si consuma la meravigliosa storia che racchiude un'ideologia etica di protesta".
La recensione:


4) Come posso non elencare in questa mia appassionata classifica, l'altro omaggio letterario a Dostoevskij interpretato da Mauri e Sturno all'Eliseo I FRATELLI KARAMAZOV?
 La sofferta performance di Glauco Mauri, interrotta a causa di un malore, è stata ripresa con successo nella serata indimenticabile a cui ho assistito.
Mi è piaciuto perché... 
"Glauco Mauri e il regista Matteo Tarasco hanno scelto i capitoli più emblematici del romanzo, la cui summa è sicuramente rappresentata dal monologo di Roberto Sturno che è Ivàn, uno dei tre figli di Fëdor Karamazov e conduce il pubblico nel suo viaggio iniziatico attraverso Il racconto del Grande Inquisitore".
La recensione:


5) Tra gli spettacoli di autori teatrali contemporanei stranieri apprezzati nel 2019, cito con immenso piacere ed emozioni: IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE adattato dal regista Angelo Savelli vincitore del Premio Ubu Speciale 2019 e prodotto da Pupi e Fresedde. Ho visto la prima allo Spazio Diamante, seduta al fianco del suo autore: il catalano Josep Maria Miro.
Mi è piaciuto perché...
"Il teatro degli interrogativi dell'autore catalano originario di Vic (Barcellona), mette insieme le domande che si susseguono nel copione, nel tentativo di comprendere gli altri e noi stessi. Il dialogo è pieno di battute interrotte di colpo e di punti interrogativi, la scena è animata da déjà-vu e flashback come fosse la fotografia dei nostri pensieri più che delle azioni compiute, dei ricordi che si agitano nella nostra mente, nel tentativo di restare a galla come il corpo immerso in un liquido teorizzato da Archimede.
E' stata un'esperienza forte, assordante come il rumore dei vetri in frantumi che paralizza, inquieta, sconcerta".
La recensione:

6) Tra i tributi alla drammaturgia pirandelliana, mi ha emozionato immensamente I GIGANTI DELLA MONTAGNA con Gabriele Lavia ammirato al Teatro Eliseo.
 Mi è piaciuto perché...
"La vita e la morte s'incontrano tra mezzi teatrali e visioni, verità e finzione, in questo dramma testamento dell'autore di Girgenti, che conclude la trilogia pirandelliana di Gabriele Lavia, un attore e regista immenso ed eccezionale, che ha mostrato in questa pièce il talento prodigioso dei bambini, capaci d' inventare storie a cui credono, una magia che l'umanità ha smarrito".
7) LA GENTE DI CERAMI è un altro spettacolo omaggio tra i miei preferiti visti nel 2019 con una straordinaria Anna Ferruzzo e un impeccabile Massimo Wertmuller, visto al Vittoria. Mi è piaciuto perché...
"In questo splendido atto unico, cambiano tempi e costume, abitudini, cappelli e stati d'animo Massimo e Anna, incontrandosi, corteggiandosi, ridendo, piangendo, sussurrando, declamando e cantando come solo due grandi interpreti sanno fare e regalando agli spettatori, immagini splendide della Roma petroliniana e di quella del boom economico, e portando in scena belle anime, fragili oppure ridicole ma sempre e comunque straordinarie".
La recensione:
https://www.pennadoroteatro.com/2019/03/la-gente-di-cerami.html


8) Tra gli spettacoli pedagogici ispirati alla scienza, ho visto e adorato al Sala Umberto LA SCUOLA DELLE SCIMMIE.
Mi è piaciuto perché...
"E' una lezione di teatro e scienze, psicologia, pedagogia e religione. 
Come studenti maturi e consapevoli, entriamo nella scuola delle scimmie, tra professori illuminati e condannati, presidi severe, genitori atei e cattolici, allieve innamorate e zii eloquenti e smarriti.
Bruno Fornasari, l'autore e regista dello spettacolo sull'evoluzionismo e il creazionismo, ispirandosi a tre fatti realmente accaduti, ha scritto una pièce entusiasmante, che induce a pensare a ciò in cui crediamo o abbiamo creduto, influenzati dall'educazione ricevuta in famiglia, dagli studi compiuti e dal credo religioso".
La recensione: 
9) Merita un posto privilegiato il meraviglioso spettacolo WALKING ON THE MOON dedicato alla missione Apollo 11, la cui data ha coinciso con l'anniversario dell'allunaggio avvenuto 50 anni fa. Ha vestito splendidamente i panni dell'astronauta Michael Collins l'attore e regista Graziano Piazza al Teatro Romano di Ostia Antica.
Mi è piaciuto perché...
"Lo spettacolo scritto da Fabio Morgan e diretto da Leonardo Ferrari Carissimi è un atto unico di rara bellezza con scene di teatro nel teatro, citazioni letterarie, luci stroboscopiche e Moon River come colonna sonora perché l'amore (come nel film Colazione da Tiffany) è il dono che Collins consegna al giovane e inesperto Elia (Matteo Cirillo), come fosse un carburante speciale per poter mettere in moto il suo sogno. La gradinata del Teatro Romano immerso nell'area archeologica di Ostia Antica come palcoscenico per gli attori, ha consentito una visione suggestiva e coinvolgente".
La recensione:
https://www.pennadoroteatro.com/2019/07/viaggio-sulla-luna-con-mike-collins.html


10) L'One man show di Enrico Montesano, il mio attore romano preferito, dotato di una vis comica fuori dal comune, apprezzato nella splendida cornice di Santa Severa, mi ha rincuorato, rallegrato e divertito immensamente.
Lo spettacolo mi è piaciuto perché:
"Nel meraviglioso viaggio teatrale di circa due ore, l'immenso attore, imitatore, barzellettiere, rumorista e cantante, con la leggiadria di un cavallo di razza ha attraversato epoche, ideologie, tradizioni popolari, lingue e dialetti italiani e stranieri per raccontarsi e mostrare l'uomo condizionato dalla politica e dalla comunicazione sui social, priva di pathos ed emozioni autentiche".
La recensione:
https://www.pennadoroteatro.com/2019/08/enrico-montesano-in-one-man-show.html


11) Il secondo omaggio al cinema che ho apprezzato quest'anno, è stato lo spettacolo pedagogico L'ATTIMO FUGGENTE, la prima versione teatrale dell'omonimo film cult del 1989, reso famoso dalla straordinaria e indimenticabile performance di Robin Williams visto al Ghione.
Mi è piaciuto perché: 
"E' stato un magnifico viaggio letterario e umano al fianco di Ettore Bassi e vorrei dire che questa pièce è necessaria perché sottolinea l'insostituibile valore dello studio e dell'educazione indispensabile all'orientamento degli adolescenti".
La recensione: 
https://www.pennadoroteatro.com/2019/10/ettore-bassi-insegna-lamore-per-la.html


