Teatri di Pietra 2022 il tour



Parte il tour dei Teatri di Pietra 2022, la rete che tra giugno e settembre porta lo spettacolo dal vivo in siti archeologici e monumentali di sei regioni italiane (Lazio, Toscana, Basilicata, Campania, Sicilia, Liguria); una lunga stagione che inizia nel Lazio il 21 giugno nella Villa di Livia (21 -25 giugno), per poi proseguire, nella regione, nel Complesso di San Francesco a Isola del Liri (23 giugno - 17 luglio), nell’area del Museo Archeologico di Albano (24 giugno -2 luglio), a Malborghetto (7-14 luglio) e infine nell'anfiteatro di Sutri (8 luglio - 4 agosto), per poi aprire la ventesima edizione del Festival del Teatro Romano di Volterra (9 luglio - 6 agosto).




Nel Lazio dunque danza, musica, teatro e letture per un totale di 24 spettacoli di cui 9 prime, in un programma pensato per raccontare il presente in luoghi ricchi di storia – noti e meno noti - tra opere classiche e contemporanee. Nella splendida Villa di Livia sulla Flaminia apre la rassegna di reading drammatizzate inedite: Opra prima, Itaca Deserta Ruggine, scritta e diretta da Francesco Randazzo che del mito di Odisseo esplora la parte più umana, il legame tra marito e moglie indissolubili davanti al trascorrere del tempo nel viaggio dell’eroe. Le sue amanti, Calipso ninfa immortale, Nausicaa dalle membra bianchissime e la ammaliatrice maga Circe, non impediscono al protagonista di prendere consapevolezza del suo desiderio per Penelope e di sentire forte il dubbio che, a causa del tempo perduto, tra lei il marito non sia rimasta che ruggine.


Nelle giornate successive andranno in scena le opere: Ananke, orbita e sfera, di Anton Giulio Calenda; Naufragi, di Maurizio Costanza; Penelope alla peste, di Veronica Passeri; Esposito Gabriele Portaparola, di Giorgio Serafini Prosperi.


Al Complesso di San Francesco di Isola del Liri dà il via alle rappresentazioni il 23 giugno Tempesta, dall'Eneide di Virgilio (drammaturgia Sebastiano Tringali, regia e coreografia Aurelio Gatti, con Lucia Cinquegrana, Paola Saribas, Valeria Busdraghi e Sebastiano Tringali). Una tempesta di emozioni coinvolge gli spettatori trasportandoli simbolicamente sulle carrette del mare, immersi nel buio, in balia delle onde, dove gli attimi diventano l’eternità, tra memorie di una vita vissuta mai abbastanza che si mischiano alle speranze di un gruppo di pagani in fuga da un’invasione vera e propria (la guerra dei Greci contro Troia), perpetrata con violenze di ogni genere fino ad operare una vera e propria sostituzione etnica. Tempesta aprirà anche la rassegna di Villa Ferrajoli, il Museo Archeologico di Albano Laziale, il 24 giugno.




Nell’area archeologica di Malborghetto si inizia il 7 luglio con Presente, Passato, Pasolini (regia e coreografia Aurelio Gatti musica Marcello Fiorini, costumi Marina Sciarelli Genovese con Valeria Busdraghi, Lucia Cinquegrana, Elisa Carta Carosi, Paola Saribas, Matteo Gentiluomo, e Marco Brancato, Chiara Meschini, Sebastiano Tringali) che aprirà anche gli spettacoli presso l’Anfiteatro di Sutri l’8 luglio. Lo spettacolo dedicato a Pasolini nel centenario dalla nascita è un progetto di danza, teatro e musica - tratto da Pilade, Affabulazioni , La Rabbia e la Divina Mimesis - che racconta l’idea di un profondo cambiamento sociale, culturale, economico, attraverso la visione del poeta e intellettuale che ha vissuto immerso nelle contraddizioni del suo presente riuscendo a leggere i segnali di scenari futuri ma senza distogliere mai l'attenzione dal passato tanto da affermare: "La più grande attrazione di ognuno di noi è verso il Passato perché è l'unica cosa che conosciamo e amiamo veramente".


Nel nostro cartellone - spiega il Maestro Aurelio Gatti, coordinatore delle Rete - trovano spazio le opere di Aristofane, Euripide, Plauto, Virgilio, ma anche di Giordano Bruno, Shakespeare, Verga, Pasolini e Gesualdo Bufalino; ciascuno contribuisce alla costruzione di un unico racconto che, attraverso le vicende di Enea, Didone, Medea o Persefone esplora, con i linguaggi della danza, del teatro e della musica il nostro presente e racconta con lucidità l'uomo contemporaneo. La Rete è un progetto in continuo sviluppo e che in questi giorni vede l’adesione di nuove realtà, come la Liguria. Il nostro teatro nasce in primo luogo per offrire un'occasione in più di vivere il paesaggio e la storia attraverso i siti monumentali, ma soprattutto per fare del teatro antico (o dei luoghi dove si fa il teatro) lo spazio dell’incontro tra artisti e spettatori e della comunità che, nell'esperienza dello spettacolo dal vivo, si rinnova ogni volta.”






GLI SPETTACOLI PRESSO LA VILLA DI LIVIA INIZIANO ALLE 18.00, CON VISITA ALLA VILLA COMPRESA, ALLE 21.00


NEGLI ALTRI SITI




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PRENOTAZIONE SU WHATSAPP 3519072781


INFO www.teatridipietra.it


UFFICIO STAMPA Marilena D’Asdia - marilenadasdia@gmail.com tel. 342 3186664




Il calendario completo dei Teatri di Pietra con tutti gli appuntamenti e la sinossi degli spettacoli





“Teatri di Pietra - Opra prima” IV ed. lo


sguardo all’antico VILLA di LIVIA
Roma 21-25 giugno - orario 18,00


Mar 21 giu 22
ITACA, DESERTA
RUGGINE di Francesco
Randazzo
regia Cinzia Maccagnano


con Raffaele Gangale, Cinzia Maccagnano, Marta Cirello, Luna


Marongiu Fara Editore Mer 22 giu 22
ANANKE. ORBITA E SFERA
testo di AntonGiulio Calenda
con Jacopo Cinque, Maria Lo Murno, Bruna Sdao


un progetto a cura del
Gruppo della Creta
Gio 23 giu 22
NAUFRAGI
di Maurizio Costanza
regia di Maurizio Costanza


con Simona Ciammaruconi, Massimo Napoli, Daniele Terriaca, Maurizio Costanza


Editore Le Commari
Ven 24 giu 22
PENELOPE ALLA
PESTE testo di
Veronica Passeri a cura
di Arianna Ninchi,
con Chiara Bonome e Arianna Ninchi
musiche a cura di Filippo Trentalance
Editore Castelvecchi
Sab 25 giu 22


ESPOSITO GABRIELE PORTAPAROLA
di Giorgio Serafini Prosperi
regia di Giorgio Serafini Prosperi
con Carlo di Maio
Comune Isola Del Liri (FR)


COMPLESSO SAN FRANCESCO
Isola Del Liri 23 giugno - 17 luglio - orario 21,00


gio 23 giu 22
Mda - Mimo Danza Alternativa
TEMPESTA
dall'Eneide di Virgilio
drammaturgia Sebastiano Tringali
regia e coreografia Aurelio Gatti


con Lucia Cinquegrana, Paola Saribas, Valeria Busdraghi e Sebastiano Tringali


gio 30 giu 22
Mda Produzioni Danza
DAPHNE
da LE METAMORFOSI di Ovidio con
Lucia Cinquegrana, Lucrezia Serafini, Luca
Piomponi drammaturgia e coreografia Aurelio
Gatti


dom 3 lug 22
TTR - il Teatro di Tato Russo
INFINITI MONDI
da Giordano Bruno
drammaturgia M.Brancaccio


con Lucia Cinquegrana, Elisa Carta Carosi, Lucrezia Serafini, Paola Saribas


e Mario Brancaccio
mar 12 lug 22
TTR - il Teatro di Tato Russo
LUPUS IN
FABULA da
Esopo e Fedro
drammaturgia Tato Russo
con Chiara Meschini e Luisa Stagni


dom 17 lug 22
Bottega del Pane


DYSKOLOS (LO SCORBUTICO)


di Menandro


adattamento e regia Cinzia Maccagnano
musiche Germano Mazzocchetti


con Raffaele Gangale, Dario Garofalo, Cinzia Maccagnano, Luna Marongiu, Cristina
Putignano


Comune Albano Laziale (RM)


VILLA FERRAJOLI, MUSEO ARCHEOLOGICO
Albano Laziale - 24 giugno - 2 luglio - orario 21,00


ven 24 giu 22
Mda - Mimo Danza Alternativa
TEMPESTA
dall'Eneide di Virgilio
drammaturgia Sebastiano Tringali
regia e coreografia Aurelio Gatti


con Lucia Cinquegrana, Paola Saribas, Valeria Busdraghi e Sebastiano Tringali


sab 25 giu 22
Bottega del Pane


ORESTEA AGAMENNONE + COEFORE


da Eschilo


adattamento e regia Cinzia Maccagnano


con Marta Cirello, Raffaele Gangale, Dario Garofalo, Luna Marongiu,
Cristina Putignano e Cinzia Maccagnano dom
26 giu 22
TTR - il Teatro di Tato Russo
LUPUS IN
FABULA da
Esopo e Fedro
drammaturgia Tato Russo
con Chiara Meschini e Luisa Stagni


ven 1 lug 22


DOMINAE- la donna nel bel canto
M° Lucia Paradiso - piano
Monica Cucca, soprano - Laura Felice, soprano
Gabriele D’Orazio, baritono
sab 2 lug 22
Mda - Mimo Danza Alternativa
PRESENTE,PASSATO, PASOLINI
… dal Carteggio e Pilade di
P. P. Pasolini
regia e coreografia Aurelio Gatti
musica Marcello Fiorini
costumi Marina Sciarelli Genovese


con Valeria Busdraghi, Lucia Cinquegrana, Elisa Carta Carosi, Arianna Di Palma ,
Matteo Gentiluomo, Polina Lukanska, Paola Saribas e Gipeto,
Chiara Meschini, Sebastiano Tringali


Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma


Comune di Roma – XV Municipio


“Teatri di Pietra ” XVIII ed. Pasolini, sguardo all’antico


MALBORGHETTO


Roma 7-14 luglio - orario 21,00
gio 7 lug 22
Mda Produzioni Danza
PRESENTE,PASSATO, PASOLINI
… dal Carteggio e Pilade di P. P. Pasolini
regia e coreografia Aurelio Gatti
musica Marcello Fiorini
costumi Marina Sciarelli Genovese


con Valeria Busdraghi, Lucia Cinquegrana, Elisa Carta Carosi, Paola Saribas, Matteo
Gentiluomo, e Marco Brancato, Chiara Meschini, Sebastiano Tringali sab 9 lug 22


Teatro Belli di Antonio Salines
DIDONE


di Roberto Lerici liberamente tratto dall'Eneide di Virgilio
con Francesca Bianco e Eleonora Tosto alla chitarra


Matteo Bottini
regia Carlo Emilio Lerici
mar 12 lug 22
Bottega del Pane


DYSKOLOS (LO SCORBUTICO)


di Menandro


adattamento e regia Cinzia Maccagnano


maschere Giancarlo Santelli - musiche Germano Mazzocchetti - costumi Monica Mancini
con Raffaele Gangale, Dario Garofalo, Cinzia Maccagnano, Luna Marongiu, Cristina Putignano


mer 13 lug 22


PICCOLA ORCHESTRA MARMEDITERRA - ENSEMBLE VOCALE ALCANTO


8 VENTI E INFINITI CANTI
ETNO JAZZ MEDITERRANEO
direzione e composizione Vincenzo De Filippo


Marios Panteliadis: pianoforte, Sara Gentile: violoncello, Saverio Frullani : hang drum, Luca Cipriano: clarinetti,
Andrea Filippucci: chitarra, Stefano Napoli: contrabbasso, Stefano Marazzi: batteria


Paolo Monaldi: percussioni
gio 14 lug 22
MSPD Studios - CRDL APS
CARUSO
con Emanuela Bianchini ed i solisti della compagnia Mvula Sungani Physical
Dance musiche Lucio Dalla, Enrico Caruso, Autori Vari
costumi: Giuseppe Tramontano regia e coreografie:


Mvula Sungani


Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’Area metropolitana di Roma,


la Provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale Comune di Sutri


“Teatri di Pietra ” XX ed.


