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Marco Fiorini è Ciancicagnocchi. L'intervista

Torna a teatro Ciancicagnocchi, la pièce scritta e diretta da Gabriele Mazzucco, vista all'Ambra alla Garbatella nel 2014 e interpretata da Valerio De Angelis con Andrea Alesio, Chiara Fiorelli, Federica Orrù e Paola Raciti.
Dopo la tappa di Civitavecchia sabato 19, giunge nella Capitale il 26/27 ottobre prossimo, precisamente nel teatro del suo autore e regista: Il Barnum Seminteatro e noi incontriamo il protagonista di questo monologo, l'attore Marco Fiorini per un'intervista nella quale scopriremo curiosità e rivelazioni sulla preparazione del personaggio e non solo.

Tania Croce) Ciancicagnocchi detto Ciancicagno', deve il suo soprannome alla balbuzie che lo caratterizza e che mette in luce un po' come la logorrea di Rugantino, la sua immensa umanità. Pur essendo un monologo, come gestisci i diversi registri linguistici prettamente romaneschi dando voce a numerosi personaggi?

Marco Fiorini) Hai detto bene. Il primo aspetto da sottolineare di questo personaggio è la sua grande umanità. Lui è un popolano, senza arte né parte, che vive di espedienti. Ma è sostanzialmente un debole, che si appoggia all’amico fraterno che al contrario è il ras del quartiere (Trastevere) che lo protegge quotidianamente. Il punto in cui noi lo troviamo in questa storia, è proprio quando viene a mancargli l’appoggio dell’amico fraterno (che viene arrestato) e lui si trova da solo a fronteggiare le vicissitudini che la vita gli prospetta. La sua balbuzie, come tu giustamente sottolineavi, che tra l’altro interviene solo nei momenti in cui lui si innervosisce e si sente in difficoltà, è proprio un elemento che serve a caratterizzare la sua grande debolezza, a sua volta punto forte della sua immensa umanità. Gli altri personaggi che gravitano intorno al protagonista/narratore della storia, sono alcuni parte del suo mondo e quindi a lui vicini per estrazione sociale e formazione culturale, altri invece da lui distanti (come il conte, suo nonno o presunto tale). Ho cercato di caratterizzarli tutti lavorando sui toni della voce, modificando timbrica e volumi e postura del corpo per aiutare lo spettatore a seguire i vari dialoghi tra i personaggi che però ovviamente conduco da solo. Menzione a parte merita il personaggio di Annarella, unico femminile, per il quale insieme al regista Gabriele Mazzucco, abbiamo fatto una scelta di campo decidendo di evitare estreme femminilizzazioni che avrebbero potuto condurre alla macchietta, esaltando invece un aspetto di dolcezza nella parlata, da coniugare però con la forte personalità del personaggio, popolana verace e disincantata.

Tania Croce) Hai mai interpretato un ruolo simile ed essendo romano d'origine quanto lo senti vicino a te?

Marco Fiorini) E’ la prima volta che mi capita di accettare una sfida del genere, cimentandomi nell’interpretazione di una sorta di Rugantino, seppur riveduto e corretto. Io sono romano di origine, ma non di estrazione popolare e credo di avere poco a che fare con Ciancicagnocchi, elemento questo che mi ha indotto ad accettare ancor più volentieri la sfida. Lui, ripeto, vive di espedienti, molto alla giornata, è un furbastro in qualche modo costretto ad esserlo proprio per motivi di sopravvivenza, tutte caratteristiche che in realtà non hanno mai fatto parte della mia filosofia di vita e non rientrano nel mio bagaglio di esperienze di vita vissuta. Non abbiamo molto in comune io e Ciancicagnocchi, se non proprio quell’umanità che credo mi appartenga, di uomo consapevole delle proprie debolezze e dei propri limiti; in questo lo sento molto vicino a me.

Tania Croce) Sei entusiasta d'indossare i panni ottocenteschi e magnifici del tuo straordinario personaggio? 

Marco Fiorini) Sono ovviamente molto entusiasta di questa avventura anche per i risultati che mi sta dando professionalmente. Non c’è dubbio che sono molto affascinato da quel periodo storico inquadrato nel nostro racconto, di una Roma un po’ decadente, priva di una reale classe media, dove i ricchi nobili sono i potenti e il popolino si arrabatta come può. Tra l’altro questa è un’occasione per ripercorrere una fase molto importante anche per la sua tragicità, della storia di Roma: il moto rivoluzionario del 1849, primo vero episodio di ribellione del popolo romano, sfociato nella dolorosa carneficina del Gianicolo. I riferimenti storici nel testo sono tutti reali e riportati con estrema dovizia di particolari. E poi hai toccato un tasto che mi preme sottolineare: vestire questi panni, nel vero senso letterale della parola, è un privilegio per l’opera splendida che ha fatto la costumista Chiara Fiorelli, mettendomi a disposizione un costume meraviglioso che è di fondamentale aiuto a me nell’interpretazione e allo spettatore per calarsi ancora di più nella storia.

Tania Croce) Qual è il messaggio dello spettacolo?

Marco Fiorini) Il messaggio è raccolto in una battuta verso la fine dello spettacolo che Ciancicagnocchi condivide con il pubblico: “Nella vita spesso famo tanto pé diventa quello che volemo, ma poi alla fine se ritrovamo a esse solo quello che dovemo”. L’affannosa e legittima ricerca di un qualcosa di meglio nella vita, si scontra inevitabilmente con il destino scritto per ognuno di noi. Ciò non toglie però che non dobbiamo mai pensare che in parte non si possa anche essere un po’ artefici del nostro destino

Tania Croce) Credi che sia giusto e necessario attraverso il teatro valorizzare e decantare la storia e la bellezza di Roma?

Marco Fiorini) Non solo è giusto, ma tutti noi artisti romani dovremmo nella nostra carriera rendere un omaggio a questa nostra madre Roma, che ci fa spesso bestemmiare per le sue incongruenze, le sue difficoltà, gli ostacoli che ci pone quotidianamente, ma dimentichiamo troppo facilmente anche le grandi opportunità che ci offre con la sua magia, l’atmosfera unica che qui si respira, la sua storia i suoi luoghi incantati così spesso ispiratori di storie di vita meravigliose da raccontare, cui non dobbiamo mai fare l’abitudine fino a non vederli più.

