Raul Gardini la docu-fiction nel ricordo dell'imprenditore a 30 anni dalla sua scomparsa

 Fabrizio Bentivoglio con il suo stile inconfondibile, un eloquio pacato, profetico ed elegante,  diventa Raul Gardini nella docu-fiction dedicata all'imprenditore romagnolo illuminato, temuto e abbandonato al suo ineluttabile destino, trasmessa su Raiuno il 23 luglio 2023 a trent'anni di distanza dalla sua dipartita, il 23 luglio del 1993. 

L'intervista di Gardini con la giornalista interpretata da Pilar Fogliati, che ricordo insieme a Bentivoglio in "Forever Young" il remake di una commedia francese con la regia di Fausto Brizzi, è l'impalcatura sulla quale il bravissimo Francesco Miccichè costruisce il ritratto dell'imprenditore idealista e concreto, che ama il suo lavoro tanto quanto la sua famiglia e la vela, in cui compie un'impresa storica vincendo con Il Moro di Venezia di cui era l'armatore, la Louis Vuitton Cup, perdendo la Coppa America ma rendendo la vela uno sport popolare da elitario che era stato fino a quel momento.

L'uomo fermamente convinto che "il capitalismo fosse lo strumento di un bene comune" e ambientalista, è ricordato attraverso alcune sue immagini e le testimonianze di giornalisti come Minoli che lo aveva intervistato, amici ad altre personalità che lo hanno conosciuto e che hanno vissuto quegli anni di cambiamenti e di tumulti come fu il 1992 l'anno di Mani Pulite con Antonio Di Pietro.

Gardini era convinto che gli uomini d'affari dovessero essere lontani dalla politica e credette a ciò per tutta la sua esistenza.

Il film ripercorre anni cruciali per l'Italia e per il mondo intero ed è stata un'immersione nella storia che precorreva i tempi e Raul Gardini fu un vero precursore.

Fortunatamente è possibile rivedere la stupenda fiction su Raiplay.

Da non perdere!

Il robot che sembrava me


 Il 2000 era atteso come l’anno delle macchine volanti, dei cibi sintetici (ci stiamo arrivando), dei robot che lavorano al posto nostro.

Nel film visto questa sera in prima visione su Prime video, ambientato nel 2032, i robot convivono con l’uomo e spesso lo sostituiscono come accade a Charles ed Elaine, l’uno donnaiolo, impegnato ad ordinare la sua agenda piena d’incontri passionali, l’altra accumulatrice di borse costosissime ricevute in regalo dal ‘pollo’ di turno che lascerà corteggiare alla sua sosia bionica.

Possedere un robot che sia un sosia, è reato però sia Charles che Elaine ne hanno uno, somigliante al 100% e che un amico ha progettato per salvare la vita a entrambi sia dalle responsabilità quotidiane che dall’amore.

Inaspettatamente questi due robot, pur non avendo bisogno come noi umani, di mangiare o di dormire, insegneranno agli aridi Charles ed Elaine, cos’è l’amore.

È una storia spiazzante, attualissima e sconvolgente in cui Shailene Woodley e  Jack Whitehall sanno mostrare magnificamente i limiti di un’umanità alla deriva, dove non c’è più spazio per la solidarietà e il solo fine è quello di prendersi gioco del prossimo. 

Tratto dal romanzo di Robert Sheckey, “Il robot che sembrava me” è lo specchio di quel che accadrà a noi umani.

Visione consigliata! 