ANFITEATRO DI SUTRI
Sutri 8 luglio - 4 agosto orario 21,00


gio 7 lug 22
Mda - Mimo Danza Alternativa
PRESENTE,PASSATO,
PASOLINI … dal Carteggio e
Pilade di P. P. Pasolini regia e
coreografia Aurelio Gatti musica
Marcello Fiorini
costumi Marina Sciarelli Genovese


con Valeria Busdraghi, Lucia Cinquegrana, Elisa Carta Carosi, Arianna Di Palma , Matteo
Gentiluomo, Polina Lukanska, Paola Saribas, e Gipeto, Chiara Meschini, Sebastiano Tringali


sab 9 lug 22
produzione Xenia
VERSUS DANTE
discesa nella Commedia dantesca


con Agnese Ciaffei, Giacomo De Rose, Carlo Ricci e Carlotta Sfolgori


regia Paolo Pasquini
gio 14 lug 22
Mda Produzioni Danza
TERRA PIATTA/HERATOSTENES


contributo letterario e ricerca storico-scientifica Prof.ssa Michela Costanzi, Prof. Fabio Pallotta


drammaturgia Sebastiano Tringali


regia e coreografia Aurelio Gatti, assistente Rosa Merlino


musica originale Marco Schiavoni
con Chiara Meschini, Gipeto, Sebastiano Tringali


Valeria Busdraghi, Lucia Cinquegrana, Elisa Carta Carosi, Arianna Di Palma , Matteo Gentiluomo,


Polina Lukanska, Paola Saribas
sab 16 lug 22
Teatro della città
FEDRA


di Seneca, traduzione di Maurizio Bettini
regia di Manuel Giliberti
musica Antonio Di Pofi
con Viola Graziosi, Graziano Piazza,
Alessandra Costanzo, Riccardo Livermore, Liborio Natali


dom 17 lug 22
AC Zerkalo
IFIGENIA IN AULIDE di
Euripide, versione italiana di Fabrizio Sinisi
regia di Alessandro Machìa
scene Katia Titolo - costumi Sara Bianchi
con Roberto Turchetta, Carolina Vecchia, Alessandra
Fallucchi e Laura Lattuada , Andrea Tidona


gio 21 lug 22
AssoTeatro
IL CARRO DI DIONISO
da Ettore Romagnoli
adattamento e regia Vito Cesaro
musiche Roberto Marino


con Marco Reggiani, Claudio Lardo, Christian Salicone, Filippo D'Amato


Giuliana Meli e Vito Cesaro
ven 22 lug 22


Compagnia Torino Spettacoli
PROCESSO A UN CITTADINO


scritto e diretto da Piero Nuti da Pro Archia poeta di Cicerone


con Piero Nuti e Elia Tedesco
dom 24 lug 22
Orchestra Sinfonica Santa Croce


Josef Haydn Concerto per violoncello e orchestra in Do maggiore
Franz Schubert Messa in Do maggiore per soli, coro e
orchestra con la partecipazione della violoncellista Leila
Shirvani direttore Arman Azemoon
mer 27 lug 22
Teatro Belli di Antonio Salines
DIDONE


di Roberto Lerici liberamente tratto dall'Eneide di Virgilio
con Francesca Bianco e Eleonora Tosto alla chitarra


Matteo Bottini
regia Carlo Emilio Lerici
gio 28 lug 22
Teatro Hamlet - CTM
EDIPO A COLONO
di Sofocle


traduzione e Adattamento di Gina Merulla
regia di Gina Merulla
con Mamadou Dioume
e sei attori
ven 29 lug 22
Teatro della Città
ARIANNA NEL
LABIRINTO di e regia
Manuel Giliberti musiche
Antonio di Pofi movimenti
Serena Cartia


con Deborah Lentini, Simonetta Cartia, Serena Cartia , Rosario D'Aniello,


Giulia Valentini, Claudia Bellia
dom 31 lug 22
A.ZUCCHI produzioni
I MENECMI di PLAUTO
regia Augusto Zucchi


scene Antonio Fraddosio - costumi Adelaide Stazi
con Dario Riggio, Fernando Masullo, Marco Santolamazza, Giulio Schifi


Antonio Corazza, Floriana Diluciano
e Augusto Zucchi e Anita Torrasi
gio 4 ago 22
Gruppo della Creta
ACARNESI
di Aristofane
regia Alessandro Di Murro


adattamento di Anton Giulio Calenda e Alessandro Di Murro
con Matteo Baronchelli, Alessio Esposito, Amedeo Monda, Laura Pannia


ven 5 ago 22
COMPAGNIA ALMATANZ
IL LAGO DEI CIGNI
coreografie Luigi Martelletta
musiche Peter Ilič Čajkovskij


SINOSSI


“Itaca Deserta Ruggine” di Francesco Randazzo #mar 21 giu 22, Villa di Livia
L’opera poetica vincitrice al Narrapoetando 2020 è scritta da Francesco Randazzo regista e scrittore con diversi riconoscimenti in premi e festival nazionali ed internazionali. Con “Itaca deserta ruggine” l’autore ci porta
per mano nel viaggio di Odisseo, tra le sue amanti e Penelope la moglie desiderata.
Sì perché Odisseo nel suo lungo, interminabile viaggio in mare ne ha avute tante di amanti, ma il suo cuore bramava solo colei che lo attendeva a casa. Ed è abile l’autore a ricordarcele tutte. Iniziando da Calipso ninfa immortale figlia di Atlante che lo tenne con sé per sette anni promettendogli l’eternità, ma Odisseo sentirà comunque il desiderio di tornare ad Itaca. Così fu per Nausicaa dalle membra bianchissime, la cui mano fu offerta ad Odisseo dal padre e ancora la ammaliatrice maga Circe “amata di più non per amore ma per avidità”.
Le amerà tutte e da tutte fuggirà attratto solo da colei che con pazienza lo attenderà, colei che non ha mai saputo amare. E mentre nelle prime pagine del libro Odisseo sembra aver perso la coscienza tra le braccia avvolgenti delle sue amanti, carnali, bianche e morbide, via via scorrendo il libro il protagonista prende consapevolezza del suo desiderio per Penelope il cui dubbio, a causa del tempo perduto, si è insinuato in una frase “che sia solo ruggine”. …. il mito di Odisseo, la sua parte più umana ed il legame tra marito e moglie indissolubili davanti al trascorrere del tempo.


“ANANKE” Orbita e Sfera di Anton Giulio Calenda #mer 22 giu 22, Villa di Livia
“Ananke. Orbita e sfera” si propone di narrare il mito greco attraverso il concetto di “eterno ritorno”.
Se scrutiamo l’orizzonte, siamo davvero sicuri di non poter vedere ancora oggi Odisseo impegnato a navigare il Mediterraneo? E che ne è degli Argonauti? E di Zeus? Non è stato lui a fondare il mito di Europa?
Gli eroi, e le storie che li narrano, vivono ancora tra noi, così come vivevano ieri e faranno domani, e i simboli che rappresentano sono presenti e tangibili e informano il mondo quale noi conosciamo. La storia, le imprese, le guerre, le vicissitudini umane si compongono nella nostra mente come strati geologici, sovrapposti, sparsi, talvolta in ordine, talvolta in disordine. Sta a noi, armati di attrezzi da archeologi, andare a scavare nel mito, recuperarlo, modellarlo, adoperarlo per dare ad esso un senso, per conoscere il presente attraverso ciò che è stato.
È questa la funzione di “Ananke.
Orbita e sfera”. È uno spettacolo, una poesia, un trattato, una performance da cui non emerge alcun protagonista, alcuna voce, alcun personaggio principale; è un luogo fantastico dove la narrazione si dirama orizzontalmente quasi fosse il rapido riflesso dell’eco di un coro antico giunta fino a noi per vie imperscrutabili e sempre tendente a fuggire di nuovo via. Un pianeta obbligato a seguire la propria orbita che si allontana, che si perde nell’universo, e che un giorno lontano vedremo tornare.
“Naufragi” di Maurizio Costanza #gio 23 giu 22, Villa di Livia
Adattamento dal romanzo visionario di Maurizio Costanza, scrittore e pittore, dalle forti suggestioni che rimandano al mito di Odisseo attraverso una narrazione onirica che riecheggia “Le città invisibili” di Italo Calvino. (Editore Le Commari). Regia di Maurizio Costanza, con Simona Ciammaruconi, Massimo Napoli, Daniele Terriaca, Maurizio Costanza.


“Penelope alla peste” di Veronica Passeri #ven 24 giu 22, Villa di Livia
Testo di Veronica Passeri, giornalista parlamentare e scrittrice. Dalla raccolta di testimonianze di quattordici donne coinvolte in prima linea nella lotta alla pandemia, gli sguardi di generazioni a confronto, la resilienza e le speranze, in una reading piena di spunti di riflessione ed emozione. (Editore Castelvecchi) . a cura di Arianna Ninchi, con Chiara Bonome e Arianna Ninchi, musiche a cura di Filippo Trentalance


“Esposito Gabriele portaparola” #sab 25 giu 22, Villa di Livia
di Giorgio Serafini Prosperi
Nel paesino amalfitano di Tramonti la giovanissima Maria resta incinta mentre il suo fidanzato e promesso sposo, Giuseppe, si trova in Germania a lavorare.
Una volta che la notizia della gravidanza di Maria si diffonde, nella piccola comunità paesana, si grida allo scandalo, mentre la ragazza, candidamente, sostiene di aver ricevuto la visita dell’angelo Gabriele e di essere rimasta incinta per “volontà divina”.
A tirare le fila del racconto è Gabriele Esposito, considerato una specie di scemo del villaggio, che si è autonominato postino privato e che arrabatta per vivere portando ambasciate, facendo da paciere nelle piccole liti di paese e consegnando biglietti d’amore segreti, e che da sempre sostiene di essere un Angelo del Signore...