Nel trascrivere quest'intervista, ho provato un'emozione indescrivibile perché attraverso le parole di Fiorini ho scoperto un animo fiero e gentile che renderà questo spettacolo un'esperienza meravigliosa sotto tutti i punti di vista.
V'invito a non perdere l'appuntamento con Marco Fiorini al Barnum Seminteatro il 26/27 ottobre 2019 a Via Adelaide Bono Cairoli, 3 - Roma

di Tania Croce

Giulio Cesare da William Shakespeare a Daniele Salvo al Globe


Dal 20 Settembre al 6 Ottobre ore 20,45.
Domenica ore 18.00 (esclusi i lunedì)

GIULIO CESARE
regia di Daniele Salvo
traduzione e adattamento di Daniele Salvo

Produzione Politeama S.r.l.


Nel Settembre 1962 Pier Paolo Pasolini definisce il fascismo «come normalità, come codificazione, allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.» 
Alla domanda: “Il fascismo sta tornando?” oggi si può forse rispondere con un’altra domanda: “E se in realtà non se ne fosse mai andato?”.  Nel nostro Paese, i segni di un ritorno del fascismo sono numerosi e non sono solo di oggi, anzi sono rintracciabili lungo il corso di almeno gli ultimi trent’anni. Il prevalere delle destre sulla scena politica nazionale ed internazionale, la rivalutazione dei nazionalismi, dei confini, dei protezionismi, l’insorgenza sulla scena politica e sociale dei “nuovi fascisti del terzo millennio”, l’avvento del razzismo dilagante verso lo straniero e il diverso, la diffusione di un sentimento di rancore che si manifesta nella sfrenata caccia al capro espiatorio, fanno purtroppo pensare a questo. Le Furie non si sono mai placate, hanno solo finto un pentimento, non sono state neutralizzate dalla società civile, in realtà non sono mai state trasformate in Eumenidi da Atena. Restano invece sepolte alle radici della nostra società, inquinano le falde più profonde della società civile, ammorbano i sentimenti e i valori più puri. Le Furie, oggi, travestite da divinità protettrici, occupano i Palazzi del Potere, dispongono delle vite di ogni cittadino, inscenano teatrini di falsa politica, orientano consensi e dissensi con i loro volti televisivi ammiccanti e tranquillizzanti.  Shakespeare ci parla di tutto questo: di un potere cieco, assoluto, del culto della personalità, della manipolazione delle masse attraverso l’uso del linguaggio e dell’immagine pubblica, di un popolo senza volto alla ricerca ostinata di un Leader, popolo senza dignità, dalla sfrenata voglia di gogna, popolo in pieno delirio narcisistico, che muta opinione in base alle promesse del più abile imbonitore. I congiurati vogliono instaurare la Repubblica. Sono giovani, motivati, idealisti e vogliono sopprimere l’ingiustizia e l’abuso di potere. Ma si riveleranno vulnerabili, fragili, privi di qualsiasi abilità politica, troppo ingenui nella loro presunta umanità colma di ideali. Sono creature fragilissime, preda di paure e terrori notturni, vittime del destino.
Giulio Cesare è creatura onnipotente, sovrannaturale, dai lineamenti trasformati, cancellati, multipli. Il potere sommo è in maschera e si identifica con essa: la maschera muta la personalità, sconvolge la mente, cela le vere intenzioni del Leader assoluto, l’uomo dei “pieni poteri”. Nel nostro spettacolo lo stesso attore che interpreta Giulio Cesare, nella seconda parte, senza maschera, rivestirà il ruolo di Ottaviano, l’uomo nuovo, artefice di inedite alleanze di governo: purtroppo tra il vecchio e il nuovo non c’è alcuna differenza. Non serve “attualizzare” la scrittura di Shakespeare, è attuale di per sé.
I costumi fanno riferimento ad un’epoca fascista contaminata da elementi di classicismo. Vorrei suggerire in questo modo l’idea di un fascismo latente, insopprimibile, nel popolo italiano e con esso l’idea di un “fascismo degli antifascisti”, che inevitabilmente riporterà il Paese ad un nuovo sistema totalitario e ad un nuovo governo di stampo inequivocabilmente fascista (quello di Cesare Ottaviano). Pensando ancora a Pier Paolo Pasolini: “il fascismo è, se non proprio  come per Gobetti  “l’autobiografia della nazione”, sicuramente l’autobiografia della borghesia italiana.
Il fascismo è la plastica, violenta concretizzazione della grettezza borghese, del razzismo borghese, della sorda, vigliacca, depravata crudeltà borghese.”
Il disegno luci riproduce una Roma tetra, attraversata da temporali furiosi, lampi di luce improvvisa, deboli fiaccole e bracieri, simbolo del profondo buio interiore in cui sono calati tutti i personaggi del Giulio Cesare.            

Note di regia

In un buio assoluto, nelle strade di una Roma rischiarata solo da fiaccole e bracieri, appaiono i personaggi del Giulio Cesare, figli della Storia e del loro inevitabile destino, creature del passato, ossessioni che visitano brevemente il nostro tempo. Gli attori interpretano le loro parti identificandosi in prima persona con i personaggi, confrontandosi con loro in modo ravvicinato, intimo, come fossero persone reali, senza “stili” o cliché teatrali precostituiti. Così i personaggi prendono vita lentamente dalla memoria del poeta.
Con l’ausilio di maschere di lattice che riproducono perfettamente le fattezze umane, 28 attori rivestono i 45 diversi ruoli del “Giulio Cesare”, conducendo uno studio approfondito sull’opera shakespeariana. Si tratta di un “sogno teatrale” fatto di rigore, necessità, serietà e determinazione. Si cerca un linguaggio immediato, che indaghi sulle motivazioni profonde di composizione di un verso, di una battuta, si cerca la “verità” degli stati emotivi, il rapporto di necessità fra l’attore e ciò che viene detto. La poesia e il Teatro hanno un linguaggio sintetico e come tale vengono da noi affrontati: non è possibile mentire o “far finta”, applicare formule o stili precostituiti. Analizzando questa grande opera di William Shakespeare e il percorso di questi piccoli uomini dal destino già determinato, ritrovando le tracce delle loro vite reali nelle opere di Plutarco (da cui Shakespeare attinse a piene mani), abbiamo preso coscienza di quanto la Storia si ripeta incessantemente, di quanto la società controlli lo spirito umano, di quanto interferisca pesantemente nei meccanismi creativi ed educativi, di quanto il consenso e il dissenso siano fenomeni pilotati, di quanto la politica entri spesso in conflitto con la nostra vita quotidiana, di quanto la nostra Libertà sia qualcosa di illusorio ed effimero. Per questo vogliamo parlare con le parole di William Shakespeare grande poeta dallo sguardo rivolto al futuro. 