Grazie ragazzi


Passiamo la vita ad aspettare il grande amore, il momento giusto, il colpo di fortuna che stravolga la nostra esistenza, in questo film, rivisto stasera su Prime Video, diretto da Riccardo Milani e con un Antonio Albanese in stato di grazia, c’è un gruppo di detenuti che aspettano il giorno in cui saranno finalmente liberi. 
Raggruppati da un attore di talento come Antonio, separato e che per sbarcare il lunario, doppia film porno, i detenuti impareranno a fare teatro ed essendo un gruppo di anime in pena come direbbe Eduardo, ragazzi e uomini che non sanno neanche cosa sia il teatro, tutti tranne uno, Diego (Vinicio Marchioni), che vuole far parte a tutti i costi dello spettacolo che stanno provando intitolato “Aspettando Godot” di Samuel Beckett, hanno qualcosa di nuovo da aspettare, Godot appunto che si materializza e li trasformerà magicamente in attori. È tutto un crescendo d’emozioni inaspettate dove si tocca con mano la condizione di un detenuto, le sue privazioni, l’angoscia, l’estrema solitudine, la mancanza degli affetti familiari, la sete d’aria, l’impotenza totale, persino le vertigini quando si esce per andare a fare lo spettacolo dopo le prove in ogni angolo possibile del carcere.
Albanese recita magnificamente la parte che fu di Kad Merad ne “Un triomphe” il film del 2020 diretto da Emmanuel Courcol di cui “Grazie ragazzi” è il remake.
Il film francese mi spiazzò al punto che lo vidi più di una volta perché la storia mi piacque e mi coinvolse moltissimo! 
Fui felice di sapere che Milani dopo “Corro da te” avesse attinto ancora una volta al vasto serbatoio del cinema francese e attraverso un film magnifico come questo che mi è piaciuto immediatamente.
Oltre ad Albanese e a Marchioni, ci sono altri attori straordinari da Fabrizio Bentivoglio che nel film dirige un teatro, alla direttrice del carcere Sonia Bergamasco, poi tra i detenuti spiccano il marchigiano Giorgio Montanini e Giacomo Ferrara. È impossibile dimenticare il bravissimo Nicola Rignanese nella parte della guardia carceraria.
Il film è un ottimo adattamento della commedia francese.
Non perdetevelo su Prime video, mi raccomando! 



L'uomo che ride


 Un artista di strada accoglie due orfani persi nella tempesta: Gwynplaine, un ragazzo con il volto segnato da una cicatrice a causa della quale sembra che rida sempre, e Dea, una ragazza cieca a cui ha dato il nome Ursus, l'artista di strada che mosso a compassione dalla richiesta d'aiuto del ragazzo che bussa alla sua porta con il volto coperto dal naso in giù, soccorre e si prende cura dei poveri bambini.

Gwynplaine ha 25 anni e Dea 16, ormai sono una famiglia e per campare sono impegnati in spettacoli itineranti e il ragazzo il cui volto attira l'attenzione e la curiosità dei passanti e del pubblico, diventa l'attrattiva, la stella, la celebrità.

La recensione

Il film del 2012 in abbonamento su Prime video, è tratto dal romanzo scritto da Victor Hugo (L'homme qui rit) e pubblicato nell'aprile del 1969.

La vicenda è ambientata nel 1690.

E' il 29 gennaio, una nave salpa in fretta e l'equipaggio abbandona un bambino sulla costa inglese.

Il bambino disperato, solo, affamato, intraprende un’estenuante marcia in mezzo alla neve e mentre cammina trova una bambina che porta con se, fino alla carovana di Ursus, un filosofo vagabondo e poeta che vive d'arte e di sogno.

L'uomo dapprima disinteressato, sceglie di far entrare i piccoli, di nutrirli, salvandoli da morte certa.

Inizia così la vita nella nuova famiglia di Gwinplaine, il quale diventa un artista che è l'attrattiva principale negli spettacoli diretti da Ursus.

A una di queste rappresentazioni teatrali assiste la duchessa Josiane, sorellastra della regina Anna, che s'innamora del ragazzo che ride.

Gwinplaine scopre di essere figlio legittimo di Lord Linnaeus Clancharlie, un nobile rimasto fedele al giuramento fatto alla repubblica instaurata da Oliver Cromwell e che si era volontariamente esiliato in Svizzera, dove era morto.