Quando Giuseppe arriva in paese tutto sembra volgere al peggio, ma,
inaspettatamente, crede alla storia di Maria e annuncia che la sposerà comunque. Il che dà adito a tutta un’altra serie di equivoci e di problemi...
Esposito Gabriele, portaparola è una parabola sull’Amore giocata coi toni della commedia, che omaggia il Frank Capra di La vita è meravigliosa, e che trae ispirazione dal bellissimo Il miracolo, di Renzo Rossellini (sceneggiatura di Fellini) con Anna Magnani. Regia di Giorgio Serafini Prosperi, con Carlo di Maio.
PPP PRESENTE,PASSATO,PASOLINI
#sab 2 lug 22, Albano Laziale - #gio 7 lug 22, Malborghetto - #ven 8 lug 22, Anfiteatro di Sutri; L'unica cosa che può contestare globalmente la realtà attuale è il passato. Per fare vacillare il presente basta metterlo a diretto confronto con il passato.
Guardiamo a Pasolini come fosse un tragico greco, sostanzialmente impolitico perché ossessionato, fino alla morte, dall’urgenza delle passioni ancestrali, dai tumulti del cuore, dalle dinamiche esistenziali . Ci riferiamo a un intellettuale critico della modernità perché costante omologazione, attraversato da “fascismi” come abbrutimento e passivazione della ‘massa’, come culto della violenza senza scopo, come conformismo gregario da caserma. Ci si ispira a uno scrittore capace di denunciare un presente che riduce la vita a finzione e predilige le ipocrisie , mostrandone la lacerazione di essere ‘con se stessi e contro se stessi’ . E forse proprio questa attenzione al “sociale dentro e fuori l’uomo” e alla sua contraddizione irrisolvibile, alla ricerca di una comunicazione non linguistica, prelinguistica, là dove il dionisiaco insidia la certezza luminosa di Apollo, esprime la contraddizione tragica del contemporaneo che rende Pasolini attualissimo. Contraddizione come una permanente e irresolubile coesistenza degli opposti … perché “senza contraddizione/conflitto non c’è ‘vita”.
Tutto questo per noi è materia di teatro e sostanza del progetto.
Pasolini, in un tempo molto diverso ma molto preparatorio del nostro, ha sfidato il nulla, ha colto quella riduzione dell’io a soggetto funzionale alla produzione e al consumo, ha espresso la solitudine dell’uomo lasciato solo di fronte a un potere che non sa che farsene del volto umano per la sua programmazione del mondo. È sorprendente scoprire la consistenza e attualità di Pasolini, scoprire quella sua profezia sulla società moderna e contemporanea, le cui conseguenze oggi stiamo vivendo… Foss’ anche, solo, per andare in fondo a quelle stesse domande ed esigenze poste e mai affrontate.
Ed è allora che al coro di Pilade “E’ lui la diversità fatta carne, venuta a fondare nella città una matrice di tradimenti e di nuove realtà? A mettere in dubbio l’ordine, ormai santo, in cui viviamo nel segno della più pura divinità?
Risponde il Vecchio:
Oh, un Diverso, certo. […] La Diversità, appunto. Ma la vera Diversità Quella che noi non comprendiamo, come una natura non comprende un’altra natura. Una diversità che dà scandalo. Quasi a richiamare “…l’eroica vocazione a non arrendersi mai…”
Un progetto di danza, teatro e musica che affronta l'urgenza (e la necessità) di un profondo cambiamento, sociale, culturale, economico, attraverso la visione complessa e poliedrica di Pasolini, poeta e intellettuale multiforme, eclettico, estremamente libero, che ha vissuto immerso nelle contraddizioni del suo presente riuscendo con la stessa lucidità a leggere i segni di scenari futuri e a non distogliere mai l'attenzione dal passato.
La più grande attrazione di ognuno di noi è verso il Passato perché è l'unica cosa che conosciamo e amiamo veramente. Passato e presente convivono in uno sperimentalismo in cui forme, linguaggi e generi suggeriscono la messa in scena come una strategia espressiva per analizzare e riflettere sulla realtà del nostro tempo.
Da Pilade, Affabulazioni , La Rabbia e la Divina Mimesis


DIDONE #sab 9 lug 22, Malborghetto #mer 27 lug 22, Anfiteatro di Sutri
Didone, regina della città fenicia di Tiro, rimasta vedova di Sicheo ucciso da suo fratello Pigmalione, fu costretta a fuggire in Africa dove fondò la città di Cartagine. Nella sua Eneide, Virgilio immagina che Enea, sfuggito alla distruzione di Troia con i due figlioletti e il vecchio padre Anchise, durante il suo lungo viaggio per mare finisca, a causa di una tempesta, contro le spiagge di Cartagine. Accolto con i compagni dalla regina Didone, viene ospitato nella reggia e in breve tempo nasce tra i due un grande amore che sembra preludere a un matrimonio regale.
Dopo una travolgente passione che compromette la sua figura di regina ed esalta la sua verità di donna, viene abbandonata da Enea, spinto da visioni divine a riprendere il mare per raggiungere l'Italia e fondare un nuovo regno. Dopo aver supplicato, pregato e inveito inutilmente, delusa e tradita nelle promesse, non sopportando il dolore e l'offesa, sentendosi ormai straniera in patria e indegna regina, si uccide in un rogo le cui fiamme saranno cosi alte e durature da scolpirsi per sempre nella mente di Enea che si allontana sul mare, maledetto con tutta la sua genia come spergiuro. In questo spettacolo il personaggio di Didone è colto nel momento in cui ha saputo della decisione di Enea di partire negando di avere mai fatto alcuna promessa.
Didone si esprime con una composizione tratta da frammenti del IV libro dell'Eneide in parte liberamente tradotti e in parte recitati nell'originale latino.


“Didone come statua dissepolta, reperto affiorato intatto coi suoi frammenti di versi virgiliani, idea della regalità intangibile, e immagine violata e demolita per un’incauta concessione al troppo umano. Didone come Assoluto del sentimento deluso e violenza oltre la ragione, lo stato, il potere, la dignità, e tutto per essere inutilmente persuasiva. Didone come metafora di una separazione più radicale e catastrofica.
In verità nessuno ha mai amato nessuno, se non l'immagine di se stesso, da disegnare e ridisegnare negli occhi altrui, a costo di morire argomentando di città da fondare e di roghi visibili dal mare in cui bruciare per dispetto, o semplicemente morendo, perché necessario.
Ma si prega di leggere solo l'immagine totale, il senso se c'è, è in se stessa, e la ragione è al margine.”
(Roberto Lerici) DYSKOLOS (LO SCORBUTICO) #mar 12 lug 22, Malborghetto #dom 17
lug 22, Isola del Liri
Il Dyskolos rappresenta la forma più compiuta di quella che è stata definita “commedia nuova” greca: esaurita la critica politica del teatro di Aristofane, Menandro concentra la sua attenzione su temi e rapporti che lasciano ampio spazio alla riflessione, alla morale, potremmo dire borghese, di chi accetta con consapevolezza la propria condizione umana. Protagonista è l’uomo, con i suoi piccoli drammi quotidiani, le sue intolleranze e le sue paure, che lo portano a farsi aggressivo e a chiudersi in se stesso e nella stretta gabbia dei propri interessi.
Ma sorprendente è la modernità di Menandro, che affida a due giovani, il ricco innamorato Sostrato e il povero e dignitoso Gorgia, un atteggiamento rivoluzionario e la capacità di sciogliere il nodo drammaturgico: la vitalità che scaturisce dall’amore e dalla fiducia nel prossimo vincerà la misantropia e consentirà il superamento della diversa condizione sociale, dando vita ad una nuova comunità.
Lo spettacolo utilizza le maschere del maestro Santelli, che riproducono quelle originali del teatro di Menandro, secondo i modelli rinvenuti nella necropoli di Lipari, che diedero vita ad una memorabile edizione all’INDA
(Istituto Nazionale del Dramma Antico) di Siracusa. Un percorso a cui la Compagnia “La Bottega del Pane” si è ispirata sin dalla sua formazione, apportando in questa rappresentazione una nuova inventiva nell’uso delle maschere, sia per quanto riguarda il trucco e il colore, sia nelle innumerevoli possibilità mimiche e vocali.
Sostrato, un ricco giovane di buona famiglia, si innamora di una semplice e bella ragazza di campagna, figlia di un vecchio e bisbetico contadino, Cnemone, con il quale abita. La moglie di lui, infatti, esasperata dal suo
carattere, si è trasferita dal figlio di primo letto, il serio e laborioso Gorgia. Sostrato si conquista l’amicizia di Gorgia e si offre di lavorare nei campi per conoscere meglio il burbero padre della ragazza di cui è innamorato.
Intanto la madre di Sostrato, il servo Geta e il cuoco Sicone allestiscono un sacrificio presso il tempio di Pan, che si trova proprio accanto alla casa di Cnemone; la confusione che ne scaturisce accende l'ira del vecchio misantropo che si rifiuta di prestare la pentola di cui c'è bisogno per l'offerta votiva. Ma la sorte vuole che, nel tentativo di recuperare da un pozzo un secchio sfuggito alla sua serva, Cnemone vi precipiti dentro. Sostrato e Gorgia corrono a salvarlo. Cnemone, dopo il pericolo che ha corso, si mostra più ragionevole e concede la mano della figlia a Sostrato. Nell'entusiasmo del momento Sostrato ottiene dal padre Callippide che la sorella sia concessa in sposa all'amico Gorgia. La commedia si conclude con una doppia festa di nozze a cui tutti i servi trascinano il riluttante Cnemone, ormai arreso all’inevitabile condivisione.
Il Dyskolos rappresenta la forma più compiuta di quella che è stata definita “commedia nuova”: esaurita ormai la critica politica che fu del teatro di Aristofane, Menandro concentra la sua attenzione su temi e rapporti che lasciano ampio spazio alla riflessione, alla morale, potremmo dire, borghese, di chi accetta con consapevolezza la propria condizione umana. Protagonista della commedia è l’uomo, con i suoi piccoli drammi quotidiani, le sue intolleranze e le sue paure che lo portano a farsi aggressivo e a chiudersi in se stesso e nella stretta gabbia dei propri interessi. Ma sorprendente è la modernità di Menandro che affida ai due giovani, il ricco innamorato Sostrato e il povero e dignitoso Gorgia, la capacità di sciogliere il nodo drammaturgico: la vitalità che scaturisce dall’amore e dalla fiducia nel prossimo vincerà la misantropia e consentirà il superamento della diversa condizione sociale dando vita, forse, ad una nuova comunità.
La scelta di utilizzare in questa versione le maschere proprie del teatro di Menandro, che già tante volte la Compagnia ha messo a servizio delle opere plautine, si iscrive in una tradizione che si rinnova ancora unavolta: e nell'affrontare il testo che queste maschere ‘vestono’ con maggiore attinenza, e nell'avere scelto di dare un colore nuovo ai “tipi di Lipari” reinterpretati dal Maestro Santelli, scrostandoli dalle ristrettezze filologiche, cui in ogni caso obbediscono per loro stessa natura, e arricchendoli di un’inventiva moderna, nell’apparenza (trucco e colore) e nella sostanza (parola e movimento).
Il Dyskolos è fortemente legato alla ‘memoria’ della Compagnia, essendo stato spettacolo d'esordio, nel lontano 1995, di quegli allievi attori della Scuola Giusto Monaco dell’INDA di Siracusa, che poi avrebbero creato la Bottega del Pane. Di quel memorabile spettacolo, che portava la firma di Egisto Marcucci, Aurelio Gatti aveva curato un coro ad hoc per un gruppo di giovani attori e Germano Mazzocchetti aveva composto intramontabili musiche, ancora oggi qui riproposte. Protagonisti ne erano Marcello Bartoli, Armando Bandini, Sebastiano Tringali, Dario Cantarelli, Donatello Falchi. Il debutto fu a Segesta. Un esempio di Teatro a cui si è ispirato il gruppo che nel 1996 fondò la Compagnia.