                                                                                      Daniele Salvo


Interpreti
 (in ordine alfabetico)

Decio Bruto,Lepido, Messala                                FRANCESCO BISCIONE
Indovino, Cinna poeta, soldato                           SIMONE BOBINI
Metello Cimbro, Cicerone, soldato                     SIMONE CIAMPI
Bruto                                                                          GIANLUIGI FOGACCI
Portia, il Destino                                                       MELANIA GIGLIO
Lucio, Stratone,, plebeo                                        ALESSANDRO  GUERRA
Calpurnia                                                                 FLAVIA MANCINELLI
Trebonio,Lucilio, soldato                                        ALBERTO MARIOTTI
Giulio Cesare, Spettro di Cesare, Ottaviano     MASSIMO NICOLINI
Artemidoro, Pindaro, soldato                               GIUSEPPE NITTI
Cassio                                                                       GIACINTO PALMARINI
Marc’Antonio                                                          GRAZIANO PIAZZA
Cinna, Titinio, soldato                                             ANDREA ROMERO
Casca                                                                                   CARLO VALLI

Plebei, soldati, messi, servi:
Massimiliano Auci, Antonio Bandiera, Andrea  Carpiceci,  Micol  Damilano, Matteo Magazzù, Alessandro Marmorini, Dimitrios Ioannis Papavasileiou,  Riccardo  Parravicini,  Daniele  Ronco,  Roberta  Russo,  Giorgia  Serrao, Giovanni Tacchella, Luca Viola, Francesca Visicaro

SCENE
Fabiana Di Marco

COSTUMI
Daniele Gelsi

MUSICHE
Marco Podda

CANTI DAL VIVO
Melania Giglio

ASSISTENTI REGIA
Alessandro Gorgoni, Alessandro Guerra

MASCHERE
Michele Guaschino e Makinarium di Leonardo Cruciano

COMBATTIMENTI SCENICI 
Antonio Bertusi

DIREZIONE TECNICA
Stefano Cianfichi

LIGHT DESIGNER
Umile Vainieri

SOUND ENGINEER
Franco Patimo/Daniele Patriarca


Un sogno di famiglia di e con Enrico Montesano al Sistina (2010)

La vita vera e la normalità sono le cose più attraenti e irrealizzabili come i sogni, questo è il messaggio di Enrico Montesano nell’ultima commedia inedita che ha debuttato questa sera al Sistina.

Solitamente si assiste a scene di teatro nel teatro, ma questa è la prima volta che avviene un reality in teatro, “Un sogno di famiglia”, a cui partecipa la famiglia Torelli, composta da persone ‘normali’ con un padre onesto e senza pretese come Nino, che lavora in un’edicola, non ha grilli per la testa e vizi ma un unico grande sogno: comprare una villa per dare alle due figlie Sara (Francesca Ceci) e Lella (Martina Taschetta) ed a Miuccia (Sandra Collodel) qualche agio e un po’ di felicità.
L’unico modo per realizzare il suo desiderio, è quello di partecipare al reality, trasformando la sua casa in uno studio televisivo con telecamere nascoste che riprendono “24 h” su 24 come dice Nino/Montesano, dialoghi e scene di vita quotidiana che fanno salire i picchi di ascolto, proprio come avviene in tv.
Dopo aver comunicato la sua idea all’intera famiglia, i Torelli vengono invitati in uno studio televisivo dove superano la selezione.
E’ tutto pronto per trasformarsi in attori, recitare la parte di una famiglia normale, ma la farsa si sa, è sempre diversa dalla realtà.
Lella, la più piccola si monta la testa e persuasa da un fotografo (Maurizio Aiello) che irrompe nella propria casa, si mette in posa per fare un calendario nel quale compaiono anche foto della mamma Miuccia e della sorella Sara, una ragazza madre che lavora in palestra e vive nella casa dei genitori con suo figlio Jejo (Gianluca Grecchi).
Con il televoto da casa, il pubblico deve decidere chi mandare alle Maldive tra le tre donne Torelli e la scelta cade su Miuccia che noncurante del giudizio del marito, parte con il fotografo per un viaggio di lavoro e non solo.
I valori familiari quali il rispetto e la morale, vengono messi a dura prova dalla strumentalizzazione operata dal media dominante e il percorso che Nino aveva proposto alla sua famiglia per realizzare un sogno, gli si ritorce contro e tutto ciò che ha costruito nella vita, rischia di disgregarsi.
Così decide di andarsene, abbandonando il tetto coniugale. Al suo ritorno ritrova la famiglia di un tempo, che era stata fagocitata dalla logica dei picchi di ascolto. E’ una commedia in cui Montesano tocca una serie di tematiche sociali con grande ironia e leggerezza come solo lui sa fare.
E’ tornato in teatro un grande interprete del teatro italiano con una commedia spassosa e intensa. Da non perdere.

Quantunque io, una recensione dedicata allo spettacolo di Enrico Montesano visto nel 2009 al Granteatro di Roma

I pensieri di Marco Aurelio, l’imperatore romano e filosofo stoico a cui Enrico Montesano s’ispira, costituiscono il leit motive dell’originalissimo one man show in cui ‘etica’ e ‘cotica’ oscillano sul piatto della bilancia, per ridere e riflettere. Protagonista della piecès teatrale è come sempre l’uomo coi suoi pregi e difetti, immerso in una società governata dagli eccessi verbali, comportamentali e televisivi, dove insomma tutto è lecito, tranne essere se stessi ed apparire nell’essenza. “Noi fessi siamo necessari” esulta con umiltà e divertimento il grande attore, che si racconta attraverso immagini e ricordi, ripercorrendo gli anni dell’infanzia alla Garbatella, trascorsi in parrocchia tra i canti delle pie donne e il timor di Dio, fino ad approdare alla splendida Via Margutta, dove sopravvivono gli artigiani del passato, il ‘core’ della città. “Ognuno vale quanto le cose a cui s’interessa”, scrisse l’imperatore Marco Aurelio e questo lo dimostra l’esperienza artistica di Montesano, che ricorda i grandi maestri del teatro, del cinema e della musica italiana da Gigi Magni, a Gabriella Ferri, da Trovajoli a Garinei e Giovannini con cui passeggiava per i vicoli di Roma e con i quali ha condiviso grandi ed indimenticabili emozioni. Come dimenticare “Rugantino” in cui all’attore laziale fu concesso di recitare con al collo un foulard celeste sulla camicia bianca…doveroso è il ricordo rivolto all’incantevole Aldo Fabrizi nei panni di Mastro Titta. L’amore per la Roma degli imperatori, delle piazze magnifiche e dei poeti, raggiunge toni solenni e malinconici nell’interpretazione di una poesia del grande Cesare Pascarella. Non soltanto Montesano ma i suoi personaggi Nicola Anemia, il mitico vecchietto pensionato e Catullo Er Bullo, trasformano il Gran Teatro in un luogo festoso, in cui solo fuori piove, mentre dentro il pensiero si trasforma in gioia e la musica della Jazz Band, neutralizza tutte le assordanti suonerie dei telefonini e le voci guida dei tom tom, per tornare all’antica sana risata. 
Roma, Gran Teatro, 29 marzo 2009
https://www.teatro.it/recensioni/quantunque-io-ovvero-etica-e-cotica/i-pensieri-di-marco-aurelio