12) Lo spettacolo musicale di Romano Talevi, una vera e propria opera rock dove la prosa s'insinua per raccontare storie di periferia drammatiche e vicine a ognuno di noi, è stato TANGENZIALE visto al teatro Lo Spazio.
Lo spettacolo mi è piaciuto perché:
"E' uno spettacolo rock, uno show teatrale originale e seducente, con citazioni letterarie: Shakespeare in primis e richiami cinematografici di grande impatto. Le meravigliose melodie eseguite dal vivo, catturano il pubblico animandolo di speranze e il canto si trasforma in una preghiera collettiva e salvifica, come il teatro, il luogo dove le emozioni sono condivise e tangibili.
Ogni attore in scena è un musicista pieno di fantasie, angosce, ricordi e sogni.
In fondo "... noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e la nostra vita è circondata dal sogno" (William Shakespeare)".
La recensione:
https://www.pennadoroteatro.com/2019/11/tangenziale-invocando-gli-dei-speranza.html



13) L'OPERAZIONE al Piccolo Eliseo, è un ottimo esempio di drammaturgia contemporanea italiana, scritto, diretto e interpretato da Rosario Lisma.
Mi è piaciuto perché...
"Le figure dell'autore teatrale, dell'attore, del critico autorevole e dello scribacchino sul web, un furbetto incompetente che pubblica online per entrare gratis a teatro, sono analizzate dall'ispirata e brillante penna d'oro di Rosario Lisma che interpreta Saverio, un autore motivato ed erudito, ridotto dalla noncuranza della critica ad essere un precario come i colleghi attori".
La recensione:
https://www.pennadoroteatro.com/2019/12/loperazione-di-rosario-lisma-al-piccolo.html

Premio Ubu Speciale 2019 a Pupi e Fresedde - Teatro di Rifredi e Angelo Savelli


PREMIO UBU SPECIALE 2019 a PUPI E FRESEDDE - TEATRO DI RIFREDI e ANGELO SAVELLI

Si è svolta ieri sera al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano la celebrazione della 42ª edizione del Premio Ubu per il Teatro, curata dall’Associazione Ubu per Franco Quadri, con il contributo del MiBACT. Il Premio Ubu – realizzato in forma di referendum – è, storicamente, un riconoscimento dallo sguardo lungo, che cerca di individuare non solo il meglio che c’è, ma quello che verrà, aprendosi a nuove prospettive. Applauditi da una platea di artisti, critici, operatori e appassionati del teatro, i vincitori per la stagione 2018/19 sono stati decretati da un referendum composto da 64 votanti, tra critici e studiosi teatrali.

Il Premio Ubu Speciale 2019 è andato a Pupi e Fresedde - Teatro di Rifredi e Angelo Savelli con la seguente motivazione: “Per l'intenso lavoro di traduzione, allestimento e promozione della nuova drammaturgia internazionale”

Il Centro di Produzione Pupi e Fresedde - Teatro di Rifredi porta avanti da molti anni un progetto di promozione della nuova drammaturgia contemporanea mettendo in scena testi di autori largamente affermati all'estero ma poco conosciuti in Italia. Grazie a questo impegnativo lavoro di  ricerca e scoperta sono arrivati sui palcoscenici italiani autori come il franco-uruguaiano Sergio Blanco (“Tebas Land”), il catalano Josep Maria Miró (“Il Principio di Archimede”), il francese Rémi De Vos (“Alpenstock”, “Occidente”, “Per  tutta la mia vita ho fatto solo cose che non sapevo fare”, “Tre Rotture”), delle cui opere Angelo Savelli ha curato traduzione e regia. Ricordiamo inoltre “Walking Thérapie” di Nicolas Buysse, Fabrice Murgia e Fabio Zenoni tradotto Angelo Savelli  e diretto dai tre estrosi teatranti belgi.
I prossimi appuntamenti del progetto vedranno in scena al Teatro di Rifredi “Tre Rotture” (dall’11 al 15 febbraio) e “Il Principio di Archimede” (dal 19 marzo al 5 aprile). Inoltre lo Spazio Diamante di Roma ospiterà “Tebas Land” (dal 20 febbraio al 1° marzo).



Teatro di Rifredi via Vittorio Emanuele II, 303 - 50134 Firenze tel. 055/422.03.61
Cristina Banchetti ufficiostampa@toscanateatro.it

(In foto Giancarlo Mordini, Angelo Savelli, Tommaso Sacchi e Francesco De Biasi)

Quando c'erano Zuzzurro e Gaspare

Ho ritrovato la recensione de La cena dei cretini vista al Sala Umberto di Roma nella stagione teatrale 2012/2013 e la voglio ricordare qui su Pennadoro e dire che quello spettacolo fu bellissimo come tanti altri visti e apprezzati con questo duo comico eccezionale!

Stupido è chi lo stupido fa?
E allora perché non invitarlo alla cena dei cretini?
L’ottima trovata, forse un po’ maligna ma senza pensarci, proviene dall’editore francese interpretato da Nino Formicola, (noto al grande pubblico col nome d’arte di Gaspare), che nella pièce interpreta la parte di un editore impegnato nel mercato dei libri che ha perso di vista il valore dei sentimenti e probabilmente dell’onestà. Un fastidioso colpo della strega non impedirà al ricco editore Pierre d’incontrare la vittima - cretino di turno, nella cena organizzata dal gruppo di amici ricchi ogni mercoledì. François (Andrea Brambilla/Zuzzurro), citofona al campanello della ricca casa di Pierre dove succederà il finimondo, sua moglie Christine (Alessandra Schiavoni) è uscita per impiegare il tempo in cui il marito la trascura, trastullandosi a sua insaputa, con l’amante Marlene e le cene dei cretini.
L’abilissimo Andrea Brambilla, ingarbuglia inconsapevolmente la vita del suo nuovo amico e lo farà con la sua formidabile dialettica e quell’espressione ingenua e tonta eppure così efficace.
Tornano in scena due fantastici artisti, coinvolgenti e autentici, di quelli bravi veramente: Zuzzurro&Gaspare.