8 VENTI E INFINITI Canti #mer 13 lug 22, Malborghetto


In attesa della presentazione ufficiale dell’esordio discografico della piccola orchestra “Marmediterra” e dell’Ensemble vocale Alcanto, presso il Borghetto Flaminio sarà presentata un'anteprima del progetto discografico intitolato “8 venti e infiniti canti”.
Un progetto fortemente ancorato al territorio, in cui linguaggi musicali diversi si incontrano tra tradizione e contemporaneità. Un concerto di world music che darà un assaggio dell’album 8 venti e infiniti di
prossima uscita, disponibile su tutte le piattaforme digitali da settembre 2022.
Il fulcro concettuale dello spettacolo nasce dalla gratitudine di appartenere a luoghi così ricchi di musica e poesia e soprattutto dal desiderio di aprire gli orizzonti della musica etnica mediterranea al contemporaneo.
Attraverso l’interazione ragionata di generi musicali molto diversi tra loro si cerca di arrivare ad uno stile unitario e vario allo stesso tempo.
Le composizioni originali e gli arrangiamenti eseguiti dalla piccola orchestra “Marmediterra” e dall’Ensemble Vocale Alcanto” partono dalle radici etnomusicologiche del bacino mediterraneo e rivivono attraverso i molteplici piani di interazione ed integrazione che il materiale musicale di partenza offre: le melodie modali vengono arricchite da armonie Etno-Jazz, gli strumenti acustici si alternano e si amalgamano agli strumenti virtuali, le ritmiche dispari e le poliritmie si fondono con l’ossessiva ritualità della taranta, le polifonie rinascimentali si colorano con le sonorità arcaiche contadine registrate in Italia dagli Etnomusicologi Lomax e Carpitella.
La parte testuale del concerto attraversa dialetti e lingue molto diverse: si passa dal Salentino al dialetto corso, dall’ebraico antico al Pomak e al ladino della musica sefardita.
Immaginando di ascoltare il canto e i suoni degli 8 venti che si incontrano sul MARE NOSTRUM le culture si fondono ma non si confondono.
CARUSO #gio 14 lug 22, Malborghetto
“è una catena ormai che scioglie il sangue dint'e vene sai”
In occasione del trentennale dell’incisione di Caruso, brano di sublime ispirazione che ha avuto uno enorme successo internazionale (con oltre cento versioni in altrettante lingue), scritto e musicato dal grande Lucio Dalla e dedicato ad uno dei più grandi tenori di fama mondiale qual è stato Enrico Caruso, il regista e coreografo Mvula Sungani in collaborazione con il Comune di Sorrento, ha ideato e creato per l’étoile Emanuela Bianchini una nuova opera coreografica dal titolo Caruso.
La creazione vuole essere un omaggio all'Italia, a Napoli, a Sorrento e a due artisti che negli ultimi secoli l’hanno resa grande nel mondo: Enrico Caruso e Lucio Dalla. In un momento storico così complesso come quello che stiamo vivendo, diventa ancor più fondamentale conoscere a fondo il proprio passato per costruire un futuro che sia più solido possibile; da questo pensiero nasce il nuovo lavoro di Mvula Sungani. Arie d’opera
con la voce di Enrico Caruso rimasterizzata, canzoni interpretate da Dalla, unite alla musica napoletana contaminata in world music, saranno rese “tridimensionali” grazie all’étoile Emanuela Bianchini e la Mvula Sungani Physical Dance.
Lo spettacolo co-prodotto da CRDL APS, AREALIVE e PDA, è realizzato con il sostegno del Comune di
Sorrento, della Fondazione Lucio Dalla e della Fondazione ILICA di New York.
Emanuela Bianchini nata a Roma, inizia a studiare presso l’Accademia Nazionale di Danza per poi perfezionarsi in Italia e all’estero. Si avvia alla carriera di prima ballerina fin da giovanissima danzando le creazioni di Renato Greco e Maria Teresa Dal Medico. Successivamente diviene artista ospite di molte compagnie dove ha l’opportunità di interpretare le creazioni di grandi coreografi tra cui Robert North e Robert Cohan. Inizia il sodalizio artistico con Mvula Sungani di cui è prima partner per poi divenire sua stella nella maggiori creazioni. L’incontro con la critica Vittoria Ottolenghi, che la considera una delle maggiori stelle della danza moderna della sua generazione, la porta a danzare con Carla Fracci, Roberto Bolle, Eleonora Abbagnato e molti altri grandi artisti. Danzano al suo fianco importanti partner quali Raffaele Paganini, Alessio Carbone, Kledi Kadiu e George Bodnarciuc. Partecipa in qualità di étoile ospite in molte produzioni in Italia e all’estero e in programmi televisivi.
Mvula Sungani
Artista italo-africano inizia con la ginnastica artistica agonistica, per poi studiare in Italia e all’estero danza classica e moderna, esibendosi fin da giovanissimo con Ginger Rogers, Ella Fitzgerald, James Brown, Stevie Wonder e collaborando con artisti quali Franco Zeffirelli, Mauro Bolognini, Jé- rôme Savary, Hugo de Ana. Nel cinema lavora con Nanni Loy e Mario Monicelli; per la tv partecipa a numerosi programmi televisivi. La scoperta a New York della tecnica Horton di Alvin Ailey segna una svolta nella vita artistica di Mvula danzatore e poi coreografo. Inizia a coreografare nel 1992 e fonda la Compagnia Mvula Sungani. La sua prima creazione Tra terra e cielo gli viene commissionata dalla critica e storica Vittoria Ottolenghi. Effettua creazioni per il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala di Milano e per étoiles quali RobertoBolle, EmanuelaBianchini, Raffaele Paganini, Isabelle Ciaravola, Giuseppe Picone, Alessio Carbone. Nella moda collabora con Roberta Di Camerino, Cartier e Marco Coretti; in campo musicale con Marlene Kuntz, Patti Pravo, Fiorella Mannoia, Francesco Renga, Ron, Fabrizio Bosso, Simone Cristicchi, Massimo Ranieri, Antonella Ruggiero, Sergio Cammariere e altri artisti. Per la televisione è regista rvm, autore e coreo- grafo di Rai1 per alcuni programmi tra cui Una notte per Caruso (2009-15) e il concerto di Capodanno dalla Fenice di Venezia (2010-13). Riceve molti premi tra cui la Medaglia di Roma Capitale riservata alle eccellenze culturali, il Crest della Croce Rossa Italiana, “The man of the year” ILICA New York, la Medaglia d’Oro da Claudia Tenney del Congresso degli Stati Uniti


DAPHNE #gio 30 giu 22, Isola del Liri
Il mito di Apollo e Dafne è la storia di un amore mai realizzato., ma anche di un paradosso: Proprio il dio protettore delle arti mediche non riesce a trovare un farmaco per la ferita infertagli da Eros; proprio il nume che conosce presente, passato e futuro, lascia che la sua mente onniveggente sia offuscata dalla tenace passione per la bellissima Dafne, figlia del fiume Peneo e di Gea.
Apollo, nel vederla, se ne innamora, ma la fanciulla, nel vedere il dio, fugge ed egli la invoca …
«Ninfa penea, férmati, ti prego: non t'insegue un nemico; férmati! Così davanti al lupo l'agnella, al leone la cerva, all'aquila le colombe fuggono in un turbinio d'ali, così tutte davanti al nemico; ma io t'inseguo per amore! Ahimè, che tu non cada distesa, che i rovi non ti graffino le gambe indifese, ch'io non sia causa del tuo male!
Quando ormai sta per essere ghermita, Dafne, esausta, rivolge una preghiera al padre (o alla madre), affinché la sua forma, causa di tanto tormento, sia tramutata in qualcos’altro. In pochi istanti la giovinetta si irrigidisce, i piedi divengono radici, le braccia rami, il corpo si ricopre di una ruvida scorza: si sta trasformando in un albero di alloro. Apollo la raggiunge, ma è troppo tardi; riesce appena a rubarle un bacio, prima che anche la sua bocca sia ricoperta dalla corteccia. Questo il mito, narrato da Ovidio nelle Metamorfosi.
Viene naturale prendere le parti di Dafne, che fugge da un accanito e possessivo spasimante, forse intento a soddisfare la sua passione senza tener conto della volontà dell’amata, eppure merita una attenzione la sofferenza di Apollo, il dolore di chi ama senza essere ricambiato..... Il dio potrebbe avere tutte le fanciulle che vuole, ma desidera Dafne, non per un capriccio, ma perché è stato ferito dalla freccia d’amore di Eros. … Non si sceglie di amare e chi amare.
Perché innamorarsi di una creatura che susciterà di certo dolore e rifiuto? Apollo, che può conoscere il futuro, avrebbe potuto prevedere le tragiche conseguenze della sua passione eppure, insegue Dafne. Egli è il dio dell’ordine e del raziocinio, eppure compie atti irrazionali per amore. La ragione viene sconvolta per colui o colei che si desidera ardentemente. L'amore, suscita un sentimento di totalità e interezza, trasfonde nell'idea di armonia, idealizza la vita futura accanto alla persona amata a tal punto da idealizzare l’altro : il rifiuto è quasi un omicidio; è come se la persona amata, respingendo, uccidesse l’immagine ideale che di lei ci si è costruiti,...
Il rifiuto è ingiusto. Saffo, nella celebre ode ad Afrodite, invoca la dea perché ristabilisca gli equilibri e faccia rispettare la legge cosmica dell’amore, secondo la quale chi è amato ha il dovere di ricambiare con altrettanto amore. Il rifiuto costituisce un atto di ingiustizia (adikia).
Nella realtà, però, non c’è alcuna legge che obblighi ad amare.
Se Dafne è una vittima, Apollo non va certo giustificato, ma compatito. Il grande sgomento è che una corsa straordinaria, rocambolesca, meravigliosa viene interrotta - per sempre. Se non importano le ragioni e i disegni di Apollo, ugualmente vale per quelle del rifiuto di Dafne. La corsa di Dafne si è fermata nella preghiera di metamorfosi, di sottrazione della forma , ma anche di sviluppo e dinamica …. e la ninfa che correva ora è solo tronco immobile. Una danza per un mito che, malgrado gli usi e gli abusi funzionali alle diverse mode o epoche, ripropone - integro e autentico il mistero dell’eros.


EDIPO A COLONO #gio 28 lug 22, Anfiteatro di Sutri
“Edipo a Colono” è la Tragedia della Fine.
Edipo ormai vecchio e cieco giunge alla fine del suo viaggio: distrutto dalla Vita, dal Destino, dagli Dei vaga come un mendicante alla disperata ricerca di un Senso.
Questa è la premessa su cui si basa l’intero spettacolo. Edipo non è nient’altro che lo specchio dell’essere umano e ne riflette la natura profonda. Le vicende che vive il nostro protagonista non hanno più significato nella loro dimensione individuale e privata ma devono essere restituite al pubblico nella loro dimensione universale e umana. Edipo è dunque “tutti gli uomini”: la sua storia, le sue azioni, le estreme conseguenze e l’epilogo della sua vicenda riflettono la storia interiore di tutti noi.
La natura oscura, predatoria e violenta dell’Uomo ci dà la misura della sua umanità rendendolo un “Colpevole senza Colpa” e condannandolo al dolore, alla perpetua ricerca dell’espiazione e alla malinconica accettazione della tardiva scoperta di sé.
Da ciò scaturiscono dolorose riflessioni sulla vita, sulla morte, sulla vecchiaia, sulla cecità, sulla caduta, sulla salvezza.


Il pubblico è chiamato ad affrontare un viaggio nell’essere umano accanto a Edipo, dal suo arrivo a Colono fino alla sua discesa negli inferi. Anche lo spettatore si ritroverà “Straniero in terra straniera”, incarnazione di una “Creatura mostruosa” che chiede di essere accolta, personificazione del “Diverso” che desidera solo accettazione, immagine dell'Essere Umano che cerca la salvezza tanto esteriore quanto interiore.
La Regia di Gina Merulla parte dal Teatro di Ricerca per rivisitare e trasformare un Classico senza tempo per mezzo di differenti linguaggi artistici e nuovi codici espressivi derivati dalla contaminazione di Teatro, Musica, Danza e Arti Visive. Gli attori e performers daranno vita allo spettacolo attraverso le meravigliose parole del tragediografo greco e Partiture Fisiche su Musica o Silenzio.
Lo spettacolo è arricchito dall’eccezionale presenza del Maestro Mamadou Dioume, grande artista internazionale già Attore e Collaboratore di Peter Brook fra gli interpreti del capolavoro brookiano “Mahabharata” e di “The Tempest” di Julie Taymor con Helen Mirren.