Romeo e Giulietta... diventano L'Ultrà e l' Irriducibile al Sala Umberto

Romeo e Giulietta, il dramma composto da William Shakespeare  tra il 1594 e il 1596, noto al grande pubblico grazie al meraviglioso film di Zeffirelli, ha traversato secoli e adattamenti fino a quello in scena al Sala Umberto dal titolo ROMEO L’ULTRÀ E GIULIETTA L’IRRIDUCIBILE Storia d’amore e tifo con Tragedia finale.  
Romeo e Giulietta è un film del 1968, diretto da Franco Zeffirelli; trasposizione cinematografica della celebre e omonima opera teatrale di William Shakespeare, è stato girato in lingua inglese.
Il film è stato adattato al grande schermo da Franco Brusati, Masolino D'Amico e dallo stesso regista Franco Zeffirelli, ed è noto per essere, oltre che tra le rappresentazioni più fedeli al testo scritto, una delle prime versioni dell'opera di Shakespeare in cui gli attori principali sono molto vicini all'età dei personaggi originali; infatti, durante le riprese Leonard Whiting (Romeo) aveva diciassette anni, Olivia Hussey (Giulietta) sedici.
A causa della scena di nudo tra i due e la minore età dei protagonisti, il film provocò qualche polemica, e il rating originale del film in Gran Bretagna e negli Stati Uniti fu "A", per adulti; infatti il regista Franco Zeffirelli, per mostrare il seno di Olivia Hussey in una scena, dovette ottenere un permesso speciale dalla censura italiana; alla stessa Hussey fu proibito entrare in sala per vedere il film perché ritenuto per adulti a causa della sua breve scena di nudo, e lei commentò su come fosse possibile che lei non potesse vedere qualcosa che "vedo nello specchio ogni giorno".
Questo il film di Zeffirelli. Vorrei poter ripercorrere la storia dell'opera in tutti i suoi adattamenti teatrali e cinematografici ma rischierei di dilungarmi troppo.
Mi limito a riportare il comunicato ricevuto dall'ufficio stampa dello spettacolo, firmato dal suo autore.
Romeo l’ultrà e Giulietta l’irriducibile. Un titolo che prende solo a prestito i due appellativi Ultrà e Irriducibile (come fece Shakespeare con i Montecchi e i Capuleti) per indicare due fazioni opposte, annebbiate da un odio reciproco talmente radicato ed insensato, da sconfiggere la purezza e l’amore di due ragazzi. 
Un testo in versi, che segue le linee guida del classico shakespeariano ma usa un linguaggio decisamente popolare, in fin dei conti una storia “coatta”, che vive in una Roma popolare, periferica, dove i ragazzi guardano alla domenica calcistica, alla loro fede sportiva, come il fine ultimo della loro esistenza. Un’esistenza che si consuma stancamente fra lavoretti rimediati, pasticche per sballare, amori improvvisati, emozioni da inventare e finalmente la Domenica! Sì, la Domenica, per gridare l’umano desiderio di appartenenza a un simbolo, un ideale! 
Ma anche per manifestare il disagio di ragazzi che faticano a trovare un “loro luogo” in questa Società cinica e ingiusta. In genere il termine Ultrà (o Irriducibile che sia) evoca nell’immaginario collettivo scenari di distruzione e violenza, eppure quegli stessi Ultràs e Irriducibili sono capaci di slanci di grande generosità (vedi il loro importante contributo in termini di aiuti umanitari durante il recente e tragico terremoto abruzzese). Perché i ragazzi, al di là delle fedi politiche o sportive che siano, hanno bisogno di amare, lottare, credere! E quando la politica abdica al suo ruolo di educatrice della collettività e non è più capace di appassionare le persone, né tantomeno i giovani, allora ecco che le Curve dell’Olimpico, di San Siro o del San Paolo diventano il luogo dell’appartenenza. La Curva vista come microcosmo di una Società, che tende a negare il futuro a generazioni di ragazzi, esposti, come la Storia insegna, alle colpevoli influenze di adulti frustrati. 
Nato dal desiderio di scrivere un’opera antiviolenza sul Mondo del calcio, questo spettacolo ha l’ambizione di divenire una riflessione importante sulla degenerazione del Tifo, che purtroppo nel corso degli ultimi anni ha provocato lutti dolorosi e inconcepibili. I Paparelli, gli Spagnolo, i Currò, i Sandri, gli Esposito, i morti dell’Heysel, degli stadi sudamericani non possono essere che un tragico ossimoro, se uniti alla parola “Sport”. È in questo scenario che Romeo, tifoso giallorosso, figlio de Er Murena, e Giulietta, appassionata biancoazzurra, figlia de Er Catena, che si affaccia ogni mattina dal suo balcone delle case popolari di Valle Aurelia, sognando il suo principe azzurro, si innamoreranno e andranno incontro, loro malgrado, al tragico finale. Un inno all’amore, questo e solo questo vuole essere “Romeo l’ultrà e Giulietta l’irriducibile”.