L'allora re Giacomo, aveva fatto rapire l'unico figlio legittimo, e lo aveva venduto con l'ordine di renderlo irriconoscibile.

Gwinplaine, venuto alla conoscenza della sue origini, riacquista il titolo nobiliare e promesso sposo di Josiane, viene condotto nella camera dei lord per l'investitura.

Durante il suo discorso che sembra l'arringa in un tribunale, attacca l'aristocrazia per la sua indifferenza nei confronti del popolo bisognoso e viene deriso e insultato dall'assemblea.

Comprende che quello non è il suo posto e scappa alla ricerca della sua famiglia di artisti di strada.

Gwinplaine e Dea, si sono sempre amati però un destino crudele strapperà per sempre l'angelica Dea dall'uomo che ride.

Eppure Gwinplaine la cercherà nelle acque della Manica per ricongiungersi per sempre all'amata e bellissima Dea.

E' stata immediata l'associazione con Joker mentre vedevo il film e in effetti nel 1940 il disegnatore di fumetti Bob Kane e lo scrittore Bill Finger usarono il ritratto che Conrad Veidt aveva dato a Gwinplaine come ispirazione per la creazione di Joker, la nemesi di Batman.

Il film diretto da Jean Pierre Ameris, con Gerard Depardieu nei panni di Ursus, Marc André Grondin in quelli di Gwinplaine ed Emmanuelle Seigner in quelli di Dea, mostra una storia estremamente bella e attuale, un'opera fiabesca e visionaria, dove Hugo denuncia sia la corruzione e il passivismo dei nobili e della classe sociale privilegiata che la discriminazione e il rifiuto per le persone che hanno subito un incidente che ne ha deformato l'aspetto e lo fa attraverso un romanzo dalle tinte forti, e che è considerata l'opera più notturna, onirica e visionaria dell'autore de "I miserabili".

Il film è meraviglioso e consigliatissimo!

Il grande giorno su Prime video


  1. Per chi come me ha seguito Aldo, Giovanni e Giacomo a teatro, li ha amati in tv nelle indimenticabili puntate di Mai dire gol e che inevitabilmente ha visto tutti i loro spettacoli, nonché i loro film, più e più volte, oggi è giunto il grande giorno di assistere al loro ultimo lavoro, finalmente su Prime Video, evitando di leggere recensioni ma ponendomi di fronte al loro rinnovato entusiasmo con candore e sorpresa.

Ed è stato amore a prima vista per il film che vince il David dello spettatore, il primo per lo straordinario trio.

La recensione 

Il grande giorno segna il ritorno dell'amatissimo e affiatato trio comico dopo  Odio l’estate diretto da Massimo Venier.

Questa volta la consapevolezza della vita con tutti i suoi momenti no, con gli amori sfumati e tenuti insieme dall'abitudine come quello tra Giacomo e sua moglie Lietta (Antonella Attili) e le mogli perse, come Margherita (Lucia Mascino) definita cinicamente la barbie vintage da Valentina (Elena Lietti), la seconda sposa  di Giovanni, muove i fili delle esistenze in un film corale e in cui ognuno occupa un posto ben preciso, intonando un canto tutto suo.

Ciò che riunisce quest'allegra brigata è l'imminente matrimonio di Elio (Giovanni Anzaldo) e Caterina (Margherita Mannino), gli amati figli di Giacomo e Giovanni, due vecchi amici e soci in affari.

Caterina è la figlia che Giovanni ha avuto da Margherita, la prima moglie, cresciuta con amore da Valentina, come fosse sua figlia. Una famiglia allargata insomma.

Per rendere il giorno del matrimonio di sua figlia, un momento indimenticabile, d'accordo con il socio e padre dello sposo, decide di affittare Villa Kramer, nello scenario mozzafiato del Lago di Como.

I preparativi del matrimonio sono estenuanti. 