ARIANNA NEL LABIRINTO #ven 29 lug 22, Anfiteatro di Sutri
Le figure del Mito vivono molte vite e molte morti. Al contrario dei personaggi di un romanzo le figure mitologiche non sono vincolate ogni volta a un solo gesto, avendo molte vite e molte morti, in ognuna di esse risuonano tutte. Il destino di Arianna è doppio sin dall’ inizio. Nipote del Sole Arianna, così come la cugina Medea, si poteva riconoscere per i suoi occhi illuminati da una luce dorata. Al pari della cugina
Medea anche Arianna aiuta uno straniero, da lui viene rapita, da lui viene abbandonata. Gli abitanti dell’isola di Nasso raccontano due versioni della vicenda. A sentir loro sarebbero esistiti due Minossi e due Arianne. La prima sposa Dioniso in Nasso e per volere di Dioniso verrà poi uccisa, l’altra, rapita e abbandonata da Teseo giunge anche essa a Nasso dove morirà e dove è ancora visibile la tomba. Alla prima Arianna morta sull’isola vengono tributati onori, feste e giochi. Alla seconda solo sacrifici di lutto e tristezza. Trafitta da una freccia di Artemis per ordine di Dioniso o impiccatasi a Nasso dopo l’abbandono
di Teseo Arianna dunque deve morire. Come in una preveggenza Arianna guarda la sorella Fedra giocare. Pasifae, loro madre, si impicca.
Fedra si impicca. E infine anche Arianna seguirà la stessa sorte.
Raccontare dunque di Arianna è rappresentare l’infinto sovrapporsi del mito verificandone sincronie e contrasti. Lo spettacolo “Arianna nel labirinto”, attingendo alle numerose fonti che intrecciano diverse narrazioni, vuole raccontare la predestinazione alla quale nessun mortale, seppur nipote del Sole può sfuggire nella tessitura della grande tela del Mito. In scena numerose Arianne rappresenteranno una storia sempre diversa e sempre uguale, la cui sintesi è meravigliosamente narrata da Ovidio nelle sue Heroides, allorché dà voce alle parole con le quali Arianna si rivolge a Teseo:
“Queste mani stanche di percuotere il mio petto colmo di mestizia, io, infelice, protendo verso di te al di là del vasto mare; ti mostro, affranta questi capelli che mi sono rimasti; ti prego, per queste mie lacrime dovute alle tue azioni, volgi la tua nave, Teseo, e torna indietro al mutare del vento; Se io sarò morta prima, tu, almeno, raccoglierai le mie ossa.”


FEDRA #sab 16lug 22, Anfiteatro di Sutri
di Seneca
Quando Fedra osa finalmente dichiarare il suo amore per Ippolito, il figlio di suo marito Teseo, c’è sempre qualcuno che inorridisce. Ecco le parole della nutrice nell’Ippolito di Euripide: «Ohimè, che dici figlia! Tu mi uccidi.
O donne, non vivrò per sopportare ciò che non è sopportabile.
O giorno odioso, o luce odiosa che io vedo.
Precipiterò, scaglierò giù il mio corpo, con la morte mi libererò della vita».
Ed ecco quelle di Oenone nella Phèdre di Racine: «Oh cielo, nelle vene il mio sangue si raggela!
Disperazione! Infamia! Deplorevole razza!». L’amore di Fedra provoca orrore: l’orrore dell’incesto. Ma cosa sta facendo, Fedra, di così grave? La nutrice poi apre davanti a noi uno spiraglio inatteso su un antico sistema di credenze ‘biologiche’ secondo il quale una donna può concepire non da un solo uomo, ma, contemporaneamente, anche da due: e in questo modo ci svela finalmente il mistero della colpa di Fedra. La «confusione» che, secondo la vecchia, si verrebbe a creare nel grembo di Fedra sarebbe ovviamente quella fra il seme del padre e quello del figlio, Teseo e Ippolito, di cui Fedra si appresta a «mescolare» i letti. Che prole potrebbe mai sorgere, se non mostruosa, da una mescolanza fra il seme di un padre e quello di un figlio? Quasi che non una matrigna e un figliastro, ma direttamente un padre e un figlio – complice un «grembo» femminile - si fossero uniti in un incesto inaudito. Con queste poche parole della nutrice, il testo della Fedra raggiunge dunque il massimo della tensione drammatica e, insieme, quello della mostruosità biologica, se così possiamo chiamarla. E’ come se dall’interno del «grembo» di Fedra, osservato con tanta spietatezza, si sviluppasse una spaventosa forza di orrore, una tenebra ancor più fosca e maligna di quella che ha accecato Teseo durante il suo lungo esilio nei regni dell’Ade. Del resto questo è il teatro di Seneca: empietà, orrore, nefas, per lui la natura e l’umana società esistono solo quando sono sconvolte. Per nostra fortuna, all’altro polo di questa torbida vicenda stanno i regni di Artemide, la dea delle solitudini, quella natura pura e selvaggia in cui Ippolito, il cacciatore casto, esercita l’arte di cui è maestro. E sono visioni di acqua cristallina, di prati verdeggianti, di boschi incontaminati, di uccelli canori. Ma nelle tragedie senecane la purezza, quando c’è, è lì solo per essere insozzata. E con altro orrore, e soprattutto emozione grandissima, alla fine della tragedia lo spettatore vivrà la scena del mostro – stavolta una ‘vera’ creatura mostruosa - che sparge di
viscere e sangue umano anche la più deserta delle solitudini.


IL CARRO DI DIONISO #gio 21 lug 22, Anfiteatro di Sutri
Cèrilo,ricco signore siciliano, è innamorato di Asteria ,figlia di Anticlo Principe di Gela. Asteria è la più bella donna Siciliana, bella e altera al tempo stesso, tant’è che la sua alterigia la porterà a giurare: “solo di un Nume io sarò, oppure diventerò sacerdotessa”. Il giuramento viene sentito di nascosto da Cérilo, il quale non vuole rinunciare
ad Asteria e si rivolge a Fliace (Vito Cesaro), direttore di una compagnia di comici girovaghi. Insieme ordiscono un piano sulla base di una antica credenza popolare ,la quale narra che un giorno, Dioniso con al seguito satiri e mènadi, verrà sulla terra con il suo carro a rapire la figlia del Principe di Gela. Infatti, il piano ordito è quello
che, durante la festa del genetliaco del Principe Anticlo ,Cèrilo,aiutato dagli attori Fliaci (dal Greco ϕλύαξ Filìax,ossia chiacchieroni), con il favore di tuoni e lampi finti,apparirà nelle vesti del Dio Dioniso per rapirla…I due, dopo un trambusto generale, rimarranno soli,si parleranno e si chiariranno. Cèrilo scoprirà che Asteria,vuole rimanere sulla terra perché il suo Olimpo è la Sicilia. Solo a questo punto getterà la mascherà… e tutto finirà nel modo da entrambi desiderato. Questo dramma satiresco è riconducibile nella sfera del culto del dio Dioniso, dio dell'estasi, del vino, dell'ebbrezza e della liberazione dei sensi; la commedia antica si caratterizzava per la struttura abbastanza semplice in cui il coro era costituito da elementi travestiti da satiri caprini che si muovevano sulla scena alternando momenti di recitazione teatrale a momenti di vivace danza chiamata sìkinnis. In una felice simbiosi, il dramma satiresco presentava la struttura della tragedia e il colorito
farsesco della commedia. Le storie erano di tipo comico, a volte addirittura parodie di episodi mitologici, che presentavano i satiri nelle situazioni più disparate. Nel dramma satiresco, troviamo dunque aspetti burleschi e grotteschi. Il testo originario,come altri testi teatrali del primo 900 era trascritto in rime. Il lavoro di adattamento dell’opera, nel rispetto del testo originario, lo ha reso più scorrevole,veloce,con battute comiche a chiusura che ne spostano l’asse da dramma in rime a commedia brillante - comica. Sebbene la produzione di drammi satireschi durante l'età classica era molto cospicua, ai giorni nostri è giunto un solo testo integro, il Ciclope di Euripide. A questo si aggiungono alcuni frammenti dei Pescatori di Eschilo e dei Segugi di Sofocle. Il Carro di Dioniso è stato rappresentato per la prima volta a Siracusa nel 1914,scritto da Ettore Romagnoli grecista e
letterato italiano, docente universitario a Catania, Roma e Milano. Romagnoli, divenne celebre come saggista e critico letterario, traducendo con grande perizia critica varie opere greche tra cui, le tragedie di Euripide, Eschilo e Sofocle, le commedie di Aristofane, l'Iliade e l'Odissea di Omero, ed è lui che va il nostro
ringraziamento per questa perla della cultura classica. I personaggi della commedia sono particolari, divertenti, caratterizzati e per certi versi surreali. Si muoveranno in una scena appariscente, sfavillante e colorata. Mi sembra di non aver dimenticato niente, se l’ho fatto mi scuserete. Che dire ancora…
Buon divertimento!


Vito Cesaro


PROCESSO A UN CITTADINO #ven 22 lug 22, Anfiteatro di Sutri
Il concetto di cittadinanza è mobile, si è evoluto e continua a evolversi in relazione al periodo storico, al territorio, alle civiltà e alle istituzioni: si adatta per rispondere ai fenomeni politici, sociali, culturali ed economici.
Variano i contenuti stessi della cittadinanza, in termini di diritti e doveri dei cittadini, e variano i criteri per l’acquisizione della cittadinanza. Dal mondo antico alla cittadinanza globale, le suggestioni sono molte.
Correva l’anno 62 a.C. quando Cicerone assunse la difesa di Archia che era stato attaccato in realtà per interessi politici per colpire indirettamente L. Licinio Lucullo, uomo di spicco e nemico di Pompeo Magno. La famiglia dei Luculli aveva da sempre accolto poeti e filosofi e tra loro figurava anche l'imputato Archia. Il processo fu intentato in seguito all'approvazione della Lex Papia, con la quale si espellevano gli stranieri da Roma e si cercò di far ricadere Archia all'interno di questa categoria affermando che non era in possesso della cittadinanza. Cicerone, vecchio discepolo di Archia, durante la sua arringa presenta come ovvio il diritto di cittadinanza e evidenzia i grandi meriti del poeta, atti a valergli la cittadinanza anche nel caso non la possedesse.
Uno dei temi ricorrenti in modo frequente all'interno dell'orazione è quello dell'humanitas e quelli, ad esso strettamente collegati, degli studia e della concezione del poeta. Infatti questi concetti costituiscono il leit motiv di tutta l'orazione, sia perché si tratta di un processo intentato contro un poeta, sia perché la lunga digressio è, in sostanza, la celebrazione dell'humanitas. Appare evidente da un attento esame dell'orazione che Cicerone consideri il processo contro Archia come un processo contro l'humanitas. Questa orazione vuole sottolineare l’importanza per ogni uomo di crearsi un solido bagaglio culturale e una buona padronanza dell’arte della parola, che sono competenze essenziali per i cittadini romani, soprattutto per coloro che intendono svolgere un’attività pubblica. Un testo che è una miniera e una scoperta.


VERSUS DANTE #sab 9 lug 22, Anfiteatro di Sutri
Lo spettacolo, già realizzato per gli Istituti Italiani di Cultura di Barcelona, Beograd, Budapest, Madrid e, in Italia, a Genova, Roma, Lecce, Chiaromonte, Sessa Aurunca, S. Maria Capua Vètere e Teano, è stato adattato in occasione dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri per quattro giovani attori premiati nelle dieci
edizioni del Festival Dantesco Nazionale.
Versus Dante è dedicato al mistero.
Alla partita fra mistero e nulla. Fra divino e selva.
È una discesa in dieci tappe.
Tre dal Paradiso. Tre dal Purgatorio. Tre dall’Inferno. Più l’Epilogo.
Dante incontra Beatrice, San Pietro, Casella, Francesca e Capaneo, con Virgilio accanto, fino all’ultimo. Nel suo viaggio in cerca della verità è soprattutto occhi, come Edipo: fra miraggi, cecità, nitide visioni.
E attraversa le tre grandi crisi fra l’umano e il divino presenti nella Commedia: l’invettiva di San Pietro in Paradiso,le domande scandalose dell’apostrofe all’Italia in
Purgatorio e infine Capaneo, tra i bestemmiatori, in Inferno.