Gianni Clementi

Ogni adattamento ha la sua ragion d'essere e quest'assonanza tra le due famiglie (i Capuleti e i Montecchi) rivali a Verona e l'odio delle tifoserie opposte, credo sia inconciliabile con la storia d'amore narrata da Shakespeare nel '500 e attualissima anche senza la necessità di stravolgerne a mio parere, il senso.
Anche se il calcio è senz'altro una forte passione, una fede e una forma d'amore, penso che i messaggi della pièce teatrale siano lontanissimi da questo adattamento in scena dal 26 aprile al Sala Umberto.
 Non amo i giudizi a priori perché preferisco fare esperienza delle cose e studiare le opere prima di parlarne e/o scriverne, ma questa volta farò un'eccezione perché sono convinta di restare delusa dallo spettacolo che v'invito a vedere.
Sono curiosa dei vostri eventuali commenti sotto questo post

di Tania Croce

Il Piccolo Principe della Compagnia Salvatore Della Villa

Ho avuto la fortuna e il piacere di vedere per la prima volta nella mia vita, la messa in scena de Il Piccolo Principe, attraverso la Compagnia Salvatore Della Villa, che ha saputo regalare a me e al pubblico del Tor Bella Monaca, emozioni autentiche e magiche, fedelissimo al testo eppure abilissimo nel tradurre le visioni del racconto con la sua regia evocativa e sognante e un cast di rara bravura formato dal biondo e bellissimo Filippo De Carlo, dall'incantevole Matteo Padula e dalle straordinarie Rossana Peraccio, Elena Spinelli e Mariapaola Sistilli. Il candore infantile di fronte alla scoperta del mondo, è il leit-motiv de Il Piccolo Principe, per cui l'autore, il pilota francese Saint-Exupéry e narratore del racconto autobiografico amatissimo in tutto il mondo, arrossiva davvero in età adulta, come fanno i bambini.
E' stato anche per me un amore a prima vista quello con le parole di chi non ha dimenticato la sua parte infantile, la quale convive con quella adulta. A Exupéry capitò davvero un incidente nel deserto del Sahara nel 1935 e fu ritrovato e salvato miracolosamente dagli indigeni quando era ormai pressoché morto di sete.
Il narratore (Salvatore Della Villa) guida lo spettatore nel viaggio alla scoperta del mondo compiuto dal Piccolo Principe, il quale cade sulla terra dal suo piccolo pianeta, l'asteoride B612, approfittando di una migrazione di uccelli selvatici.
L'incontro tra l'aviatore assetato e la piccola e deliziosa creatura, avviene come per gioco, con la richiesta di un disegno: una pecora.
L'asteroide da cui proviene questa personcina, è piccolissimo, avvistato una sola volta da un astronomo turco, è infestato dai baobab, però in quel piccolo pianeta, custodisce un fiore prezioso. 
Quella del Piccolo Principe è una vita malinconica scandita dalla visione dei tramonti.
La tristezza e la monotonia di fronte ai tramonti cede il posto all'idea luminosa di viaggiare per istruirsi.
Così inizia a visitare diversi asteroidi, abitati il primo da un re despota che pur vivendo solo, ha la presunzione di regnare su tutto, poi s'imbatte in un vanitoso che spiega al piccolo principe cosa voglia dire 'ammirare'. Poi è la volta dell'ubriacone il quale beve per dimenticare ma senza ricordare cosa sta cercando di dimenticare e poi un uomo d'affari che crede di possedere le stelle. Il quinto pianeta è abitato da un uomo che svolge un mestiere terribile: spegnere e accendere in continuazione l'unico lampione esistente nel suo asteroide.
Nel sesto pianeta conosce un esploratore che lo invita a visitare la Terra.
Il settimo pianeta in cui Il Piccolo Principe giunge è immenso e i suoi incontri sono emblematici, prima con un serpente poi con la volpe che gli spiega il verbo 'addomesticare' ossia 'creare dei legami' e gli confida che "l'essenziale è invisibile agli occhi" e che il suo fiore chiamato rosa, è uguale a quelle trovate sulla Terra ma lei è l'unica di cui si è preso cura con amore.
Questo universo meraviglioso prende forma tra gli attori ginnici e talentuosi che trasformano la magia descritta da Antoine de Saint-Exupery in realtà.

di Tania Croce


Essere o non essere Mattia Pascal? Ce lo spiega Pino Quartullo a teatro

Le storie raccontate da Luigi Pirandello hanno il grande pregio di essere teatrali. I personaggi che creò e descrisse, attingendo alla realtà come Mattia Pascal, un uomo di poche pretese, oppresso dalla quotidianità, possono essere baciati dalla fortuna, lui per esempio è stato privato della propria identità.
In costante oscillazione tra il voler essere qualcun altro e il non essere più, il conflitto pirandelliano è interpretato con perfetta armonia da un architetto che ha scelto di essere attore e regista: Pino Quartullo.
E' bastato al protagonista del noto romanzo, nel suo adattamento teatrale, un abito chiaro sapientemente scelto dalla costumista, un cappello, un paio di occhiali da sole e una sigaretta, per tradurre il desiderio del pubblico di adeguarsi al cambiamento, solo nella finzione.
E' stato un successo di pubblico e di stampa quello abilmente diretto da Ferro che proseguirà a Sarsina il 22 luglio 2018.

di Tania Croce


La pedagogia degli oppressi

Cito un paragrafo di un capitolo della mia tesi di laurea in Pedagogia interculturale dove sviluppo un concetto freuriano tratto da La pedagogia degli oppressi, di grande importanza e attualità sull'umanizzazione/disumanizzazione degli uomini e delle donne, visto come problema storico della società contemporanea 

1.3 Oppressione e Umanizzazione. Il teatro del mondo

La mia recensione di "Lui", di Gianfranco Bernes

Ho ordinato questo libro online perché conosco Gianfranco Bernes, il suo autore, attraverso Testimoni del passato, pubblicato da Edizioni Psiconline, la stessa casa editrice di Un record… d’amore alla conquista dell'autostima (il mio romanzo in stile internettiano sulla conquista dell'autostima) e il titolo “Lui” ha suscitato la mia curiosità.

Scrivere è...

Scrivere è un lavoro di ricerca costante del termine giusto, dell'espressione che traduca lo stato d'animo dell'autore.
Scrivere è creare immagini mentali nel lettore. 
Scrivere è informare, incuriosire, emozionare.

Breve storia e riflessioni sui giorni della Merla



Sebastiano Pauli pubblica nel 1740 due ipotesi di spiegazione sull’origine dei giorni della Merla, ossia i tre giorni più gelidi dell'anno, il 29, 30 e 31 gennaio.