Deve essere tutto perfetto, dalle bomboniere, al vino, a Francesco Renga che dovrà cantare l'Ave Maria di Schubert, al cardinale che celebrerà il matrimonio, fino ai fuochi d'artificio.

Sarà una festa della durata di tre giorni.

Iniziano ad arrivare gli ospiti, dal cardinale, alla mamma della sposa che giunge col suo nuovo compagno, Aldo, un fisioterapista del sud estroverso e socievole al limite della sopportazione, gioviale con tutti e soprattutto innamorato della sua Margherita, donna invidiata e criticata per aver mollato matrimonio e figlia che all'epoca aveva 12 anni, per vivere la sua vita ed essere felice.

La scelta di Margherita in fondo, è il leit- motiv del film e accomuna la famiglia degli sposi i cui coniugi, sono ingessati in ruoli fissi e senza più ricordare quando è stato l'ultimi giorno che sono stati felici.

 L'arrivo di Aldo alla festa, è sicuramente il deus ex machina in uno spettacolo le cui prove stanno per terminare, anche se nessuno degli attori, è pronto al debutto.

Con la presenza di Aldo, la sua goliardia irrefrenabile, che comporterà giochi notturni e il ferimento del Cardinale, portato via in elisoccorso, il castello di ghiaccio allestito durante i preparativi, si scioglie come neve al sole e i due soci benestanti e 'arrivati' de la Segrate Arredi, si sentono dei semplici commessi ne Il paradiso della brugola di Tre uomini e una gamba.

Non sarà perfetto ed elevato come quello scelto, il sostituto del Cardinale, ma don Francesco un prete di poche pretese se non quella di mangiar bene, è quello di cui ci si deve accontentare un po' come accade nella vita, quando non si ha scelta.

Don Francesco (Francesco Brandi) in fondo, è abituato a celebrare funerali non matrimoni, anche se sarà la voce narrante nel film, parte affidata ad Aldo in Chiedimi se sono felice, visto non so più quante volte.

Il rischio in un film simile, era quello di trovarsi di fronte a un trio che ormai aveva fatto e detto tutto con tempi comici perfetti, ma anche questa volta hanno dimostrato, come ha detto sapientemente don Francesco, che ad ogni fine c'è sempre un nuovo inizio.

Tanti sono i momenti belli, divertenti e anche struggenti nel film, come quello in cui Aldo intona al pianoforte Maledetta primavera, dove ci si ritrova inevitabilmente a cantare perché certe note ti fanno sentire parte di un tutto vissuto tutti assieme.

Sicuramente lo rivedrò e oggi io sono davvero felice di aver trascorso quasi due ore in compagnia dell'adorato trio!

Film consigliatissimo!

 

Le otto montagne il film



 Sono i padroni del proprio tempo i protagonisti de "Le otto montagne", il film ispirato all'omonimo romanzo di Paolo Cognetti, Premio Strega 2017, vincitore del Premio della Giuria a Cannes 2022 e del David di Donatello 2023 come Miglior Film.

Felix Van Groeningen e Charlotte Vardermeersch, dirigono Luca Marinelli e Alessandro Borghi, con un'anima talmente sconfinata da ricordarmi quella freschezza, il candore, l'autenticità e la crudezza attraverso cui li conobbi la prima volta ne "Non essere cattivo" di Claudio Caligari e che li consacrò entrambi nel panorama cinematografica italiano e internazionale. 

E con un’incredibile forza vitale il film si dipana, incentrato sul viaggio naturalistico, intimo e sentimentale dei due, sulla continua scoperta di se stessi e del mondo e sulle diverse forme d''amore, quello genitoriale rappresentato dal papà di Pietro, uno splendido Filippo Timi, quello filiale di Bruno e Pietro, quello naturalistico che s'intreccia con quello utopistico e individuale alla ricerca del luogo adatto in cui vivere e costruire, dove poter condividere persino la costruzione di una casa di montagna e che sarà un percorso a ritroso nei ricordi di un'infanzia e dell'adolescenza a contatto con un padre esemplare e in fondo sconosciuto.