di Tania Croce

Così è se vi pare, regia di Francesco Giuffrè

A circa un secolo dalla sua stesura (1917) e dalla sua prima rappresentazione a Milano (Teatro Olimpia con la Compagnia di Virgilio Talli - 18 giugno 1918), torna al Teatro Ghione quella che il suo autore Luigi Pirandello definì "Parabola in tre atti" e in cui l'argomento è la verità cercata invano da tutti i personaggi, dall'inizio alla fine. La visione del regista Francesco Giuffrè è in due tempi e la verità s'insinua tra i personaggi della pièce attraverso un lampadario che ondeggia proiettando la sua luce sul tribunale che è venuto a crearsi nella casa di Lamberto Laudisi e della Signora Amalia, sua moglie e sorella di Laudisi, i quali si logorano nel tentativo di comprendere le dinamiche familiari dei nuovi arrivati: la Signora Frola e il Signor Ponza suo genero, che  ha sposato da sette anni la figlia di Frola, Giulia, segregata all'ultimo piano di un antico palazzo e di cui non si è mai visto il volto. Tra musiche seducenti e la scenografia curata nei minimi particolari, si svolge l'azione in cui tutti, nessuno escluso si arrovellano alla ricerca di una verità che non è solo la conoscenza dei fatti privati di una famiglia ma un assillo proprio dell'uomo. L'umorismo insito nella drammaturgia pirandelliana è affidato a Laudisi che emerge dalla corale insipienza. 
Il terremoto ha condotto il Signor Ponza e la Signora Frola nel paese dove il pettegolezzo è alimentato dalla presunta gelosia di Ponza, che costringe la Frola ad avere contatti con la figlia mediante un cestino che lei cala dalla finestra, con qualche bigliettino dentro. 
Fedele al testo e alla filosofia pirandelliana, Giuffrè mostra la fragilità dei personaggi vinti dalle umane passioni, siano esse la gelosia o la morbosità, una cosa è certa: l'unica verità di cui si ha la certezza, è quella che appare e il cast scelto per questo spettacolo ha sottolineato la bellezza della commedia tratta dalla novella "La Signora Frola e il Signor Ponza" che ha conquistato il pubblico da oltre un secolo.

Il cast:
RICCARDO POLIZZY CARBONELLI…………IL SIGNOR PONZA
MARINA LORENZI……………………………. LA SIGNORA FROLA
MARTINO DUANE……………………………..LAMBERTO LAUDISI
CATERINA GRAMAGLIA……………………..LA SIGNORA SIRELLI
RICCARDO BALLERINI……………………....IL CONSIGLIERE AGAZZI
ALESSANDRA SCIRDI………………………..AMALIA
MARIAL BAJMA RIVA………………………..DINA
MARCO USAI………………………………….IL PREFETTO
SCENE: FABIANA DE MARCO
COSTUMI: ANNA PORCELLI
MUSICHE: RAPHAEL BEAU
LUCI: LUCA PALMIERI
AIUTO REGIA: ILARIA SERRATO

Al Teatro Ghione di Roma da giovedì 28 novembre a domenica 8 dicembre 2019

di Tania Croce



donchisci@tte tra mostri e sogni d'amore al Golden

Illumina il pubblico della prima al Teatro Golden, lo spettacolo "donchisci@tte" di Nunzio Caponio, adattato e diretto da Davide Iodice, liberamente ispirato a “Don Chisciotte della Mancia” di Miguel de Cervantes, con un Don eccezionale come Alessandro Benvenuti, che nasce Giancattivo e che qui è pieno d'amore e il Sancho Panza dei nostri tempi impersonato da Stefano Fresi.
Che la letteratura salvi il mondo è il sogno dell'ex ragioniere e padre armato d'ideali e spirituale come il Don Chisciotte di Cervantes, il quale si difende dalla crisi dei valori odierni e dalla disintegrazione neuronale, da quel vuoto passivo e sterile che ha reso l'uomo solo e disperato in mezzo all'universo, risucchiato dal nulla cosmico alla stessa maniera di un buco nero.
L'azione contro l'annichilimento, spinge Don a indossare la sua armatura benefica e la lotta contro i mostri veri prosegue sul web, dove l'uomo si adatta alla tecnologia, diffondendo parole d'amore salvifiche nei suoi video.
«Se avessimo un pizzico del coraggio e del senso di giustizia del Don Chisciotte - sottolinea l’autore, Nunzio Caponio - forse, le nostre folli vite troverebbero finalmente un senso».
Lo spettacolo presentato da Novità Teatro e Arca Azzurra Teatro coinvolge, entusiasma, diverte e commuove. Alessandro Benvenuti mostra con umiltà la sua grandezza donando al suo personaggio, una straziante umanità. Bravo anche Stefano Fresi. 

di Tania Croce 






Un autunno di fuoco in tour

Sarà al teatro dei Servi di Massa il 28/29 novembre 2019, al Duse di Bologna l'11 dicembre 2019, il 12 dicembre al Rossini di Civitanova Marche, Un autunno di fuoco la commedia di Eric Coble diretta da Marcello Cotugno con Milena Vukotic e Massimilian Nisi.

La recensione
La commedia scritta da Eric Coble e di cui il regista Marcello Cotugno si è letteralmente innamorato, nell'adattamento italiano ha trovato due attori che si sono calati perfettamente nei panni dei protagonisti. Milena Vukotic, recita con innato talento ed eleganza,  mostrando non solo la tenerezza e la saggezza della vecchiaia ma con spirito ribelle e vigore, il valore dell'esistenza. Maximilian Nisi esprime le contraddizioni e il dolore dell'essere figlio e l'estrema difficoltà a dimostrare il proprio sentimento al genitore.
"Può esserci bellezza anche nella disgregazione delle cose", come ci mostra Alexandra, ex pittrice ed hippy, grata al suo corpo per averla accompagnata nei viaggi emozionanti della sua vita e che sceglie di passare il tempo che le resta barricandosi in casa, a dispetto dei figli che la vorrebbero rinchiudere in un ospizio. È seduta nella sua poltrona accanto alla finestra dove a tenerle compagnia è un imponente albero e cullandosi nella sua amata solitudine, trascorre i suoi giorni fino a quando  irrompe nella sua casa Chris, il figlio che non vede da vent'anni. L'accesso dalla porta, è vietato a chiunque, così il ragazzo si arrampica sull'albero per entrare dalla finestra. Lo scontro iniziale tra due generazioni a confronto, si  trasforma in un dialogo pieno di suggestioni, ricordi indimenticabili e l'amore smisurato di una madre verso suo figlio. Quell'amore è in fondo l'unica eredità che l'anziana madre vuole lasciare a Chris, il terzo dei figli e quello che più le somiglia. L'albero ruota su se stesso per indicare il tempo che passa e una danza tenera e rivoluzionaria, culla in un abbraccio le due anime affini, superando la dimensione spazio temporale. 

"Un autunno di fuoco è uno spettacolo che prova a parlare con leggerezza della morte e con profondità del senso della vita" (Marcello Cotugno).

di Tania Croce

Eugenio Tassitano e la musica oggi. L'intervista

Ogni volta che vedo un film oppure uno spettacolo teatrale, sono sedotta dalla musica, dalla colonna sonora. Ricordo il meraviglioso spettacolo di Fabio Frizzi al Golden nel quale ha ripercorso i temi scritti con Tempera e altri colleghi come per esempio quello per Febbre da cavallo o per Fantozzi. Ho una curiosità immensa verso questo argomento e ho la fortuna di poter intervistare il musicista e compositore Eugenio Tassitano, il quale mi ha incantato a teatro con le sue musiche meravigliose.
V'invito a leggere l'intervista che mi ha gentilmente concesso, per emozionarvi come è accaduto a me mentre leggevo le sue risposte!