"I giorni della Merla" in significazione di giorni freddissimi. L'origine del quel dettato dicon esser questo: dovendosi far passare oltre Po un Cannone di prima portata, nomato la Merla, s'aspettò l'occasione di questi giorni: ne' quali, essendo il Fiume tutto gelato, poté quella macchina esser tratta sopra di quello, che sostenendola diè il comodo di farla giungere all'altra riva. Altri altrimenti contano: esservi stato, cioè un tempo fa, una Nobile Signora di Caravaggio, nominata de Merli, la quale dovendo traghettare il Po per andare a Marito, non lo poté fare se non in questi giorni, ne' quali passò sovra il fiume gelato.

Prosegue il canto di libertà di Serra/Griselidis...

Chiusa dentro una gabbia, Serra Yilmaz, accompagnata dalla musica di Stefano Cocco Cantini, racconta la vita e i sogni di Griselidis Real, una prostituta svizzera che, oltre a svolgere questo lavoro con dedizione e umanità verso l’uomo di turno, ha scritto sperato e lottato per un mondo migliore, in cui anche le prostitute devono conquistare la dignità di esistere.

Gli amori e i blogamori durano per sempre

Esistono diverse forme d'amore, quello platonico oppure quello passionale, quello tra individui di diverso sesso o dello stesso. Poi c'è l'amore per gli animali e per la natura. Oggi vi racconto la mia storia d'amore con la scrittura e con il blog.

Una fioca luce che potrebbe incendiare il mondo intero

Dal post 
Van Gogh al ristorante spagnolo con me e Nina

Un tavolino nella seconda sala, un po' in disparte dal resto del mondo. Un po' come facevano i grandi artisti da Van Gogh a Baudelaire ma quei luoghi 'segreti' erano meno dignitosi di quello scelto da noi quella sera.

Identità, educazione alla diversità, teatro nella mia tesi di Pedagogia interculturale

Questa è una sintesi della mia tesi di laurea in Scienze dell'educazione e della formazione. 
Il titolo della tesi è: Il Teatro come veicolo d'intercultura, per cui mi sono servita di testi teatrali elaborati nella laurea in Storia del teatro e dello spettacolo, delle pièces teatrali viste e recensite e di letture pedagogiche nuove ed entusiasmanti. Questa volta mi è giunto in soccorso il mio blog, dove sono contenute alcune recensioni degli spettacoli citati. Quindi Pennadoro è sia tra le note che nella Sitografia!  Grazie Pennadoro!
Se siete curiosi di leggere la sintesi della mia tesi, mi trovate d'accordo!!! 

La diversità è fonte di novità e arricchimento, ciò accade quando si scopre qualcosa di nuovo e inaspettato. Ho scelto come chiave di lettura e veicolo d’intercultura il teatro, ossia lo spazio adottato da secoli per la rappresentazione e l’interpretazione del mondo. Il teatro sarà la mia lente d’ingrandimento sull’intercultura, come luogo d’incontro, integrazione e scambio costruttivo, creativo e possibile. Stranieri a noi stessi di Julia Kristeva, è un libro molto interessante che orienta e inaugura il mio percorso di ricerca e studio pedagogico e l’ho trovato illuminante perché l’autrice s’interroga sulla cultura dell’identità e sul nostro modo di vivere da stranieri o con gli stranieri, ricostruendo il destino dello straniero nella civiltà europea e delle minoranze, essendo forte in questa fase storica l’esigenza di riconoscere la propria e le altrui identità, in un contesto europeo e globale. Nei tre capitoli della tesi, affronto il tema dell’educazione alla diversità, un vero e proprio percorso di studio, un viaggio per scoprire se stessi, confrontandosi successivamente con l’altro. Per il mio personale percorso è stato fondamentale il seminario universitario del prof. Di Cori, un uomo, uno psichiatra e insegnante all’Actors studio di New York, fuggito alle leggi razziali negli anni ’30, che ha lavorato al Centro Teatro Ateneo dell’Università la Sapienza negli anni ‘90, tenendo preziosi seminari sullo Psicodramma e il teatro delle emozioni, un vero e proprio percorso di drammatizzazione teatrale che consentiva ai partecipanti di relazionarsi con sé stessi, con le proprie paure e i tabù, rafforzando così una ricostruzione del proprio io e migliorando o riscoprendo le relazioni con i familiari, gli amici, i colleghi di lavoro, la società in generale.

Capitolo primo: Lo spazio scenico come veicolo d’intercultura

La cultura dell’identità parte dall’educazione e dal dialogo che è il punto di forza della lotta rivoluzionaria degli oppressi per liberarsi dalla sottomissione agli oppressori, come spiega Paulo Freire nel suo eloquente testo del’68 che ha avuto numerose edizioni, Pedagogia degli oppressi. Ma tale educazione alla diversità parte dall’infanzia ed è per questo che credo siano emblematici due testi: L’educazione dell’infanzia e il futuro del mondo (2012) di Angela Perucca e Il razzismo spiegato a mia figlia di Ben Jelloun. Nel primo Perucca e Canale pongono l’accento sull’importanza della persona e la sua capacità di comprendere il mondo nella sua interezza e ciò è importante che avvenga nella fase iniziale della sua esistenza come spiega l’autore magrebino alla figlia che pone delle domande al padre a proposito del razzismo considerandolo addirittura una malattia. La diversità è uno dei termini che compare nel bellissimo testo teatrale di Dreck: Schifo, rappresentato per la prima ad Amburgo nel ’93 e da Graziano Piazza al Festival Internazionale dell’attore di Parma nel ’97. Io l’ho visto e recensito nel 2015 al teatro Lo Spazio di Roma e ha come protagonista Sad, che non è solo uno straniero ma un clandestino che vende rose per campare cercando di sopravvivere in terra straniera, fatta di uomini che lo emarginano. Il teatro rende visibile spesso ciò che è invisibile alla cultura occidentale, questo è il messaggio del percorso di studio con Ferruccio Marotti che è stato uno studioso delle poetiche e teorie dell’evento teatrale e le problematiche antropologiche degli spettacoli dell’estremo oriente. Nelle sue lezioni ho conosciuto il teatro laboratorio di Grotowsky (’68) che fu regista del dramma Akropolis la cui azione si svolge nella Cattedrale di Cracovia, con una visione attualizzata che è ambientata nel campo di concentramento di Auschwitz e al posto dei personaggi degli arazzi che rivivono episodi dell’antico testamento, ci sono l’orrore e la bruttezza della sofferenza, gli attori indossano sacchi che coprono corpi nudi, gli internati sono le vittime e i carnefici dove illudendosi di costruire una realtà parallela sopravvivono attraverso i loro sogni, che sono anche sogni d’amore. Oltre alla storia degli ebrei, rappresentata nello spettacolo Ghetto, simbolo di tutte le discriminazioni, come protagonista la voce della speranza tra i popoli ghettizzati nella storia e le danze sulle note di Goran Bregovic visto all’ Eliseo in occasione delle celebrazioni del Giorno della Memoria,  c’è un ‘altra storia che ha esercitato un immenso fascino sulle popolazioni occidentali e che un fotografo, esploratore ed etnologo come Curtis, ci racconta attraverso le sue straordinarie immagini, avendo vissuto in mezzo a loro e immortalando i loro usi e costumi i cui scatti recano il nome The North American Indian. A questa storia è dedicato uno spettacolo che ho visto e recensito “Ascolta il canto del vento” scritto da Ennio Speranza e diretto da Massimo Natale, dov’è portata in scena l’anima e il dolore degli indiani d’America. Altro esempio di teatro come veicolo d’intercultura è sicuramente la danza preghiera dei dervisci rotanti al Brancaccio, vista e recensita sul mio blog Pennadoro il teatro delle emozioni, un rituale di 700 anni fa dove la danza in modo circolare con la testa chinata verso il cuore è necessaria per raggiungere l’estasi mistica.