IFIGENIA IN AULIDE #dom 17 lug 22, Anfiteatro di Sutri
Prime note di regia
Ultima della tragedie euripidee, rappresentata postuma nel 399 a.C. in un periodo di profonda crisi del modello della pòlis greca – di lì a poco ci sarebbe stata la disfatta di Atene contro Sparta e la fine di un modello politico e democratico; Ifigenia in Aulide è una tragedia ambigua in cui, come nell’Alcesti, si mette in scena un sacrificio e una morte che
poi si rivelerà apparente. Gli dèi di fatto non ci sono più, il tragico sembra sfarinarsi per assenza di eroi che in Euripide sono solo uomini lacerati, deboli, mutevoli, che agiscono in base ai loro desideri e alle loro paure, lontani anni luce sia dal modello omerico che da quello eschileo. A dominare è la ragione strumentale e il discorso politico del potere.
Emblematico, in questo senso, è il trattamento che Euripide fa di Achille, eroe demitizzato, quasi un personaggio comico, incapace di corrispondere al suo stesso mito originario, che non agisce, evita lo scontro con i soldati, facendosi sofisticamente paladino della persuasione e del dialogo, pur ripetendo – quasi volesse essere quell’Achille omerico che Euripide non gli permette di rappresentare - che lui salverà Ifigenia. Come quando dice a Clitemnestra: « Ti sono apparso come un dio e non lo ero. Ma lo diventerò ». La crisi del sacro in Euripide emerge anche dalla figura dell’indovino, qui considerato dai protagonisti alla stregua di un volgare ciarlatano, di un imbonitore funzionale a tenere a bada la massa.
In questo primo studio, ho voluto seguire il trattamento euripideo del mito cercando di far emergere la violenza che abita il testo e le contraddizioni di personaggi, che Euripide presenta come “umani troppo umani”; la loro inadeguatezza al mito, l’abisso del privato al di sotto del mascheramento della parola pubblica, l’ambizione, la doppiezza. Tutto è ambiguo, apparente, a cominciare dal dialogo iniziale tra Menelao e Agamennone, da cui emergono due figure deboli, mediocri e velleitarie, che si scambiano accuse dicendo la verità l’uno dell’altro.
Euripide crea una tensione tra il mito e la realtà, utilizzando il primo come mascheramento della seconda: così, in questa versione del mito degli Atridi, Agamennone non è solo costretto dagli eventi a sacrificare Ifigenia,
dall’inconciliabilità tra essere re ed essere padre; Euripide, con grande conoscenza delle contraddizioni che abitano l’umano, mette a fuoco il desiderio di potere del re, l’ambizione personale a cui però non corrisponde una piena consapevolezza del prezzo da pagare, sempre comicamente in bilico tra ambizione e paura, tra desiderio e incapacità d’azione.
L’abbassamento di tutti i personaggi della tragedia è funzionale all’innalzamento della giovane Ifigenia, “nata forte”, che decide di sacrificarsi, di accettare e addirittura di volere il destino che è stato scelto per lei dal padre, in un trionfo di amor fati che solo può riscattare dalla febbre fagocitante che qui prende tutti i personaggi della tragedia – compresa Clitemnestra - qui lontanissima dalla donna implacabile e inconciliabile, descritta nell’Orestea di Eschilo. Nell’esaltazione finale nella quale Ifigenia accetta la sua morte, c’è l’assunzione piena del punto di vista del padre Agamennone e del maschile, ma non per debolezza: accettando e decidendo la sua morte Ifigenia si individualizza, esce dall’indistinzione diventando “qualcosa” nella morte imminente, un comandante lei stessa, sollevando allo stesso tempo il padre amato dalla piena responsabilità del sacrificio.
Una scelta netta della regia è stata quella di recuperare nell’esodo, considerato spurio, l’ipotesi che a raccontare della sostituzione di Ifigenia con una cerva non fosse un messaggero ma il deus ex machina della dea Artemide. Nello specifico, ho voluto affidare il racconto dell’apoteosi della giovane a un’altra giovane donna, velata: una Straniera, volutamente interpretata dalla stessa attrice che interpreta Ifigenia, in modo da suggerire un cortocircuito emotivo (la voce della Straniera è la stessa voce che il pubblico ha ascoltato per più di un’ora solo il volto è interdetto dal velo) e allo stesso tempo svelare la natura convenzionale del deus ex machina euripideo, suggerito dalla stessa battuta finale di Clitemnestra quando dice: «come non dire che sono solo favole senza fondamento per farmi smettere di piangere a lutto per te?». Poco importa se la giovane si è davvero salvata all’ultimo istante, il tragico si è già pienamente dispiegato nella sua natura inemendabile, ed è passato all’interno della coppia, nella sfera borghese, segno di come la tragedia euripidea si sfaldi durante il suo farsi e annunci quasi il dramma borghese. Il finale, in cui Agamennone e Clitemnestra, marito e moglie stanno faccia a faccia, spogliati dagli abiti tragici è il compimento - che la regia ha voluto attuare - di questo slittamento dalla tragedia al dramma.


Alessandro Machìa


INFINITI MONDI #dom 3 lug 22, Isola del Liri
Gli costò il rogo, ma il suo ostinato indagare seminò l’idea di una molteplicità di genti, pensieri e mondi coesistenti nella contemporaneità del tempo. Solo dopo, Giordano Bruno è divenuto il simbolo della massima libertà d’espressione per la quale si dispose a morire. Forse allora il pensiero iniziò una nuova vita, che poi sarà chiave di volta della coscienza morale moderna. Eppure ora che abbiamo prove non solo di innumerevoli soli, ma di probabili mondi, che viviamo in un’era capace di connettere ogni singolo individuo in qualsiasi regione si trovi, quella auspicata coscienza di essere parte significativa di un unico grande tempo-azione sembra sfumare.
E se infiniti sono i Mondi e le galassie, l’uomo non può essere il privilegiato del creato.
Tantomeno lo è un unico popolo, appartenente alle molteplici e poliedriche razze umane. …
Si ha la sensazione che il lascito di Giordano sia sfigurato in una speculazione tuttologa dai tratti indistinti. Il frate Nolano, capace di attraversare tutta l’Europa culturale del suo tempo, di affrontare papi e re, oggi rischia di essere ridotto ad icona tra il gotico e l’esoterico. La forza e la novità della sua ricerca, in bilico tra l’ intuizione e la teoria, stava nell’affermazione di un paradigma culturale in cui la “prova” era importante ma comunque successiva alla visione.
Cosa fa di Giordano Bruno materia di teatro?
Oltre “Il Candelaio” e l’incontro con letterati e scrittori tra cui Shakespeare , è quella «filosofia virile e impaziente tutta piena di ‘furor eroico’ per la ricerca del vero, e di ‘fastidio’ per i perditori di tempo» che fa di Giordano Bruno argomento e ingrediente del Teatro.
L’urgenza di fronte all’evidenza, l’irrefrenabile sete di indagine, la forza di scolpirsi addosso quesiti e sentimenti, anche contrastanti, a costo di perdere ogni salvifica soluzione.
Da qui una filosofia e una azione che scompaginano ogni tradizione e consuetudine mettendo al centro l’individualità e la natura di ogni singolo elemento. Riportando ogni più piccola cosa (minuzzaria) alla concretezza della Materia «generatrice e madre di cose naturali, anzi la natura tutta in sustanza».
Giordano è materia, quella stessa materia che per il Nolano è il principio, la verità dell’essere-tutto, nel pluralismo delle sue infinite possibilità di esistenza. Essere-Materia-Natura. Sostanza e Struttura del Tutto.
Composizione e scomposizione continua di aggregati di atomi.
Questa sapienza/conoscenza del proprio compito e del proprio destino , la percezione del Tutto, il suono dello straordinario divenire che si compone nel presente e del presente , nel nostro tempo è una maledizione.
Questa nostra epoca così dedicata alla “specialistica funzionalità” dei suoi viventi, capace di trasformare esperienze plurali in una tabella di metadati, di ridurre sino all’estinzione ogni materia/umanità non utile, è l’habitat in cui oggi si troverebbe a confrontarsi il Nolano.
“Maleritto me” è il mantra di INFINITI MONDI: non una invocazione ma una sommessa e dolorosa affermazione che si perpetua ….. in scena il Maledetto – Mario Brancaccio , e la danza degli Infiniti Mondi.


LUPUS IN FABULA #dom 26 giu 22, Albano Laziale #mar 12 lug 22, Isola del Liri
E in un tempo di sgomenti: ancora si dice il lupo avere potenza, col suo sguardo, di fare alli omini le voci rauche... Leonardo da Vinci Nell’assenza di “tempi dedicati” in cui fare muovere e transitare significati diversi da quelli dell’effimero e dell’edonistico esaltarsi nell’intrattenimento, pian piano è emersa la necessità di creare legami sociali di tipo nuovo, nuove modalità di stare insieme e di ripensare la socialità e soprattutto i luoghi che possano accoglierla …. È questo il contesto che ha aperto la strada a “Lupus in Fabula”, l’occasione per raccontare vicende esemplari in luoghi esemplari : l’attore che racconta una vicenda entro uno spazio particolare, teatro o piazza non importa…. ed ecco sorgere la fabula. Nell’antichità il termine designava qualsiasi rappresentazione teatrale tragica o comica e il teatro era l’espressione del momento collettivo…
Teatro e “fabula” hanno sempre convissuto, fin dal sorgere del teatro stesso, «la narrazione, il gioco, il rito» ripeteva più volte Grotowski. Nell’epoca digitale, raccontare le favole – a bambini o adulti che siano , sembra essere una pratica sempre più rara e addirittura ci si interroga, se questo narrare storie prese dal passato, possa nuocere alla visione della realtà, suggerendo uno scontro tra concretezza e visione. Si delega a nuovi strumenti, (appunto digitali…) fare da tramite tra la realtà e la fantasia. In questo modo però, si perde quel momento intimo che si viene a creare tra l’uditore e l’attore che racconta, si annulla un momento molto importante, magico: “l’anima desidera risposte immaginative che la muovano, la delizino, la sprofondino” (Hillman) e “la mente è fondata sulla sua stessa attività narrativa, nel suo fare fantasia. Questo fare è poiesis che significa propriamente “il fare dal nulla” ..
Pensare a “Esopo” non come un individuo storico, ma come il simbolo di un’antica sapienza popolare, che perdurò nei secoli e viva ancora oggi, consente di fare della fabula una scrittura teatrale. Le favole esopiche di diversa mano, epoca, redazione sono come un corpus omogeneo, che riflette un giudizio comune verso un dato comportamento di animali, dèi, esseri umani tanto da crearne personaggi . Esopo forse non inventò tutte le favole. Nondimeno, ciascuna di loro può essere qualificata a buon diritto come “esopica”.
La favola è un breve racconto caratteristico tanto della cultura occidentale quanto di quella orientale; in essa agiscono per lo più personaggi animali, dietro i quali è agevole individuare altrettante tipologie di comportamento umano. Attraverso la piacevolezza della narrazione l’apologo persegue una finalità gnomica, suggerendo una condotta di vita all’insegna della prudenza, della laboriosità, della coscienza dei propri limiti.
Nella tradizione occidentale la favola si lega indissolubilmente al nome di Esopo, enigmatico personaggio vissuto tra il VII ed il VI sec. a.C. al quale viene attribuita la codificazione del genere, nonché la sua autonoma affermazione nel panorama letterario. Il nutrito corpus di racconti ascritti a questa figura leggendaria viene successivamente rielaborato ed ampliato da autori più tardi (Fedro, I sec.d. C; Babrio, II sec. d.C. Aviano, IV sec. d.C).
La tradizione iconografica connessa al nome di Esopo procede, tanto nel mondo antico quanto in quello moderno, lungo due filoni paralleli: da una parte ci si confronta con reperti incentrati sul personaggio del favolista e sugli aneddoti della sua vita, tutti all’insegna di un’irriverente saggezza; dall’altra con testimonianze relative alle favole. Queste ultime conoscono una maggiore fortuna nell’ambito dell’età medievale, che ne apprezza il carattere fantasioso, allegorico ed edificante; sono oggetto di rinnovato interesse, infine, nel mondo rinascimentale, allorché, accanto alla drastica selezione di racconti sopravvissuti durante l’età di mezzo, si fa progressivamente strada il recupero dell’originario repertorio in lingua greca.