Tania Croce) La musica valorizza e rende riconoscibili i film, decretando in alcuni casi il loro successo, un esempio fra tutti può essere Ennio Morricone nei film di Sergio Leone e non solo. Le colonne sonore diventano una sorta di preghiera in grado di riconciliarci con le nostre inquietudini. Ne ho tante a cuore e vorrei chiederti per un musicista italiano e compositore oggi, cosa è cambiato e quanto l’aspetto musicale debba rispecchiare i nostri tempi? 

Eugenio Tassitano) Certamente il sodalizio Morricone-Leone è un modello che ha dato vita a momenti filmico-musicali straordinari. In questi casi la colonna sonora assolve la sua funzione più alta, ovvero entrare nella psicologia dei personaggi creando nel pubblico un processo di identificazione ed empatia. Visto che parli di "preghiera" musicale, penso all'arrivo alla stazione di Jill (Claudia Cardinale), in "C'era una volta il West". Quando Jill guarda l'orologio della stazione tutti i rumori di ambiente si placano e subentra la musica di Morricone; in quel momento siamo nella mente di Jill e la musica, grazie anche all'indimenticabile voce di Edda Dell'Orso, esprime la sua delusione (perché nessuno è venuto ad accoglierla) e il timore che i suoi sogni possano infrangersi. Ma poi Leone, proseguendo a filmare senza stacchi, fa salire la macchina da presa verso l'orizzonte mentre la musica di Morricone illumina la scena con un'abbagliante melodia dei violini: ci vogliono comunicare che c'è sempre una speranza. Per me questo è grande cinema, trasmettere messaggi e sensazioni al pubblico grazie alla sola forza della musica e delle immagini.
Su cosa è cambiato per noi compositori posso dirti che oggi c'è una concorrenza spietata perché grazie alle nuove tecnologie è più facile fare musica o trovarla sul web. Di conseguenza il compositore di oggi deve essere molto competente, deve dimostrare di avere qualcosa di unico e originale da proporre, altrimenti i registi preferiranno rivolgersi ad altri oppure sceglieranno di usare soltanto brani di repertorio. 
La musica di un compositore deve rispecchiare i tempi in cui vive e deve colpire il cuore dello spettatore. Oggi la gente ha poco tempo per l'ascolto, per questo motivo cerco sempre di realizzare un brano emotivamente intenso. Naturalmente questo non significa fare musica troppo semplice. Ci sono musiche tecnicamente complesse che sono diventate molto popolari (penso ad esempio alla musica dei titoli di testa di "Psycho", usata persino come sigla di trasmissioni tv). 

Tania Croce) Hai composto diverse colonne sonore oltre alle musiche di moltissimi spettacoli teatrali per cui hai ricevuto preziosi riconoscimenti. Me ne vuoi parlare? 

Eugenio Tassitano) Una delle mie poche certezze è che non si compone per ottenere un riconoscimento, ma per un'esigenza interiore. La scrittura musicale è un modo per liberare le nostre emozioni. Detto ciò, il riconoscimento per me è stato fondamentale per acquisire fiducia in me stesso e in quello che faccio. Le soddisfazioni più inattese accadono quando persone sconosciute si complimentano con me o quando un attore mi dice che la mia musica ha aiutato la sua performance. Infine, quando sono chiamato di nuovo da un regista o da un produttore per un progetto futuro, in quel momento ho la certezza che la mia musica è stata veramente apprezzata. Recentemente ho realizzato le musiche aggiunte per il film "The Poison Rose" (regia di F. Cinquemani, G. Gallo e L. Giliberto) che ha vinto il premio per la miglior regia al Terra di Siena Film Festival. Ne sono stato molto felice perché quando si premiano i registi vuol dire che hanno saputo trarre il meglio dai loro collaboratori. 

Tania Croce) Quando scrivi o meglio componi, hai bisogno di eclissarti oppure? 

Eugenio Tassitano) La composizione è un'attività che richiede enorme concentrazione, quindi non può che essere un lavoro solitario. I tempi di realizzazione delle musiche per un film o per uno spettacolo teatrale di solito sono molto stretti, perciò non ci possono essere distrazioni, bisogna essere veloci e quasi infallibili, perché potrebbe mancare il tempo per sostituire un brano se non funziona. 

Tania Croce) A chi t’ispiri? 

Eugenio Tassitano) Tutto ciò che ascolto è una fonte di ispirazione e ascolto veramente tutto, principalmente i grandi compositori classici e contemporanei e i grandi autori di colonne sonore, sono cresciuto con i grandi del rock e della musica elettronica, adoro la musica etnica di tutti i paesi, ascolto persino un po' della tanto criticata "trap", insomma sono troppo curioso per trascurare qualcosa. Un compositore di musica applicata al teatro e al cinema non deve avere alcun pregiudizio e deve essere molto versatile perché potrebbero commissionargli qualsiasi tipo di musica. 

Tania Croce) Pensi sia indispensabile studiare oppure il talento viaggia su di un binario differente rispetto alla preparazione culturale? 

Eugenio Tassitano) Il talento è una condizione necessaria ma non sufficiente. I compositori devono anche essere persone capaci di amare, altrimenti scriverebbero una musica fredda e incolore. Partendo dal talento e dai sentimenti, il compositore, come tutti i professionisti, deve studiare e aggiornarsi. Nel campo della musica applicata poi non ci si può improvvisare, bisogna acquisire delle conoscenze specifiche come la grammatica filmica, le tecniche compositive e come applicarle alla drammaturgia e alle immagini. Insomma, se si vogliono raggiungere risultati di alto livello servono anni di studio con insegnanti preparati, insegnanti che lavorano regolarmente nel cinema e nel teatro, ed esperienze formative sul campo. Volendo fare due esempi importanti, Nino Rota e John Williams non hanno certo scritto i loro capolavori per caso, al contrario, hanno scritto musica immortale grazie ad anni di studio che hanno messo al servizio del loro talento e della loro intelligenza emotiva.

Vorrei riportare il messaggio ricevuto da Eugenio alla fine dell'intervista:
"Ti ringrazio per queste domande così stimolanti, mi ha fatto molto piacere parlare con te. Un caro saluto a tutti i lettori di Pennadoro!"

di Tania Croce

Rita Pasqualoni è Tangenziale. L'intervista

Torna al teatro Lo Spazio il 26 novembre 2019 "Tangenziale" lo spettacolo diretto e interpretato da Romano Talevi.
Diverse storie, raccontate in musica e prosa dal suo narratore Krapp, un chitarrista cieco con il dono della veggenza, che si esibisce con un trio di artisti di strada per le vie della città. 
Incontriamo l'attrice Rita Pasqualoni, nel cast dello spettacolo pieno d'attualità e riflessioni per raccontarci alcuni particolari del testo e del suo personaggio.