Alessandro Borghi è fenomenale e struggente nei panni di Bruno, che cresce in uno sperduto paesino della Val d'Aosta, custodendo il suo amore per quei monti che proteggerà come un nume tutelare, col suo instancabile impegno e una dedizione sconfinata.

Con lo stesso ardore Pietro, l'incantevole e angelico Luca Marinelli, ormai adulto e scrittore, tiene accesa la luce di un'amicizia esclusiva come quella con Bruno, che era l'unico bambino nel paese dove trascorreva con i genitori le vacanze estive per poi fare ritorno in città.

Le cose prenderanno una forma nuova e inaspettata e i due bambini, si ritroveranno in età adulta ancora insieme per poi separarsi e ritrovarsi di nuovo e sarà proprio la montagna il luogo dove quell'amicizia getterà le basi per essere il rapporto più duraturo e inossidabile.

La narrazione nel film è dilatata, è come se il tempo dell'incontro e del viaggio siano volutamente scanditi dai registi che si soffermano sui vari momenti esistenziali sia dei protagonisti che degli altri personaggi, per contrastare la velocità dei nostri tempi, in cui non si ha la possibilità di fermarsi ma i sentimenti talvolta lo reclamano.

Attraverso questo film, si viene inevitabilmente proiettati in un passato dove il meta verso era ancora lontano e gli algoritmi non condizionavano come avviene oggi, le nostre azioni, le nostre scelte e i nostri spostamenti.

  La fotografia è magnifica e i diversi scenari montani, sono incorniciati dalle musiche di Daniel Norgren.

"Le otto montagne" è un viaggio dell'anima anzi di anime assetate di rapporti umani,  alla riscoperta della pazienza, necessaria in una società  frenetica e individualista come quella in cui viviamo.


The Fabelmans

 "The Fabelmans" di Steven Spielberg ha conquistato il David di Donatello 68 per il Miglior film Internazionale, l'ultimo dei numerosi premi meritatamente vinti.

Oggi l'ho visto su Prime Video ed ho trascorso più di due ore tra i sogni adolescenziali di un giovanissimo e appassionato Spielberg, filmaker per vocazione e attento osservatore del mondo a partire dal microcosmo familiare dove nasce la sua predilezione per il cinema che sarà il suo motivo di vita, la sua professione e il suo spazio privilegiato da cui osservare la realtà e raccontare storie meravigliose.

Forse tutti coloro che lo amano, e sono davvero in tanti, erano ansiosi di vedere un film dedicato a colui che ha costellato di gemme preziose lo splendido mondo del cinema.

Il regista sceglie di raccontarsi attraverso la vita, i sogni e i dolori di Sammy Fabelman, Gabriel LaBelle, il più adulto dei tre che vediamo nel film,  cresciuto tra l'Arizona e la California, tra il '50 e il '60 che come sua madre (Michelle Williams) si appassiona alla settima arte.

Vive con i genitori e le tre sorelle, ma Burt, suo padre, un uomo buono e laborioso interpretato molto bene da Paul Dano, attore ammirato ne "Il perfetto gentiluomo" al fianco di Kevin Kline, ha un amico e collega Seth Roger, che è anche intimo amico di sua madre.

Dalla scoperta del cinema avvenuta nel gennaio '52 attraverso il film "Il più grande spettacolo del mondo", il giovane Sammy inizia all'età di 7 anni a girare film amatoriali in 8mm con amici e compagni di scuola.

Accanto all'amore per i film, c'è il dolore provato a scuola a causa dell'intolleranza etnica nei suoi confronti.

Scritto da Steven Spielberg e Toni Kushner "The Fabelmans" è un susseguirsi di scoperte emozionanti, è come sfogliare il diario personale dell'immenso regista che per la prima volta si racconta mostrandosi in tutta la sua umanità.