ORESTEA_agamennone+coefore # sab 25 giu 22, Albano Laziale
L’Orestea è prima di tutto un epocale disegno drammaturgico in grado di raccontare la fine dell’ineluttabile. Agamennone uccide Ifigenia. Clitennestra uccide Agamennone. Oreste uccide Clitennestra.
Ma nessuno uccide Oreste. Ciò non significa che Oreste non paghi pegno, tutt’altro. La Ragione (Atena) gli offre certamente una chiave di salvezza, sostituendo il tribunale degli uomini alla teodicea; ma questo gli toglie il fiato. La stessa cosa che accade a un bambino quando nasce. L’eccesso d’aria rischia di soffocarlo.
Perciò piange. E piange Oreste, su cui pesa un Passato che non c’è più, arcaico ma sicuro; e dentro cui scalpita una Realtà incerta, a cui è impreparato, la cui rappresentazione è migliore dell’originale; una Realtà su cui la Ragione ha perso il controllo. Qual è dunque il pegno da pagare per Oreste? Non essere.
Né com’era, né come avrebbe dovuto. Essere in bilico. In una rabbiosa e straziante infelicità.
La pàrodo dell’Agamennone, il lungo coro degli anziani di Argo, disegna i confini dello spettacolo: gli attori indossano maschere d’ispirazione espressionista, che portano lo spettatore ora allo stupore, ora allo sgomento, e quando se ne liberano, ne scoprono altre dall’aspetto più arcaico, quasi dei totem, che rivelano i personaggi di Clitennestra, Agamennone, Cassandra ed Egisto.
Tutto il racconto dell’Agamennone dunque si svolge come una grande rappresentazione, un rituale che riporta alla memoria i fatti da cui poi muoverà l’azione di Oreste. Nelle Coefore il registro cambia, finisce la rappresentazione, spariscono le maschere, e i giovani, Oreste, Elettra e Pilade, si mostrano così come sono, deformati solo dal furore. Anche il ritmo cambia, non più cadenzato, scandito dal procedere della trama,
precipita, seguendo l’urgenza di agire per liberarsi da un ordine antico che non trova più riscontro nella Realtà. I giovani detronizzano, sovvertono, uccidono. Orfani di un senso della storia, mossi da una “irragionevole rabbia”, si ritrovano smarriti in un mondo di cui non riconoscono più il senso del Passato e sperimentano l’incapacità della Ragione di farsi ancora guida sicura.
«L'artigianalità si vede, si sente nelle movenze, nella costruzione delle scene, nell'impianto registico, nella forma funzionale al testo, nell'approccio, nei costumi, quell'artigianalità che ci porta dentro il teatro di giro, dentro le ditte, dentro il fare di mani che vanno di pari passo con le idee. […] Un coro di maschere che, con lo svolgimento della pièce, prendono corpo e vita, assumono sembianze riconoscibili, ci parlano ruffiane, ci interrogano, ci bisbigliano: la mano nel doppiopetto come Napoleone, le scarpe dai colori sgargianti tambureggiando in danze rituali». Tommaso Chimenti


L’Orestea è prima di tutto un epocale disegno drammaturgico in grado di raccontare la fine dell’ineluttabile. Agamennone uccide Ifigenia. Clitennestra uccide Agamennone. Oreste uccide Clitennestra. Ma
nessuno uccide Oreste. Ciò non significa che Oreste non paghi pegno, tutt’altro. La Ragione (Atena) gli offre certamente una chiave di salvezza, sostituendo il tribunale degli uomini alla teodicea; ma questo gli toglie il fiato. La stessa cosa che accade a un bambino quando nasce. L’eccesso d’aria rischia di soffocarlo. Perciò piange. E piange Oreste, su cui pesa un Passato che non c’è più, arcaico ma sicuro; e dentro cui scalpita una Realtà incerta, a cui è impreparato, la cui rappresentazione è migliore dell’originale; una Realtà su cui la Ragione ha perso il controllo. Qual è dunque il pegno da pagare per Oreste?
Non essere. Né com’era, né come avrebbe dovuto. Essere in bilico. In una rabbiosa e straziante infelicità.
La pàrodo dell’Agamennone, il lungo coro degli anziani di Argo, disegna i confini dello spettacolo: gli attori indossano una maschera tragica, arcaica, mostrano un’espressione che sembra scolpita nel dolore per sempre; e quando se ne liberano, ne scoprono un’altra, più moderna, che rivela i caratteri particolari dei personaggi: Clitennestra, Agamennone, Cassandra ed Egisto.
Tutto il racconto dell’Agamennone dunque si svolge come una grande rappresentazione, un rituale che riporta alla memoria i fatti da cui poi muoverà l’azione di Oreste. Nelle Coefore il registro cambia, si fa più contemporaneo, finisce la rappresentazione, spariscono le maschere, e i giovani, Oreste, Elettra e Pilade, si mostrano così come sono, deformati solo dal furore. Anche il ritmo dello spettacolo cambia, non è più cadenzato, scandito dal procedere della trama, ma precipita, seguendo l’urgenza di agire per liberarsi da un ordine Antico che non trova più riscontro nella Realtà. I giovani detronizzano, sovvertono, uccidono. Orfani di un senso della storia, mossi dalla “irragionevole rabbia”, si ritrovano smarriti in un mondo di cui non riconoscono più il senso del Passato e sperimentano l’incapacità della Ragione di farsi ancora guida sicura.


I MENECMI #dom 31 lug 22, Anfiteatro di Sutri
Shakespeare e Goldoni con I Gemelli veneziani e la Commedia degli errori si sono ispirati a Tito Maccio Plauto, il primo drammaturgo che ha raccontato la storia di due gemelli, che dopo essere stati separati neonati, si ritrovano in età matura, identici anche se caratterialmente opposti e la loro somiglianza ingenera una serie di ambiguità ed equivoci fra amici e parenti. Il doppio e l’equivoco sono alla base del teatro. Noi abbiamo trasferito la commedia ai giorni nostri ambientandola in un campo Rom.


ACARNESI #gio 4 ago 22, Anfiteatro di Sutri
La guerra non è mai un bell’affresco ma è sempre una rappresentazione di laceranti disumanità, volti terrificanti, espressioni prive di umanità. E’ un palcoscenico vuoto senza attori. Così è, così è stato, sul sarà dobbiamo sempre sperare.
Aristofane con la sua ironia tragica e parossistica tratta negli Acarnesi uno dei grandi temi che caratterizza tutta la sua opera: la pace. Ma la pace concreta, non quella utopistica della tradizione. Per Aristofane la Pace non è uno stato di calma mortifera ma di festa dionisiaca. Nel suo mondo si mangia e si beve, si fotte e si sfotte. Il bersaglio sferzante del riso e del divertimento è la meschinità di chi con la guerra specula e il pianto è concesso solo ai poveri soldati che vanno a morire sui campi di battaglia.
Il coro degli Acarnesi, vecchi eroi di una guerra lontana, inizialmente disprezza Diceopoli, protagonista della commedia, il quale, in autonomia, ha stipulato la pace con la nemica Sparta. Ma i vecchi, scena dopo scena, si lasciano convincere e comprendono che la pace è l’unica vera gioia per cui combattere.
Nel testo si parla continuamente di un nemico esterno che nei fatti risulta indefinito ed invisibile. Tutti attribuiscono a Lui la colpa del male che li affligge. Ma il nemico non appare, non è in scena, per il semplice fatto che un nemico vero e proprio non c’è.
Ci sono, invece, le dinamiche politiche che dalla presenza di un “nemico” possono sempre trarre vantaggio e cioè: i delatori, gli ambasciatori corrotti, i mercanti di morte, i generali ambigui, gli spioni, i traditori e tanti altri (quanta attualità in queste invenzioni). Il nemico, quello “Utile”, sa trasformarsi e sopravvivere nei secoli: non viene mai sconfitto. Quel nemico è giunto fino a noi in gran forma e in forme diverse, forme aliene sempre in grado di confondersi alle paure più profonde, radicali e inconsce degli uomini. Il nemico appare sempre pronto a minacciare ciò che amiamo.
Quindi, poiché il nemico esterno non lo si può efficacemente combattere, in ogni società v’è bisogno di un agnello sacrificale (per dirla alla René Girard) o di un gruppo interno alla comunità che sacrifichi una parte di se per salvare la collettività tutta. In Acarnesi il conflitto non nasce contro il nemico esterno, con cui alla fine della prima scena il protagonista stipula senza difficoltà la pace, ma è insito nella società stessa, nella polis, tra i propri simili, nei vicini, insomma nel demos. Sono le fazioni opposte che confliggono all’interno della società che nel testo cercano di elidersi, sopprimersi e scannarsi. Solo apparentemente la pace da stipulare è quella con l’odiata Sparta. La vera pace è quella da costruire all’interno della propria comunità. Da qui l’insopprimibile desiderio di demolire, ridere ed esorcizzare la vacuità della nostra politica con spirito di festa, quasi, “dionisiaca”. In scena quattro poliedrici attori che attraverso un gioco continuo di cambio di identità e ruoli,
celebreranno la commedia classica amplificando e a volte deformando lo spirito originario della commedia aristofanea. Macchine teatrali saranno i costumi che daranno vita ai personaggi e costruiranno la moltitudine del coro degli Acarnesi. Un senso di ingiustizia verso il nostro tempo ci spinge ad affrontare la messa in scena di questa commedia antica. Ci irrancidiscono le notizie, che proprio nei giorni in cui ci prepariamo a costruire lo spettacolo, ci riportano di venti di guerra all’interno dell’Europa.


Le tristi notizie che tartassano i nostri cellulari e una sempre crescente sensazione di inadeguatezza ci pervade e ci ferisce. In comune accordo con la compagnia abbiamo deciso di affrontare questo senso di disorientamento non attraverso un grido di rabbia o di violenza ma con lo scherno, il riso e la burla. Come Diceopoli, anche noi, sentiamo il bisogno di agire sulla realtà, di invertire la marcia e di declamare il nostro desiderio di pace, sebbene sia solamente una pace privata.
Negli Acarnesi, invece, ci sembra di intravedere quella generazione del boom economico e quella subito successiva, che hanno vinto la grande sfida della ricostruzione. Una generazione in cui scorgiamo un infiacchimento, non per questioni anagrafiche, ma a causa della delusione per un mondo che ormai corre troppo veloce per loro. Queste due generazioni a confronto, quella dei giovani che desiderano costruire la loro realtà e quella di coloro che sentono che la propria vita sia stata dimenticata, sono una fotografia perfetta del nostro paese.
C’è un senso di vergogna che proviamo verso ogni forma politica che cerca di gestire la cosa pubblica. Questa insoddisfazione dovrebbe farci reagire ed invece ci rende solamente più delusi e depressi. Per questo lo spettacolo invita il pubblico a destarsi dal torpore attraverso la risata e la gioia. Perché è sconsolante pensare che ancora oggi le dinamiche che denuncia Aristofane non siano affatto cambiate. È vero che i classici sono tali perché racchiudono in sé delle verità eterne, ma che l’umanità continui a massacrarsi tra simili e tra diversi è una constatazione avvilente.