Tania Croce) In questo spettacolo il passato s'insinua nel presente. Tangenziale è un luogo di passaggio, una terra di mezzo dove s'incontrano un gruppo di musicisti illuminati da un personaggio cieco dotato della saggezza di Tiresia. Qual è il tuo ruolo in questa pièce?

Rita Pasqualoni) Il mio ruolo in “Tangenziale”? "Io sono Tangenziale, attraverso di me passano le vie del mondo. Vene scure di giorno, serpenti di arcobaleno la notte. Vite vanno e vengono incessantemente…”. Tangenziale rappresenta non solo un luogo ma tutta l’umanità, in tutte le sue forme e sfaccettature e nello stesso tempo è al di sopra di tutto e tutti. Tangenziale osserva, custodisce, consiglia, accoglie, offre speranza a tutte le genti che “…come piccole formiche cosmiche si perdono nel nulla delle loro esistenze”. Tangenziale è in continua trasformazione: è e non è allo stesso tempo. Subisce metamorfosi fisiche e psichiche. Ma è sempre presente, altrimenti non ci sarebbe vita “…ogni città che io contengo è il mio cuore, il suo battere frenetico. In me pulsa la vita dell’universo stesso.” Nella pièce, Tangenziale ingloba tutto ciò che accade realmente in scena e fuori dalla scena, ossia in un mondo parallelo realizzato attraverso dei video, un mondo il cui significato profondo, sarà visibile solo alle anime consapevoli. 

Tania Croce) Ti trovi in quest'ombelico del mondo a riflettere e far riflettere il pubblico su quali tematiche?

Rita Pasqualoni) Lo spettacolo “Tangenziale”, attraverso la musica dal vivo e la prosa, consta di due livelli di lettura: quello fisico, materiale e quello spirituale, onirico. Attraverso il mio ruolo vorrei far riflettere o quanto meno offrire una suggestione su come stiamo vivendo e dove stiamo andando. Perché Tangenziale esisterà sempre ma l’umanità no. Abbiamo tutti un tempo limitato per vivere su questo pianeta chiamato Terra “…siamo tutte anime di passaggio ma ci vuole tanto coraggio…” e quindi non possiamo sprecarlo. Vorrei che ci destassimo da tanti falsi miti che troppo spesso si sostituiscono ai veri valori della vita, alimentando conflitti e intolleranza fra le persone. Infine le guerre. Vorrei che prima di intraprendere una qualsiasi azione, ci chiedessimo se ne vale davvero la pena, analizzandone vantaggi, svantaggi e conseguenze.

Tania Croce) Il teatro può essere visto oggi come mostrò Aristofane ne Le Rane, la salvezza degli uomini?


Rita Pasqualoni) Credo che il teatro, da sempre, sia stato salvifico per gli uomini. Un mezzo per comunicare, per denunciare, per allietare e divertirsi, far riflettere e interrogarsi, per celebrare semplicemente la bellezza e l’estetica. Attraverso questa forma di espressione artistica (così come del resto attraverso la pittura, la musica, la danza, ecc.) si ha la possibilità di arrivare alla mente e al cuore delle persone e condividere il proprio pensiero e visione del mondo. L’attore interpreta la realtà che riconsegna allo spettatore arricchita di un significato soggettivo che la trascende. Ed è questo secondo me che fa del teatro un luogo magico, dove poter fare accadere l’inverosimile, ciò che è nascosto nelle pieghe della nostra coscienza. Operando questa sorta di magia, gli uomini possono essere salvati, sia gli attori che gli spettatori. Possono trovare, in modo inaspettato, una soluzione o semplicemente una giusta intuizione. Possono provare sensazioni sconosciute o ritrovate e riconciliarsi. Possono uscire da questo luogo di mistificazioni ma mai falso, con una nuova consapevolezza. Oggi con la moderna tecnologia applicata agli smartphone , si è perso un po’ il senso del mistero. Intendo il mistero della vita, di ciò che ci muove veramente e di come ogni giorno sia un piccolo grande miracolo svegliarsi, respirare, emozionarsi. Compiere tutte quelle azioni che ci accompagnano durante la giornata, essere consapevoli dei pensieri e sensazioni che ci animano. Siamo sempre più distaccati da noi stessi perché sempre più spesso ci relazioniamo e confrontiamo con una realtà virtuale dalla quale pretendiamo risposte, amicizie, conoscenza. Allora ecco che il teatro può salvarci ancora una volta, facendosi portatore di un’umanità che si sta perdendo, di quel fuoco sacro che riscalda le anime stanche e congelate, di vita e speranza.


Lo spettacolo sarà in scena dal 26 novembre al 1 dicembre 2019, sarà un'immersione nella bellezza. 


di Tania Croce



LEONARDO E IL FOGLIO PERDUTO

Lunedì 4 novembre - ore 21.00


LEONARDO E IL FOGLIO PERDUTO
Unico Concerto/Evento


Teatro Regio Torino


Piazza Castello, 215 - Torino

Filarmonica Teatro Regio Torino


Musiche Composte, Orchestrate e Dirette da

Stefano Fonzi

Solisti:


Paolo Fresu (tromba)
Albert Hera (voce)
Torino Jazz Orchestra
 Fulvio Albano – leader (sax tenore)
Valerio Signetto - Gianni Virone (sax contralto)
Nicola Tonso (sax tenore) - Helga Plankensteiner (sax baritono)
Martin Ohrwalder - Mirco Rubegni - Sergio Bongiovanni - Felice Reggio (trombe)
Luca Begonia - Stefano Calcagno - (tromboni) Aldo Caramellino – (tromboni)
Gianfranco Marchesi - (trombone basso)
Gianluca Tagliazzucchi (pianoforte)
Aldo Zunino (contrabbasso)
Marco Tolotti (batteria)

con la partecipazione straordinaria dell’attore


Pino Insegno (voce narrante)


Testi e adattamenti di Giommaria Monti


Conduce la serata:
Marco Basso - critico musicale de ”La Stampa”


In anteprima internazionale, per il Moncalieri Jazz Festival, un'opera musicale moderna composta e diretta da Stefano Fonzi con un cast di eccezione. Lunedì 4 novembre alle ore 21:00 al Teatro Regio di Torino andrà in scena “Leonardo e il foglio perduto”, una composizione che prende spunto da due grandi opere di Leonardo conservate nei Musei Reali di Torino, “Il Codice del Volo” e “L’Autoritratto”. L’opera interpreta il grande sogno di Leonardo, quello del Volo, che per tutta la vita ha caratterizzato i suoi studi. Il concerto proprio per rendere omaggio al genio sperimentale vinciano, si avvale anche di tecnologie all’avanguardia, che vedranno la proiezione di fotografie, concesse grazie alla collaborazione dei Musei Reali di Torino, rappresentanti l’Autoritratto e Il Codice del Volo, messe in relazione con altrettante foto e video del Pop.Up Next (Drone come mezzo di trasporto volante senza conducente) e la nuova auto gran turismo elettrica “Da Vinci", disegnata e realizzata nel 2019 dalla Italdesign, il cui prototipo è stato ideato, disegnato, progettato e costruito negli stabilimenti di Moncalieri. Per l’ingegneristica del genio italiano, la “Da Vinci” è realizzata con una particolare apertura delle portiere ad “ali di gabbiano” collegandola ancora una volta al sogno del volo leonardesco. Gli interpreti d’eccezione a livello internazionale coinvolti in questo meraviglioso progetto sono la Filarmonica Teatro Regio Torino, la Torino Jazz Orchestra e due grandi solisti Jazz quali Paolo Fresu e il vocalist Albert Hera; i testi sono scritti da Giommaria Monti e saranno letti ed interpretati sul palco dall'attore e doppiatore Pino Insegno.