Capitolo secondo. Rifugiati e giovani immigrati di seconda generazione
Nel secondo capitolo invece, partendo da alcune definizioni esaminate dalla Kristeva e stati d’animo dello straniero errante, la sua possibilità di essere felice lontano dalla sua terra, compresa quella di umanesimo, un concetto propriamente europeo dove l’uomo sarebbe coinvolto in una ricostruzione continua della sua identità, dei suoi valori e delle sue situazioni personali, giungo al concetto di felicità elaborato da Vannuccini attraverso lo spettacolo Respiro, la seconda parte della trilogia del Teatro nel deserto, dove i protagonisti non sono attori e questo non è uno spettacolo ma un evento e il teatro è la sabbia del deserto per i richiedenti asilo del C.A.R.A. che raccontano in un linguaggio verbale e non verbale mentre echeggiano versi letterari, la loro fuga verso la libertà, trovando un’oasi di speranza, come l’acqua nel deserto. La felicità per lo straniero equivale alla sopravvivenza, alla possibilità di una vita altrove, come spiega Vannuccini. Visto che l’intercultura oggi non pone l’accento sulla fissità identitaria abbraccia l’elemento performativo e inventivo, ho esaminato dei gruppi di ricerca e scambio, spazi culturali polivalenti, uno di questi si trova al quartiere Pigneto di Roma, dove quest’estate è stato ospitato un progetto interessante come Percorsi Migranti, dove degli immigrati di seconda generazione si esprimano nel dialogo interculturale dando spazio all’innovazione che nasce dal rapporto con il contesto metropolitano multietnico.

Capitolo terzo. Spettatori di una nuova umanità per noi del Nord del mondo
  Una nuova umanità si affaccia sul teatro del mondo, ancora in gran parte clandestina, migrante ribelle.  A questa umanità e alla sua cultura letteraria l’autore dedica una raccolta di saggi, utilizzando la Letteratura comparata ossia la disciplina accademica in fase di estinzione, nata in Europa e Nord America che pratica e se necessario, rivendica la parità degli individui e dei popoli, studiando la letteratura da un punto di vista internazionale.  E’ la sinossi di Creoli, meticci, clandestini e ribelli, l’eloquente lavoro di Armando Gnisci[1], il mio professore di Letterature comparate alla Sapienza e che ho ritrovato nella mia biblioteca, sommerso dalla polvere e estremamente utile in questo contesto. Oltre ad aprire le menti, la letteratura comparata, come spiega il suo autore “fornisce una visione più ampia e inconsueta del valore della letteratura.” Questa materia che studiai con grande interesse e curiosità, mi ha abituato a riflettere rovesciando i modelli di pensiero ai quali siamo assuefatti. “Insegna come essere critici aprendoci all’importanza irrimediabile e ineludibile della presenza e del giudizio dell’altro e convincendoci che da quando si manifesta questo evento porta una grande opportunità, una salvezza, forse una gioia. La letteratura comparata permette che questo incontro ci possa trasformare e ci addestra a interpretarlo (l’incontro, non l’altro).”   Se è vero che i libri della nostra personale biblioteca, possono cambiare la nostra visione del mondo, è possibile sfogliare pagine contenenti storie di un’altra parte del mondo, capaci di “produrre educazione della diversità, decolonizzazione mentale e civile, creolità e futuro più aperto.”  L’autore spiega il valore pedagogico della sua disciplina nel libro preso in esame, partendo da lontano. L’educazione all’ascolto diventa un modo per trasformare l’altro, il diverso, in un nuovo cittadino del mondo. E così nord e sud del mondo diventano le due facce di un’unica medaglia, con comuni intenti d’incontro e condivisione. «Il teatro - come ha confessato Piazza nell’intervista che mi ha rilasciato - ha sempre rappresentato il mio tentativo di un ritorno a casa.   L’affrancamento di un' orfanezza dell’anima. La condivisione di un rito giocoso che lega le origini all’oggi. Il tentativo di un superamento dei limiti imposti dal Tempo e dallo Spazio per non farci invecchiare.  L’amore per l’Uomo, per tutte le sue moltitudini, senza il riparo delle maschere della vita si esprime nella compromissione che ricerco in scena. La parola, il gesto, la grazia sono gli strumenti necessari a travalicare la nostra perenne menzogna e onnipotenza deliranti con attenzione e cura. Il teatro ha sempre rappresentato il mio tentativo di un ritorno a casa.   Vivo del privilegio della non popolarità. Finché potrò permettermelo cercherò strade diverse che possano coinvolgere il pubblico perché questa invisibilità diventi un vantaggio». (Graziano Piazza)
Torna così il tema dell’invisibile che rende tutto possibile, ogni tipo d’incontro, ogni forma di comunione, condivisione e arricchimento. Ed è proprio con tale invisibile speranza che mi auguro di aver contribuito, attraverso i nomi degli autori letti, citati, degli attori apprezzati a teatro e delle preziose lezioni che hanno orientato la mia esistenza e di poter contribuire a un’educazione alla diversità negli spazi scolastici ed extrascolastici, affinché sia possibile un rapporto armonioso tra le diverse culture. Un ringraziamento speciale a chi mi ha seguito e mi è stato accanto in questi mesi di studio. Dedico questo lavoro a mio padre che amava leggere e conoscere la storia degli uomini e che insieme a mia madre, mi ha insegnato l’utilità e la bellezza della conoscenza, a Guido, sempre presente e ai cittadini del mondo.
                                                         Qualche libro letto e citato 


E' stato un momento intenso e straordinario quello della preparazione della tesi, nel bel mezzo dei terremoti che hanno colpito il centro Italia l'estate scorsa e graditissimi e commoventi sono stati i complimenti ricevuti dalla mia relatrice, la dott.ssa Perucca, la quale ha sottolineato l'originalità e la ricercatezza del lavoro svolto e scritto interamente dalla sottoscritta (Ma come si fa a copiare?)