Ho amato molto Gabriel Labelle e il suo sguardo acceso sul mondo da cui spesso si isola e che attraverso il cinema gli permette non solo d'integrarsi ma di essere scoperto nel momento in cui è pronto a spiccare il volo e a diventare regista.

Qualche frase del film:

"La tua vita non la devi a nessuno"

"Si fa quello che il cuore ti dice di fare"

"I film sono sogni che non dimenticherai mai"

"Amare qualcosa non basta, bisogna prendersene cura"

"Avviene tutto per un motivo"

L'Oreste Quando i morti uccidono i vivi al Quirino

 L'Accademia Perduta Romagna Teatri, sperimenta ne "L'Oreste quando i morti uccidono i vivi" nuovi orizzonti comunicativi attraverso il graphic novel theatre, trasformando il palcoscenico nello spazio visionario dove si materializzano i sogni e i personaggi che si affollano nella mente di Oreste, internato nel manicomio dell'Osservanza di Imola da trenta lunghi anni, ma intenzionato a fare un lungo viaggio, destinazione luna passando per la Russia.

Claudio Casadio incanta, commuove, coinvolge e sconvolge il pubblico attraverso un'interpretazione pazzesca nel vero senso della parola e il suo Oreste, attraverso i suoi occhi accesi, sogna di compiere un viaggio lontanissimo per librarsi in volo e sentirsi leggero, scrollandosi di dosso il peso dei patimenti terreni e della sua stessa malattia mentale che nessuna terapia ha mai guarito, nemmeno l'elettrochoc.

Oreste non dorme mai, disegna, parla con i suoi visitatori immaginari, con il medico, con l'amata sorella che ha perso tanti anni fa ma alla quale promise che non avrebbe mai smesso di amarla neanche da morta, perché lei nella sua mente sarà viva per sempre.

Con l'animazione grafica prendono vita Ermes, il suo compagno di stanza, uno schizofrenico convinto di essere un astronauta e  poi  la sorella, l'infermiere e il medico che gli comunica di essere finalmente libero e di poter uscire.

Però nessuno sa dirgli se è possibile riavvolgere il nastro e ricominciare tutto da capo, come lui desidera sapere da tanti anni.

La risposta al suo quesito, non è chiara e soddisfacente oppure lui non riesce a capire quale potrebbe essere la via d'uscita alla sua non vita.

Quello a cui si assiste è un lavoro corale anche se Casadio è solo, in questo atto unico di rara bellezza.

Piene di tenerezza e di stranezze sono le lettere che Oreste scrive alla fidanzata che dice con convinzione di aver conosciuto a un festival dei matti, nel manicomio di Lucca.

Oreste parla, canta, disegna, preparandosi al viaggio più lungo che l'uomo possa fare, quello verso il nulla, l'oblio.

Gli applausi della prima sembrano non finire più e il pubblico ha il cuore a pezzi ed è sollevato quando Casadio balla e s'inchina per condividere il suo successo con un pubblico entusiasta.

Lo spettacolo tratto dal racconto di Francesco Niccolini, con la regia di Giuseppe Marini, le illustrazioni di Andrea Bruno, le scenografie e animazioni di Imaginarium Creative Studio, le musiche originali di Paolo Coletta, il light design di Michele Lavanga, la fonica di Francesco Cavessi, la collaborazione alla drammaturgia di Claudio Casadio, è co-prodotto da Accademia Romagna Perduta Teatri, e Società per Attori in collaborazione con Lucca Comics&Games, ha vinto il Premio Nazionale Franco Enriquez  nella cat. Teatro Classico e Contemporaneo / sez. Miglior Attore.

Sarà in scena fino a domenica  7 maggio e sarebbe un vero peccato non assistere a una simile pièce.