TRAMA:

L’autoritratto di Leonardo, conservato nel caveau della biblioteca Reale di Torino, ritrae un uomo solo e stanco, ormai anziano. Sembra essere disinteressato al mondo che lo circonda, consapevole che la vita volge al termine. In ogni linea del suo viso, negli occhi che non sembrano guardare più lontano come un tempo, Leonardo ha rappresentato se stesso nell’intimo: ogni ruga è un pensiero, un’idea, un progetto, un qualcosa che ha realizzato o che avrebbe voluto realizzare. È il sogno che lo ha accompagnato per tutta la sua vita di artista, scienziato, inventore: volare. Sin da quando era bambino, infatti, era il suo sogno e per tutta la vita studierà la meccanica del volo, progetterà macchine volanti, riempirà di calcoli e appunti i suoi quaderni e soprattutto il Codice del volo degli uccelli custodito a Torino: 18 fogli fronte-retro, un quaderno di appunti come ne aveva scritti a decine negli anni. Annotazioni, schizzi, disegni completi e altri solo abbozzati. Come molte delle opere che Leonardo non ha mai finito. E proprio lì, in quel codice, qualcosa sembra mancare: la macchina del Grande Nibbio, disseminata in quelle pagine, non ha una sua compiutezza. Il suo sogno Leonardo non riuscirà a realizzarlo, ci vorranno quattro secoli prima che una macchina volante più pesante dell’aria si sollevi da terra con un uomo a governarla. Proprio come aveva immaginato il genio da Vinci, proprio come quei disegni abbozzati e non realizzati. Proprio come Il Grande Nibbio che nel Codice manca completo. C’era? Leonardo lo ha mai ultimato? È andato forse perduto nei mille viaggi che il Codice farà da Parigi, dove Leonardo lo porta e lascerà morendo al suo assistente Francesco Melzi? Era magari tra i moltissimi fogli persi o nascosti oggi chissà dove? Qualcuno se lo chiede osservando il ritratto di Leonardo nella sala della biblioteca Reale di Torino e leggendo il codice conservato lì. Rivede la vita di Leonardo alla luce di quel sogno, della scoperta che cambierà la storia dell’umanità. Qualcuno che segue il cammino interiore, le opere e la vita di Leonardo tra eventi storici realmente accaduti, tra I Medici a Firenze e Ludovico il Moro a Milano, tra Cesare Borgia e Michelangelo. Qualcuno che è legato al genio di Vinci, figlio di un notaio e di una cameriera di un’osteria di Anchiano. Un figlio illegittimo, in un’epoca straordinaria e crudele. Una storia che comincia nel famoso autoritratto, dentro le pagine del Codice del volo e diventa immaginazione in quel foglio che forse manca, forse non è esistito mai. È il grande sogno che Leonardo ha inseguito per tutta la vita: permettere all’uomo di volare.




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Giovanni Arezzo è il giovane Adolf Hitler. L'intervista

Debutta a Roma dal 4 al 6 novembre al Teatro de’ Servi, nell’ambito della stagione Fuoriclasse, dedicata alla drammaturgia contemporanea, MEIN KAMPF KABARETT  di George Tabori con la regia di Nicola Alberto Orofino. Ce ne parla l'attore e regista Giovanni Arezzo, nel cast di questo toccante spettacolo.

Tania Croce) Sei nel cast di uno spettacolo suggestivo sulla storia di un'umanità lacerata dalla Guerra e dall'attesa di un'esistenza possibile. Che sensazione hai provato nei panni del tuo personaggio?

Giovanni Arezzo) Ho provato una sensazione molto strana quando il regista Orofino mi disse che aveva pensato a me per il MEIN KAMPF, e proprio per il ruolo di Adolf Hitler: dover interpretare un uomo realmente esistito, e che ha influito in maniera irreversibile e così spaventosamente negativa nella storia dell’umanità, devastando il mondo intero, mi ha fin da subito riempito il cervello di domande e di dubbi. In realtà, l’Hitler che interpreto io è un giovanotto di provincia squattrinato e con il sogno di diventare pittore, di fare l’artista: non ha (ancora) messo a punto i suoi piani di devastazione e di distruzione del mondo. Ciò mi ha permesso di prendere un po’ le distanze (eticamente parlando, diciamo) dal Fuhrer per come lo conosciamo e lo abbiamo studiato noi a scuola, e ho cercato di costruire il mio personaggio utilizzando tutti i mezzi a mia disposizione (filmati, fotografie, biografie etc) per rendere coerenti i miei modi e le mie azioni a quella che è stata la realtà (non so quanti comizi in tedesco ho visto nel mese di prova dello spettacolo), restituendo però a un mostro come Hitler tutta l’umanità di cui aveva bisogno all’interno della fetta di storia che raccontiamo.

Tania Croce) La storia insegna a non compiere gli stessi errori, oppure pensi che il destino dell'uomo sia segnato dalla teoria dei corsi e dei ricorsi?

Giovanni Arezzo) L’uomo non riesce a non commettere errori. E gli errori, quelli enormi che poi entrano nella storia nostro malgrado, secondo me, nascono da sentimenti che sono propri della natura umana (quali l’odio, l’invidia, la paura del diverso). Per cui, anche se cambieranno le forme in cui si paleserà, il Male continuerà a segnare per sempre la quotidianità di ogni epoca. 

Tania Croce) Cosa è necessario insegnare ai giovani?

Giovanni Arezzo) Ti risponderei che sarebbe necessario insegnare ai giovani a considerare il rispetto nei confronti del prossimo, dato che il prossimo siamo ognuno di noi per le vite di tutti gli altri, la base della propria esistenza. Così sarebbe semplicissimo. Ma è da sempre che si insegnano ai giovani queste cose stupende, eppure sembra quasi che il genere umano regredisca. Per carità, tra sistemi touch-screen ovunque e tecnologie avanzatissime, ma io non vedo che regresso. Nel pensiero, nell’approccio alle cose, ai fatti, alle persone. 
Per cui, se dovessi veramente avere davanti un giovane a cui dire una sola cosa, gli direi: pensa con la tua testa senza farti accecare da pugni di fumo negli occhi, sforzandoti sempre di metterti nei panni degli altri quanto vorresti che gli altri lo facessero con te. 