La Nuova Onda dopo il naufragio

È morta a 89 anni, a Parigi, la grande attrice francese Jeanne Moreau.
Ci penso da ieri, ossia da quando ho appreso la notizia.
Ero a Parigi negli anni '90 a fare gli interventi al viso, dopo il nostro tragico incidente, quando studiai la Nouvelle Vague per l'esame di Storia del cinema alla Sapienza, e l'attrice francese che ci ha lasciato, ha saputo bucare lo schermo col suo essere intensa, coinvolgente e di una bellezza non solo esteriore. Leggo sul Fatto Quotidiano il pezzo, ripassando le nozioni apprese in quegli anni, il suo debutto cinematografico del 1949, in Dernier Amour di Jean Stelli, fino
 ai ruoli più significativi, entrati a buon diritto nella storia della cinematografia mondiale, arrivano a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta: nel 1958 è diretta da Louis Malle ne “Gli amanti”, l’anno dopo da Truffaut in “I quattrocento colpi” e da Roger Vadim in “Le relazioni pericolose”. Tra 1961 e 1963 arrivano altri capolavori: La notte di Michelangelo Antonioni, La donna è donna di Jean-Luc Godard, Jules e Jim di François Truffaut, Il processo di Orson Welles (con cui girerà anche Falstaff e Storia immortale).
Negli anni successivi sarà diretta da altri grandi maestri come Luis Buñuel, Tony Richardson, Elia Kazan, André Techiné, Rainer Werner Fassbinder, Luc Besson, Wim Wenders, Theo Angelopoulos, François Ozon, Manoel de Oliveira e Amos Gitai, a riprova del fatto che in oltre sessant’anni di carriera, Jeanne Moreau è stata una delle interpreti più amate e richieste dai cineasti migliori dagli anni Cinquanta in poi.
Ha presieduto due volte la giuria del Festival di Cannes (1975 e 1985) e ha vinto tre Cèsar (due onorari e uno per “La vieille qui marchait dans la mer” nel 1992), un BAFTA per “Viva Maria!” e due premi al Festival di Cannes (uno onorario nel 2003 e uno per “Moderato cantabile” nel 1960).

Sembra che con la Moreau, sia morto e sepolto lo spirito della Nuova Onda, ossia il primo movimento cinematografico che fotografa la realtà così com'è e  che dalla realtà stessa prende vita. La strada e le dimore dei personaggi della Nouvelle Vague, costituiscono gli spazi aperti e intimi dove le vicende si svolgono, e che registi come Truffaut, Godard, Rivette, Chabrol e Rohmer, un gruppo di amici e giovani cinefili, con una parentesi aperta per Malle, il quale non si riconoscerà mai nel movimento, hanno scelto per i loro film autentici e di rottura con quel cinema documentaristico da cui prendono le distanze.
Mentre mi abituavo a cavalcare la nuova onda dell'esistenza, dopo il naufragio, era lì ad accogliermi la Nuova Onda, e anche attraverso la cultura, la Francia mi ha salvato.

di Tania Croce


Il teatro, un'arte sociale che aiuta l'umanità a capire se stessa

Il teatro, definito ‘archeologico’, oppure ‘colto’, come se la cultura fosse qualcosa che pesa anziché aiutare la nostra visione del mondo, che cos'è?
Che cosa significa ‘teatro’? Devo partire necessariamente dall’etimologia. Anche perché senza conoscere il significato delle parole non riusciamo a comprenderne il senso e potremmo confonderci.
Ho affrontato l’argomento nella mia seconda tesi di laurea in Pedagogia Interculturale, sul Teatro come veicolo d’intercultura, spiegando che Teatro, dal greco θέατρον "spettacolo", dal verbo θεαομαι ossia "vedo", è il luogo da cui è possibile vedere, osservare la storia dell’uomo, la profondità del suo animo, attraverso le emozioni suscitate dall’attore e accanto alla sua bellezza, ci sono i limiti, il misterioso vortice del pensiero. Il teatro è lo spazio adottato da secoli per la rappresentazione e l’interpretazione del mondo. Tutto questo non ha limiti temporali, pur esistendo una storia dell’arte teatrale, esposta magnificamente nel manuale di Glynne Wickham di “Storia del teatro”, studiato per il mio primo esame di Storia del teatro e dello spettacolo alla Sapienza. Il teatro nei secoli è stato bandito, se pensiamo che in tutta l’Europa cristiana per quattro secoli, dopo il sacco del Visigoto Alarico nel 410 a. C. oppure soppresso in India per un periodo quasi doppio, dopo la conquista islamica, dei secoli decimo e undicesimo dell’era cristiana. Fu bandito in Inghilterra per quasi vent’anni e in America. Il teatro, così, è sempre stato una fonte costante di preoccupazione in tutto il mondo per i capi e della Chiesa e dello Stato. Coloro che infondono a quest’arte dinamica il soffio vitale, gli attori, furono venerati a volte come divinità oppure scherniti come parassiti, prostitute e vagabondi.
Il teatro è essenzialmente come afferma Wickham, “un’arte sociale” che, come la letteratura e la musica, la pittura e la danza, rispecchia e rinsalda le fedi religiose e politiche e le idee morali e sociali.
E’ un linguaggio che accoppia immagini visive e verbali, che aiuta l’umanità a capire se stessa, a definire la propria cultura, piuttosto che un mestiere per pochi dotati di talento o un passatempo per un’élite privilegiata.
Il teatro è nato con l’uomo e morirà con esso, per questo motivo non c’è niente di più vicino a ognuno di noi che l’arte teatrale. Ogni nuvola svanirà dalla vostra mente quando entrerete a teatro e sarà un viaggio dentro voi stessi, infinitamente bello.

                                           

                                                                    (Malborghetto)










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