Prince Harry Spare Il Minore

 Una biografia di solito contiene un elenco di fatti esposti in ordine temporale, è scritta in terza persona perché il narratore riporta gli episodi di un'altra vita, non della propria.

Prince Harry Spare Il Minore invece è scritto in prima persona ed è rivolto al lettore con l'unica esigenza di far sapere come è andata finora la vita di colui che tutti noi siamo soliti chiamare il Principe Harry e che associamo indissolubilmente alla mamma, la bellissima e sfortunatissima Diana Spencer, principessa del Galles o soltanto Lady D.

Per la prima volta nella mia vita, questa non è stata una semplice lettura ma un'immersione totale nella storia di un reale, non dell'erede ma della "Riserva", status che il giovane e sensibile Harry ha sempre accettato e rispettato sin dai tempi in cui era felicemente amato da sua madre, donna generosa ed apprensiva che gli è stata accanto finché ha potuto.

A ventun' anni Harry entra nell'esercito e sono accurate le descrizioni della vita militare da lui amatissima che lo rende disciplinato ed eroico ma sensibile ai problemi dei soldati mutilati e degli invalidi di guerra, conoscenza che lo ispirerà per la creazione dei giochi paralimpici londinesi ad essi dedicati.

Come tutte le persone normali, anche se quando pensiamo ai reali li vediamo anni luce lontani da noi, Harry soffre di attacchi di panico, si sente solo e incompreso, non riesce a trovare la donna della sua vita, per sposarsi come suo fratello William, l'erede, e mettere su famiglia.

I rapporti con sua nonna e i suoi pensieri nei suoi confronti sono sempre basati sul rispetto e l'ammirazione anche dopo la sua scomparsa.

Lei è stata il suo riferimento e anche il suo 'capo' perché ha lavorato al servizio della Regina Elisabetta II fin quando ha potuto.

Poi accade il miracolo, l'incontro con l'amore, con la sua Meghan, che affascina non solo i membri del Palazzo reale ma il mondo intero.

Però le favole, anche le più belle, si scontrano con la realtà, quella che era una coppia favolosa, viene bersagliata dalla stampa che le rende la vita impossibile.

Sono strane e impreviste le reazioni del futuro Re Carlo III, suo padre e del fratello William che anziché prendere le sue parti, restano in disparte, anzi sono intrappolati nella loro gabbia dorata.

Tutto ciò che sapevo sugli Windsor era collegato anche alle informazioni ricevute dalla stampa e scorrendo le pagine di questo straordinario libro che è a tutti gli effetti un diario personale e appassionato, ho scoperto di non conoscere nulla o quasi, perché la cronaca spesso racconta ma non svela, e i pezzi dedicati al principe Harry hanno sempre avuto un'impronta negativa, severa, spietata.

Ecco, la spietatezza della stampa britannica è uno degli aspetti sottolineati nel libro, che hanno persino compromesso i rapporti familiari e sociali della famiglia reale, allontanando la Riserva.

La frase che è impressa nella prima pagina del libro "Il passato non muore mai. Non è mai passato" di William Faulkner, contiene il dolore perpetrato negli anni, per la prematura scomparsa della madre, un dolore insostenibile, sordo, devastante.

 Il passato e il presente convivono in questo atto d'amore scritto da Harry in prima persona, un libro carico di particolari, di rivelazioni che non avrei mai immaginato, di viaggi meravigliosi e di avventure.

E' il libro più bello che io abbia ricevuto in regalo!

Lunga vita a te Prince Harry e infinitamente grazie per tutto ciò che hai voluto raccontare anche a me!


"Toilet" la prima al Teatro Manzoni

 Amo le storie, le biografie dei famosi e non, ma questa ci riguarda tutti ed è Gabriele Pignotta ad averla non solo scritta, ma anche diretta e interpretata sia al cinema che a teatro. Ecco le mie impressioni sulla prima al Teatro Manzoni il 3 maggio scorso e i paragoni che Pignotta ci ha chiesto di fare con il film visto su Sky e disponibile su diverse piattaforme.