Tania Croce) Il testo di Tabori, capovolge il Mein Kampf del Fuhrer. In che senso? 

Giovanni Arezzo) Qui si parla del Mein Kampf del Fuhrer molto prima che venisse scritto quel libro. E nel testo di Tabori è proprio Shlomo, addirittura un ebreo, a occuparsi della stesura di questo libro. Però, forse, il senso finale del libro e del pensiero che si cela dietro le pagine che lo compongono, non ne viene fuori poi così capovolto. Venire a vedere per credere, insomma. 

Tania Croce) Il teatro può essere una danza di speranza? 

Giovanni Arezzo) Io credo che il teatro debba essere bello. In quanto tale, poi, diventa tutto. Anche una danza di speranza. Ma anche un urlo di disperazione, uno svago, una lezione di storia, a volte di vita. Diventa tutto. 
Il teatro deve essere bello perché chi va a teatro deve riuscire a lasciare fuori dalla sala tutta la sua vita, e deve ritrovarla due ore dopo diversa, arricchita. Se quando esci dal teatro sei identico a quando sei entrato, qualcosa è andato storto. 
ll teatro deve essere bello perché i teatri devono tornare a essere pieni, non solo di addetti ai lavori ma di persone comuni. E questa è la mia personalissima danza di speranza. 

di Tania Croce 


Il comunicato stampa 

MEIN KAMPF KABARETT

di George Tabori

con Giovanni Arezzo, Francesco Bernava, Egle Doria, Luca Fiorino, Alice Sgroi

scene e costumi Cristina Ipsaro Passione

assistente Gabriella Caltabiano

organizzazione Filippo Trepepi

Regia Nicola Alberto Orofino

Produzione Mezzaria Teatro

Dal 4 al 6 Novembre ore 21


Teatro de’ Servi

Debutta a Roma dal 4 al 6 novembre al Teatro de’ Servi, nell’ambito della stagione Fuoriclasse, dedicata alla drammaturgia contemporanea, MEIN KAMPF KABARETT di George Tabori con la regia di Nicola Alberto Orofino.

Un giovane ragazzo con la passione della pittura, arriva da Braunau sull’Inn a Vienna per tentare l’esame di ammissione all’Accademia di Belle Arti. Squattrinato, infreddolito e costipato, trova rifugio in un dormitorio in cui vivono l’ebreo Lobkowitz e l’ebreo Herzl.

Una storia come tante, se non fosse che quel giovane ragazzo altro non è che l’uomo che da lì a qualche anno avrebbe abolito ogni libertà in Germania, causato un conflitto mondiale e ucciso sei milioni di ebrei.

MEIN KAMPF di George Tabori è un testo complesso, ricco di riferimenti religiosi, storici, intellettuali. 

Giovanni Arezzo, Francesco Bernava, Egle Doria, Luca Fiorino, Alice Sgroi portano in scena una gigantesca riflessione sul senso della vita e della morte, della storia e della fantasia, della verità e della bugia. Niente è come sembra perché tutto si mischia, tutto si può dire, tutto può accadere, tutto si può fare dentro l’ospizio della signora Merschmeyer sito in Vicolo del Sangue a Vienna.
L’ ebreo Herzl conduce il gioco. Lui che è un grande bugiardo, passa il tempo ad aspettare. L’attesa, condizione esistenziale ebraica, è il suo modo di vivere la vita.
Nell’attesa e nel dubbio esplodono fantasia e creatività: le bugie diventano l’unico nutrimento irrinunciabile dell’ebreo Herzl. Da lui e con lui prorompono in palcoscenico un ventaglio di personaggi stra-ordinari, forse frutto della sua fantasia. L’ebreo Lobkowitz che crede di essere Dio, la vergine Gretchen, la più intima proiezione di Herzl, contemporaneamente sogno d’amore e di erotismo, rappresentante di un mondo femminile che vorrebbe appagarlo, ma lo spaventa. Le giornate scorrono all’interno dell’ospizio viennese, le relazioni sempre più forti, le riflessioni sempre più argute, e ,quando sembra che un’improbabile quanto auspicabile amicizia sia ormai nata tra l’ebreo Herzl e il giovane “ariano” di Braunau sull’Inn, arriva la signora Morte per prendersi il futuro Fuhrer, quale suo aiutante prediletto. La storia non si modifica, il futuro degli uomini è segnato dentro il taccuino che la cieca signora dell’Aldilà consulta per avvisare i clienti che l’ora è giunta. Il senso della Storia rimane interdetto, meraviglie e orrori del passato e del futuro che verrà, non possono trovare spiegazioni umane.
MEIN KAMPF, rovesciando completamente l’omonimo libro del Fuhrer, è una lezione di vita, perché di attesa e d’incapacità di leggere e ragionare sugli accadimenti della nostra esistenza, di frustrazioni e inumanità, di bramosia di potere e leaderismo siamo ammalati in tanti, oggi come ieri. In un contesto del genere, tutto può accadere anche oggi, come quando in quel tempo non tanto lontano.

“Ho aggiunto il sottotitolo KABARETT, al titolo MEIN KAMPF del testo di Tabori”- annota Nicola Alberto Orofino. “Il Kabarett, da un punto di vista tematico e stilistico faceva spessissimo uso della satira, soprattutto affrontando argomenti legati alla società e alla politica, non ultimo il nazismo. Inoltre l’antisemitismo dilagante in quegli anni colpì duramente anche la comunità degli artisti del Kabarett, perché molti di loro erano ebrei. L’ironia a tratti feroce che pervade il testo, mi ha fatto pensare che questa forma di spettacolo tanto si avvicina allo spirito dell’opera. Infine ho preferito usare il termine Kabarett a Cabaret nel rispetto di una differenziazione proposta dagli stessi studiosi e artisti tedeschi dell’epoca: cabaret indica solo gli spettacoli più piccanti e di grana grossa, mentre il termine Kabarett sarebbe riservato agli intrattenimenti di satira sociale e politica.
E intrattenimento di satira sociale e politica mi sembra la definizione più giusta per il tipo di lavoro intrapreso.”

Ufficio Stampa


Maresa Palmacci 348 0803972; palmaccimaresa@gmail.com




Giada Prandi, in Dolce attesa per chi? L'intervista


L'attrice Giada Prandi che dal 5 al 10 novembre prossimo, andrà in scena al Teatro Trastevere di Roma con "DOLCE ATTESA PER CHI?", progetto sostenuto dallo studio Genetica: la banca etica del cordone ombelicale specializzata in Nutrigenica, Test DNA, Genetica prenatale non invasiva, Cellule staminali, ci racconta la storia dello spettacolo scritto da Betta Cianchini.