IL LAGO DEI CIGNI #ven 5 ago 22, Anfiteatro di Sutri
Lo spettacolo nasce da un’idea che da molti anni il coreografo Luigi Martelletta inseguiva e desiderava mettere in scena, la sua lunga ed intensa carriera come primo ballerino al Teatro dell’Opera di Roma ed in tanti altri teatri Italiani ed Europei gli ha permesso di studiare, danzare ed esaminare molte volte questo spettacolare balletto. La coreografia originale del repertorio classico infatti non ha mai sottolineato alcuni aspetti del libretto, che però in questa versione vorremmo analizzare e sviscerare; la drammaturgia classica dell’azione coreografica - teatrale del balletto infatti, è abbandonata a favore di una forma di riappropriazione della realtà e dell’esperienza comune basata sui particolari e sulle singole situazioni riunite tra loro in collage ampi e sfaccettati, secondo una metodologia di lavoro di ricerca e di graduale progresso. Fortemente legato alla tradizione accademica, Luigi Martelletta proporrà un lavoro stilisticamente più snello, più vivace, alleggerendo tutti i manierismi e le pantomime che fanno parte del repertorio classico, ma che ormai risultano inutili, pesanti e noiose.
Non mancheranno però tutte quelle danze e quell’itinerario danzato che molti conoscono e si aspettano: i cigni, la danza spagnola, la danza russa, il valzer, i passi a due, e molto molto altro.
Legato alla tradizione accademica il coreografo attingerà alle risorse esteticamente più vitali plasmandole però in un linguaggio personale disponibile allo spirito nuovo della danza neo classica, rivisitando l’accademismo senza unilateralità stilistica. Il racconto si svolgerà con la tradizionale musica composta da Pëter Ilič Čajkovskij ma saranno numerosi gli inserti di altri autori classici e tra questi un ruolo fondamentale l’avrà il compositore e musicista Alessandro Russo, questo artista tratta la musica come un elemento vivo e naturale che non rappresenta soltanto una base, un supporto dei movimenti, è la materia che genera gli impulsi dinamici, è l’elemento primario della composizione coreografica che appare sempre direttamente “prodotta” dalla musica, e non sovrapposta ad essa.
Questo balletto è autenticamente una creatura di oggi, del presente, con tutto quello che ciò comporta.
La particolarità di questo spettacolo consiste proprio nella capacità di unire fantasia e realtà, di proporsi vivo e attualissimo, pur dimorando in un suo pianeta espressivo che sa di già vissuto. L’ideale neoclassico di una bellezza assoluta, regolata da un ordine imperturbabile, è l’obiettivo totalizzante della creazione.


TEMPESTA #gio 23 giu 22, Isola del Liri - # ven 24 giu 22, Albano Laziale
Una «tempesta» di emozioni che coinvolgono gli spettatori trasportandoli simbolicamente su quelle carrette del mare, immersi nel buio, in balia delle onde, dove gli attimi diventano l’eternità. Memorie di una vita
vissuta mai abbastanza, interrotta dalla tempesta di ricordi che si mischiano inutilmente alle speranze. Un futuro negato.
Il respiro silente del mare è filo conduttore della «Tempesta». La via del mare, la via della speranza, il nubifragio, la tempesta, la costa che è ancora lontana. La morte.
Ritrovare parallelismi, non lontani, tra poesia con la cronaca e l’attualità, non stupisce : così anche nel viaggio di un Grande Classico come l’Eneide, ci si incontra col tema dell’immigrazione : un gruppo di pagani che sfuggono da un’invasione vera e propria (la guerra dei Greci contro Troia), perpetrata con violenze di ogni genere fino ad operare una vera e propria sostituzione etnica.
L’Eneide inizia con una tempesta: e non una tempesta qualunque, ma un perfect storm virato sul mito, un’arcitempesta in cui tutti i venti a disposizione di un dio intervengono a recare la maggior devastazione possibile. Quella tempesta rispecchia in fondo qualcosa che l’uomo/Enea ha dentro: è l’epifania di un punto di rottura interiore, e quel gridare dell’uomo/eroe è rivelante.
Il mare, la sua vastità, il suo respiro... il silenzio che ne compete. Non più storie di uomini e il mare, ma l'emozione di un “Mare” non più vita, non più incontro o prospettiva. Un percorso di sola lirica E stupefazione in cui i ricordi si mescolano con la memoria presente e l'intuizione del tutto.


L'attore così diventa il luogo e lo spazio di “ Transito” di infinite vicende... mentre la danza respira l'immanenza di una vita desiderata e “ mai più vissuta abbastanza”.
…. I remi si spezzano, la prua si rivolta, offre all’onde il fianco: gli corre incontro il monte d’acqua scrosciando.
Pendono questi in vetta al flutto, a quelli l’onda, che piomba, apre tra i flutti la terra, schiuma e sabbia ribollono.
…. un maroso investe a poppa: ne balza via il timoniere e a capofitto precipita; l’onda tre volte fa roteare la nave, il vortice avido l’inghiotte nel mare. Si vedono corpi nuotare
dispersi pel gorgo funesto, armi guerriere, e tavole, e teucri tesori fra l’onde.


TERRA PIATTA #gio 14 lug 22, Anfiteatro di Sutri
Proprio nel nostro Occidente ipertecnologico e progredito sta ritornando un pensiero magico e fanatico che muove l’onda di irrazionalità che si nutre e cresce nella convinzione che le proprie aspettative siano state “tradite”. La diffidenza verso la scienza è una conseguenza : già perché tante sono le istanze e le richieste da soddisfare e la scienza umana non è quella dalle risposte immediate, con soluzioni certe e infallibili: essa procede piuttosto per “prove ed errori”. Quindi ha bisogno di tempo, ha bisogno di sbagliare per avanzare e deve continuamente sperimentare.
E questo “tempo” non le è concesso perché si vuole tutto, subito e anche definitivo, foss’anche per tornare alla "normalità" del prima.
La fuga nell’irrazionale è l’inevitabile esito di infinite aspettative soggettive insoddisfatte, pur essendo legittime in quanto nate e alimentate dalle stesse promesse di quell’ordinamento “produttivo” che ha governato dal dopoguerra ad oggi . Ordinamento che ora mostra un chiaro affanno.
Tante le avvisaglie… la recrudescenza di fondamentalismi religiosi, culturali ,di genere e razza, il timore/angoscia dell’altro, l’abuso della discontinuità come metodo per riaccendere dinamiche assenti su argomenti importanti come il sociale, la formazione, la cultura e la politica.
Tutto questo già prima della Pandemia. Erano la spia di qualcosa di più profondo, eppure frettolosamente catalogato come “espressione della società liquida” . Poi l’interruzione forzata di ogni attività e l’isolamento hanno preparato il terreno per una fuga fatale nel pensiero stregonesco, sciamanico, che si offre come interprete e decifratore del senso oscuro della realtà e del presente. Dal disagio al rancore e al sovranismo psichico il passo è breve. Oggi più tangibile perché si manifesta nel gran rifiuto del discorso razionale e di tutti gli strumenti che lo rappresentano : la scienza, la medicina, i farmaci, le innovazioni tecnologiche.
Nel Rapporto annuale del Censis 2021, sulla situazione sociale del Paese, si è avuta l’esplicita conferma di quanto sta avvenendo tant’è che nella lista dei temi di maggiore interesse emersi nel corso dell’anno, “l’irrazionalità” risulta al primo posto. Dal negazionismo di attualità (il Covid non esiste, il vaccino è inutile inefficace…) al complottismo, per arrivare al negazionismo storico-scientifico… per cui circa tremilioni di italiani sono sicuri che la Terra sia piatta . Si è passati dalle avvisaglie ai cortei, alle sfide nelle piazze, alla
caccia allo scienziato/ricercatore...
Il contrasto a quella che viene definita «antiscienza», è diventato un tema politico. Molti pensano che l’antidoto vada cercato in una migliore comunicazione della scienza... Ma forse non è sufficiente.
Forse il cuore del problema, e quindi l’ingrediente indispensabile alla sua soluzione, riguarda la consapevolezza dell’idea di comunità, di società plurale e partecipe. Forse per contrastare la deriva antiscientifica, è sufficiente (quanto necessario) essere cittadini consapevoli della comunità.
In questa prospettiva si potrebbe arginare molta della retorica dell’antiscienza, in particolare, l’esaltazione della libertà individuale e l’accusa di sottomissione al pensiero unico. Nel primo caso, la libertà personale viene anteposta a tutto, fino al punto di rifiutare ogni limite alla propria libertà anche quando può diventare nociva per la Comunità. Il secondo caso è una stretta conseguenza del primo: poiché si rivendica tale libertà come un diritto e quindi si rifiuta l’assunzione di qualsiasi colpa, si negano direttamente le stesse basi che implicano le
regole del comportamento sociale. Nel caso specifico della Pandemia, si afferma che il virus non esiste, è solo un’influenza, i vaccini sono dannosi, ci sono cure efficaci che vengono tenute nascoste, etc etc.. Qui, l’affermazione antiscientifica ha il preciso significato politico di rigettare l’appartenenza ad una comunità e quindi rifiutare le norme di convivenza che limitano il proprio ambito di azione.
Da queste premesse è nato il progetto Terra Piatta
Non vuole essere una risposta ai negazionisti dell’ultima ora: il “terrapiattismo” è il pretesto per affrontare iltema della Comunità, della sua crescita e del suo nutrimento. La tentazione “irrazionale” corrode nell’intimo l’idea stessa di comunità e i suoi principi fondanti: convivenza, coesistenza, libertà, confronto e , soprattutto, prospettiva.


Per fermare questo processo di logoramento della comunità, crediamo
che attraverso la riscoperta di quei pensatori - scienziati/ filosofi, armati più di ingegno che di tecnologia, si
possano trovare argomenti e significati per una rinnovata e slanciata tensione verso il sociale, la cultura, la
scienza e comunque orientata al bene comune .
Importante è recuperare lo stupore del ricercatore, il senso esaltante della scoperta che emerge dallo scontro
tra l’immaginazione e il rigore del metodo, mettendo a fuoco la natura comunitaria e dialettica della ricerca.
La figura di Eratostene, in questa visione, è esemplare.
Oltre la misurazione della terra, dell'inclinazione dell'eclittica e del meridiano terrestre, la tavola dei numeri primi, Eratostene non è solo un grande matematico o un grande fisico, ma è anche un grande filosofo che ha una concezione organica dell'universo. In contrasto con Platone, Eratostene afferma che non bisognerebbe dividere gli uomini tra barbari e Greci, ma secondo le loro qualità, in quanto non solo vi sono Greci pessimi ma barbari di alta civiltà.
Uno degli intellettuali più versatili della sua epoca, un tipico studioso dell'età ellenistica, con molteplici interessi, autore di opere di filologia e critica letteraria, di astronomia e matematica, cronologia e geografia, stretto collaboratore di Archimede …. un grande esponente della scuola del metodo dimostrativo che fa sì che la conoscenza non venga acquisita per il solo principio di autorità, ma attraverso la verifica e il contatto con la realtà.
Lo spettacolo vuole offrire una riflessione a tutto tondo sulle “sgomento” che attraversa tutto il Paese: migrazioni, cambiamenti climatici, conflitti, la digitalizzazione e in ultimo la pandemia sono temi globali che suscitano disagio e destabilizzazione diffusa e necessiterebbero di risposte ampie, condivise e sicuramente di prospettiva.
Il teatro non è un farmaco contro il malessere contemporaneo, ma sicuramente è lo strumento più idoneo per riconnettere le diverse comunità : quelle di cittadini, quelle dei ricercatori e degli studiosi, quelle della cultura e dell’arte, quella dei giovani, etc. , rendendole protagoniste e partecipi della prospettiva, rivitalizzando i significati di adesione, di cittadinanza, di futuro.
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2 commenti:

  1. Grazieeee Tania Croce per questo bellissimo e completissimo lavoro che hai fatto descrivendo minuziosamente gli spettacoli dei Teatri di pietra, con dovizia e grande professionalità...Chapeau a te e alla tua grande Passione ricca di Professionalità.

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