La recensione di Tania Croce

Il protagonista dell'entusiasmante atto unico è Flavio Bretagna, brillante imprenditore e uomo impegnato che non viene lasciato libero neanche durante la pausa pipì.

Bersagliato da telefonate a raffica, sbaglia strada e lascia la sua Passat parcheggiata in un'area di sosta per andare in Toilet (possiamo dirlo alla francese oppure leggerlo come è scritto).

Tra i martellamenti continui della signora Marini, l'imminente appuntamento col dottor Protti, l'onnipresente segretaria Marta, il signor Flavio si accorge di essere rimasto chiuso dentro un bagno, una specie di magazzino con tanto di secchi, scopa e immondizia.

Istintivamente chiede aiuto urlando e sperando che qualcuno possa aprirgli la porta antipanico.

Niente, tutto tace ma non la sua fervida mente, attiva, razionale e l'unica cosa che non tace è il suo cellulare.

Il mondo fuori è in movimento mentre lui è fermo, è un rinchiuso costretto a stare isolato, fino a quando non si sa, magari sperando che i carabinieri chiamati dietro suggerimento di Marta, possano rintracciarlo, visto che lì dentro il telefono non ha connessione e funziona solo per ricevere telefonate, ossia il motivo per cui fino a qualche anno fa, usavamo il cellulare.

La prigionia forzata in un luogo angusto, l'ultima cosa che si possa augurare ai claustrofobici e l'assenza di connessione internet e la solitudine, sono forieri di pensieri nuovi e inaspettati, quello più luminoso, un vero e proprio faro nel buio, è l'amore per Marta, che Bretagna potrà vivere quando e se uscirà da quella Toilet.

Il biografo, scrittore e filosofo greco Plutarco avrebbe dedicato a Gabriele Pignotta il suo libro "Sulla loquacità" oppure Euripide il noto tragediografo greco avrebbe detto, dopo aver visto lo spettacolo, che "la sventura è la conseguenza di lingue senza freni..." perché il soliloquio del bravissimo Gabriele è davvero senza freni e alla perfetta dizione, si alternano momenti sconfortanti e qualche sacrosanto sproloquio.

Gabriele per tutto il tempo del lungo atto unico, si arrampica sia fisicamente che mentalmente alle ricerca delle poche certezze che ha, cercando una soluzione persino sui muri di quel fatiscente bagno dove si trova.

Pur essendo solo nell'elegante e amato palcoscenico del Teatro Manzoni, questo non è un one man show ma una dramedy, ossia uno spettacolo che mescola elementi seri e comici perché si ride molto e si riflette.

Di solito le persone partono a fare ritiri spirituali in Oriente o tra i monti e in mezzo alla natura, Flavio Bretagna il suo ritiro spirituale lo compie dentro una Toilet.

Volendo fare paragoni tra il film e lo spettacolo teatrale a cui il film s'ispira, posso dire che la differenza sostanziale è il viaggio in automobile che è possibile vedere nel film e immaginare a teatro, poi alcuni dialoghi con la ex e sui preparativi del compleanno della figlia che nello spettacolo non ci sono.

Mancano anche le voci della Incontrada e di Pannofino nello spettacolo, ma questo non toglie nulla alla sua bellezza.

Per il resto, tranne il contatto telefonico con il programma televisivo La Vita in diretta, lo spettacolo teatrale è simile al film con la netta differenza che Gabriele recita ininterrottamente e magnificamente sul palcoscenico, coinvolgendo il pubblico e facendo crollare la quarta parete anche per le risate suscitate.

Cosa aggiungere ancora a quanto detto?

Andate a vedere lo spettacolo in scena fino al 14 maggio al Teatro Manzoni di Roma!



PennadorodiTania CroceDesign byIole