Tania Croce) Il dubbio amletico di essere o non essere madre in una società evoluta e in cui la donna al pari dell'uomo oggi fa carriera, anche se per ottenere tale parità professionale deve rinunciare alla maternità, sconcerta e inquieta l'universo femminile e il tuo personaggio, me ne vuoi parlare? 

Giada Prandi) Bianca (il mio personaggio) è una trentenne precaria nel lavoro e in amore. Come dice il testo: ha un contratto “a progetto” ma progetta di avere un contratto. Ha una relazione con un ricercatore anch’esso precario, uno dei tanti cervelli prossimi alla fuga, costretto a prendere in considerazione l’espatrio per sperare in una carriera dignitosa. Lo spettacolo racconta dunque cosa accade dal momento in cui (sulla base di questi presupposti) Bianca inizia a desiderare un figlio e una famiglia. Nasce quindi una guerra fra la testa e la pancia (non a caso lei e il suo alter ego in scena interpretato da Veronica Milaneschi sono vestite da soldati). Un confronto spietato e surreale fra la sua parte più razionale e positiva e quella più istintiva e cinica. Si può fare un bambino con un compagno ricercatore precario che medita l'espatrio? Meglio rimanere o partire? Cosa fare se non si hanno dei nonni a disposizione per aiutarti? Come conciliare il desiderio di maternità con il lavoro? Il fatto che in una società evoluta molte donne debbano rinunciare non per scelta personale ma perché scoraggiate da un determinato contesto culturale, sociale ed economico è sconcertante. Scegliere di non fare figli è una scelta legittima e sacrosanta quanto lo scegliere di farli, detto ciò è profondamente ingiusto che tante donne che i figli vorrebbero tanto averli, debbano vedersi costrette a reprimere un desiderio così importante perché abbandonate e non tutelate abbastanza dalla società e dalla politica. 

Tania Croce) Le trentenni e le quarantenni spesso non sostenute da compagni precari o inesistenti, scelgono di mettere al mondo un figlio autonomamente. Pensi ciò sia innaturale oppure legittimo?

Giada Prandi) La questione è complessa e non si può generalizzare. Il contesto lavorativo è difficile e instabile anche per gli uomini. I motivi che possono portare una donna a mettere al mondo un figlio anche senza l’aiuto del partner possono essere molteplici e non mi sento di esprime giudizi generici. Quello che è vero però, è che da un punto di vista culturale c’è ancora l’idea che chi debba sacrificarsi di più da un punto di vista lavorativo sia sempre e comunque la madre. Quindi troppo spesso accade che nella coppia, chi deve rinunciare di più è la donna e questo deve cambiare. 
La coppia è un progetto a due altrimenti non è una coppia, quindi parità di oneri e onori. 

Tania Croce) Preparando lo spettacolo, hai sentito il peso della responsabilità di lanciare un messaggio forte su questo argomento delicato e sottovalutato? 

Giada Prandi) Questo testo sapientemente scritto da Betta Cianchini non si propone di lanciare un messaggio ma piuttosto di accendere un faro su una tematica non abbastanza trattata e di porre delle domande specifiche osservando la questione da varie angolazioni, contestualizzandola il più possibile alla situazione economica e sociale del nostro paese. Tutto quello che viene raccontato nel testo è frutto del vissuto personale dell’autrice. La sua esperienza di madre precaria senza nonni a disposizione e con un compagno costretto a lavorare H24 per portare a casa la cosiddetta pagnotta. Per esempio lo spettacolo inizia con la registrazione di una vera telefonata fatta a un CUP della regione Lazio in cui tentiamo di prenotare un’amniocentesi per la quale scopriremo che sarà impossibile trovare posto. Si tratta di un’esame fondamentale per le gravidanze dopo i 30 anni finalizzato a diagnosticare eventuali malformazioni del feto, Un esame che presso le strutture private può costare dagli 800 ai 1200 euro. Si parla poi della questione asili nido, di depressione post-partum e molto altro. Tutto in chiave grottesca, ironica e surreale ma con una forte attenzione alle tematiche più concrete. 

Tania Croce) Credi che la donna oggi sia considerata al pari dell'uomo? 

Giada Prandi) Ancora no. Si sta finalmente cominciando a prendere veramente coscienza del fatto che c’è una questione “parità” soprattutto nell’ambito lavorativo. Si comincia a parlarne più apertamente ma penso che in Italia siamo ancora lontani dall' aver risolto il problema. Abbiamo fatto dei passi avanti, questo è buono e lascia ben sperare ma ancora non ci siamo. Il problema è culturale, la società è purtroppo ancora molto impregnata di un sessismo vecchio e stantio ma sono fiduciosa del fatto che per le prossime generazioni la parità sarà un valore assodato e fondante. 

Tania Croce) Esiste l'orologio biologico che impone figli entro i 40 anni. Una donna senza figli può sentirsi completa ugualmente? 

Giada Prandi) L’orologio biologico è un po’ uno di quei mostri creati da una certa cultura che affonda le sue radici nel senso di colpa: “Sbrigati altrimenti poi non sei più buona”. Le donne non sono un vasetto di yogurt con la una scadenza sopra! 
E' ovvio che biologicamente c’è una fascia di età in cui il corpo è maggiormente predisposto alla gravidanza ma la società muta e come è sempre stato nell’evoluzione della specie il nostro corpo farà di tutto per adattarsi. Il fatto poi che una donna per essere completa debba avere un figlio è un concetto aberrante e pericoloso. Anzi semmai è proprio il contrario, direi che solo una donna completa e realizzata nella sfera personale può svolgere al meglio il suo ruolo di madre. Una donna frustrata difficilmente potrà essere una madre equilibrata e felice. E’ fondamentale dunque che la politica si impegni seriamente affinché le donne possano emanciparsi ed affermarsi professionalmente in età molto più giovane. 

Giada Prandi che sarà al fianco di Alessandro Gassman e Maya Samsa in "Io ti cercherò" nuova fiction di prossima messa in onda su RAI 1, vi attende al Teatro Trastevere di Roma dal 5 al 10 novembre 2019. 

di Tania Croce




ORARIO SPETTACOLO

Da martedì a sabato inizio spettacolo ore 21:00

Domenica inizio spettacolo ore 17:30

PREZZI BIGLIETTI

Intero: € 12,00 + € 2,00 di tessera associativa del teatro
Ridotto: € 10,00 + € 2,00 di tessera associativa del teatro

INFO E PRENOTAZIONI

Tel: 065814004 / 3283546847

E-mail: info@teatrotrastevere.it

Teatro Trastevere

Via Iacopa De’Sette Soli, 3

00153 Roma

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